Coppa Davis, 1974: la finale che non si giocò nel Sudafrica dell’apartheid

Il mondo dello sport è stato spesso in grado di dare il buon esempio, come dimostra la storia della Coppa Davis. Nel 1974 l'India aveva boicottato la finale contro il Sudafrica nei campi "whites-only" di Ellis Park, Johannesburg, come protesta contro l'apartheid. L'anno prima, la leggenda statunitense Arthur Ashe aveva scelto di partecipare, per dimostrare che un nero poteva battere un bianco in uno Stato pieno di pregiudizi. Due storie di coraggio contro il razzismo e l'ingiustizia.

Arriva la finale di Coppa Davis, e come ogni anno le grandi aspettative riposte nell’esito di tale competizione stanno per raggiungere il loro apice. Il trofeo per nazioni organizzato dall’ITF ha sempre attirato numerose critiche, sia dai media che dai tifosi, fino ad arrivare agli stessi addetti ai lavori; nonostante l’aumento delle polemiche connesse alla manifestazione riguardanti modalità, durata della competizione e vari bonus che dovrebbero essere legati alla classifica ATP, l’atmosfera che si è riuscita a creare intorno alle sorti delle nazioni impegnate è decisamente positiva ed allo stesso tempo molto importante per tutto il movimento tennistico.Per vari decenni la Coppa Davis è stata data per spacciata e spesso molti si dimenticano di analizzare la giusta attenzione alle cause che hanno permesso a questo evento di portata mondiale di resistere alle forti pressioni di un mondo che le è inevitabilmente cambiato intorno. Sono passati precisamente quarant’anni da quel maledetto 1974, anno nel quale il Sudafrica di Cliff Drysdale, giocatore più vincente nella storia del suo paese, vinse il trofeo finale; trofeo il quale rimane tutt’oggi intriso di rancori e rabbia. Vincere la Davis era considerato il punto in assoluto più alto per ogni tennista, e considerata la sconfinata serie di vittorie che avevano conquistato Stati Uniti e Australia, con Gran Bretagna e Francia nell’albo d’oro ma ben distanti dalle altre compagini, l’occasione per Sudafrica e India era estremamente ghiotta.Ai posteri, a distanza di quaranta lunghissimi anni, è rimasta una vittoria vuota ed imbarazzante dei Sudafricani, visto che l’India, che aveva come primo ministro Indira Gandhi, decise di non presentarsi alla finale sui campi “whites-only” di Ellis Park, Johannesburg, sotto il regime di apartheid sudafricano (il pubblico indiano sarebbe stato relegato in una piccola porzione separata di stadio). “L’India diede forfait nei campi “whites only” di Johannesburg”.Non sarebbe stata la prima o l’ultima volta in cui una nazionale avrebbe deciso di dare forfait contro la nazione che diede i natali a Nelson Mandela: già nella stessa stagione era stata l’Argentina a rinunciare al confronto, e nel futuro le orme indiane sarebbero state seguite dai team di Colombia e Messico nel 1975. Se Drysdale disse di essere contrario all’apartheid, dicendo anche che gli stessi suoi compagni McMillan, Moore e Hewitt non avrebbero assolutamente voluto vincere un trofeo in quel modo, una personalità del tennis che andò controcorrente fu Arthur Ashe, leggenda di questo sport che l’anno precedente si era recato proprio a Ellis Park a giocare. Ashe pensava che gli indiani avrebbero dovuto prendere parte a quella finale, dimostrando come aveva fatto lui che un giocatore di colore sarebbe andato fino a Johannesburg per lottare e battere i bianchi nella terra dell’apartheid.

“L’esempio del grande Arthur Ashe”.Ashe aveva usato lo sport, che è considerato quasi come una religione in Sudafrica, per aprire uno spiraglio ad un’evoluzione che avrebbe ben presto iniziato a creare non poche crepe nella mentalità ottusa dell’epoca. Uno spiraglio che, per quanto piccolo, non sarebbe mai più stato possibile richiudere.Nel 1964, Alex Metreveli dell’Unione Sovietica si ritirò da Wimbledon piuttosto che affrontare Drysdale, e l’ungherese Istvan Gulyas fece lo stesso quando era stato chiamato a giocare contro l’altro sudafricano Abe Segal. Quando Ashe venne chiamato in causa circa questi ritiri, disse che nonostante detestasse l’apartheid, non sarebbe stato per lui un problema sfidare un sudafricano. Queste osservazioni gli valsero pesanti critiche da parte della stampa afro-americana.Col senno di poi, un mix di tennis impegnato, come rappresentato da Ashe, e di boicottaggio, come nel caso della squadra indiana di Coppa Davis, riuscì ad avere un effetto sul Sudafrica. Anche alcuni dei giocatori di quella disgraziata finale del ’74 arrivarono a dichiarare che l’India fece fatto la cosa giusta. “Alla fine, il governo indiano aveva ragione” disse Ray Moore, ex tennista sudafricano, “Times” nel 2009. “Se altri Paesi avessero boicottato il Sudafrica, forse l’apartheid sarebbe stato debellato prima”.

“Come sportivo, sono rimasto deluso”, ha detto Vijay Amritraj, forte componente del team indiano di quella edizione della Coppa Davis, “ma come individuo sono orgoglioso del fatto che il mio governo abbia fatto la scelta giusta“.

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