Djokovic-Agassi: pro e contro di una scelta forte

Dopo circa un mese di chiacchericcio, finalmente è arrivato l'annuncio ufficiale: Andre Agassi sarà il nuovo “supercoach” di Novak Djokovic. Battuta la “concorrenza” di Sampras (idolo di infanzia di Nole), Rafter e Kuerten. Come annunciato dallo stesso serbo, la collaborazione comincerà a partire dal prossimo Roland Garros e (si spera) continuerà nei tornei successivi.

Non era giusto interrompere la tradizione e Novak Djokovic ha scelto di continuare su questa strada, ormai ampiamente tracciata. Andre Agassi è il nome “nuovo” che si aggiunge a una lista – ormai lunga – di collaborazioni fra grandi tennisti, giocatori e ex giocatori. Una tradizione che vanta molti sodalizi illustri: poeti della rete (Federer-Edberg) e del rovescio (Federer-Ljubicic), spietati vincenti (Djokovic-Becker), cavalli pazzi (Cilic-Ivanisevic), menti fredde per calmare fragili spiriti (Murray-Lendl), grandi motivatori (Nadal-Moya) e chi più ne ha più ne metta (fra le altre, Raonic-McEnroe e Wawrinka-Norman).

IL SUPERCOACH – Una tradizione che dalla sua vanta incredibili risultati e crea, di fatto, una nuova figura, quella del Supercoach, dove per supercoach si intende un allenatore che meglio di chiunque altro può aiutarti a migliorare l’aspetto chiave del tennis moderno (e non): la testa.

Lo schema è ormai chiaro: un campione che perde se stesso per qualche tempo in cerca di un allenatore capace di trasmettergli motivazioni nuove e soprattutto un punto di vista “fra pari” per ritrovarsi dentro al momento di difficoltà. Chi meglio di un grande “ex” che dal tuo momento di difficoltà ci è sicuramente già passato, magari ci è risorto e magari ha avuto un sacco di tempo nel frattempo per rifletterci, e magari ha pure scritto un libro in proposito? Chi meglio di Andre Agassi?

PERCHÉ SÌ – Da questo punto di vista, la scelta è azzeccatissima. Agassi non ha mai fatto mistero dei suoi turbamenti come tennista e ne ha vissuto ogni amara sfaccettatura: dalla rapida, inaspettata e qualche volta indesiderata salita nell’Olimpo del tennis, alla tragica discesa agli Inferi del giocatore svuotato, deluso e punito dalla durissima vita del tennista, di punto in bianco a fare di nuovo a spallate in sperduti tornei minori. Da qui però, incredibilmente, l’Agassi tennista è risorto proprio per aver accettato di convivere con la durezza del Tennis, insieme padre padrone e madre consolatrice. Proprio quello che ci vuole per Djokovic, che tanto in basso non è finito solo perché la sua discesa è cominciata da un’altezza probabilmente mai toccata prima da un tennista. Fra i Roland Garros 2015 e 2016, Djokovic ha giocato a tennis praticamente da solo, senza alcun avversario capace di arginarne la voracità di tornei. A un certo punto però la luce si è spenta, e si arriva rapidamente all’oggi. Quello di un Djokovic con un gioco impacciato dalla perdita di cattiveria e avidità che lo avevano contraddistinto fin ora, soprattutto durante la collaborazione con Becker. Da questo punto di vista, Agassi sembra una persona troppo buona e calma per riproporre una simile rabbia agonistica al serbo. Questi poi, come testimonia la collaborazione da esterno con Pepe Imaz, sembra pure alla disperata ricerca di una qualche forma di pace interiore, per cui probabilmente potremo dire addio al serbo “cannibale” degli ultimi anni. Ma non per questo dover per forza rimanere nel limbo attuale. Se è l’equilibrio che Djokovic cerca, anche in questo Agassi è la figura giusta. Uno che una volta compresi i propri limiti, si è garantito una “seconda carriera”, altrettanto vincente e soprattutto longeva, ai vertici fino al 2006, anno del ritiro, a 36 anni. Una seconda carriera capace anche di conciliare una vita privata, fino a quel momento turbolenta, con una nuova vita capace di conciliare famiglia e tennis, anche grazie alla comprensione e alla saggezza della nuova moglie Steffi Graff. Altro aspetto che il serbo deve trovare gli strumenti per gestire meglio, per un momento schiacciato anche dalla pressione del gossip.

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E poi c’è il gioco. Per quanto l’idolo del Djokovic ragazzino sia stato l’acerrimo “nemico” del suo nuovo coach, Pete Sampras, il gioco del Djokovic adulto è molto più simile a quello di Agassi. Grandi e potenti giocatori da fondo campo, probabilmente le due migliori risposte a memoria d’uomo, inossidabili combattenti. Da questo punto di vista la scelta è di nuovo vincente. Il gioco del serbo ha forse del margine su cui lavorare, come purtroppo manifestato nell’ultimo anno. Vista l’età che avanza (proprio ieri ha spento le trenta candeline) e le conseguenti iniziali avvisaglie di acciacchi fisici, forse trovare nuovi strumenti e strategie per accorciare lo scambio possono far comodo al serbo, come hanno fatto e stanno facendo comodo agli storici avversari e alle nuove leve.

PERCHÉ NO? – Passando ai possibili contro, il principale sembra l’esperienza come coach di Agassi, che ad oggi è nulla. Nulla anche per le varie dichiarazioni di contrarietà dello stesso Agassi, che fino a questi giorni si era sempre tirato indietro non solo di fronte alla possibilità di allenare qualcuno, ma anche dall’ambiente tennistico in generale, arrivando a seguire gli stessi tornei “il giusto”. Per quanto fuori dai giochi, sono trascorsi poco più di 10 anni dal suo ritiro, e per quanto cambiato, sicuramente Agassi è ancora in grado di interpretare al meglio il tennis moderno. Per questo i due sembrano essersi trovati d’accordo, per ora, su una collaborazione part-time, ma si vedrà.

Sulla carta, gli auspici sono i migliori.

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