Il povero tennis nei ricchi Emirati

Tra i grattacieli e la ricchezza del medio Oriente ecco la storia di Fatma al-Nabhani, tennista dell'Oman impegnata in prima linea contro le discriminazioni delle donne nel mondo del tennis

Grazie alla sua storia, a leggende passate e moderne e alla sua eleganza senza tempo, il tennis è ormai uno sport conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. I ragazzini che crescono col sogno di imitare le imprese dei propri idoli aumentano di giorno in giorno. A zone dove le strutture e gli aiuti non mancano, si affiancano altre dove il tennis è cosa per pochi. Una tra tutte, l’Asia minore.

ODORE DI CAMBIAMENTO – Se si osserva la classifica, infatti, si noteranno davvero pochi giocatori provenienti da questi luoghi (o dal Nord Africa). Il problema, per anni, non si è limitato alla poca passione da parte delle persone per il tennis, ma si è esteso alla mentalità a tratti retrograda sull’argomento “donne e sport”. Quest’ultime, appunto, sono state tagliate fuori dalle competizioni sportive per decenni, rendendo il già esiguo numero di sportivi provenienti da quelle zone, ancora più basso. Ora, però, le cose stanno cambiando poco a poco, come ci informa Fatma al-Nabhani, tennista a livello pro che vive e si allena a Muscat, Oman. “Noi tutte (donne) dobbiamo cavalcare l’onda dei tempi che cambiano, e approfittare della situazione. Che sia un 10K o un torneo del Grande Slam, dobbiamo essere consapevoli che possiamo raggiungere i più alti traguardi”.

OLTRE I PREGIUDIZI – La al-Nabhani è un modello per tutte le giovani che tentano timidamente di affacciarsi al mondo del tennis professionistico. La sua è una vera e propria battaglia per rendere le donne – non solo atlete – più forti e meno impaurite. La sua carriera, modesta, riflette tutte le difficoltà che una ragazza proveniente dall’Oman è costretta ad affrontare. “È difficile essere l’unica ragazza in un club di tennis, tutti ti guardano in una maniera diversa”. Fatma, che ha iniziato a giocare a tennis guardando i suoi due fratelli allenarsi, ha però trovato la forza di lasciare le malelingue alle spalle e di concentrarsi su ciò che ama fare di più: giocare a tennis.

NON È LA SOLA – Oltre a lei, altre due tenniste hanno vissuto esperienze simili: Ons Jabeur e Cagla Buyukakcay. Entrambe tunisine, queste due ragazze sono state in grado di raggiungere buoni risultati; la Jabeur, infatti, è arrivata fino al terzo turno nell’Open d’Australia, quest’anno, e ha vinto un totale di 7 ITF in carriera. La Buyukakcay, invece, è riuscita a vincere un WTA International, proprio in casa, a Istanbul. Per tenniste come loro, che ricevono aiuti quasi inesistenti dai propri paesi d’origine, potersi permettere la costosa vita del tennista, non è sempre impresa facile. Le spese complessive in un anno, per un giocatore professionista nella media, si aggirano intorno ai 170.000$; se pensiamo che la Buyukakcay ha guadagnato quest’anno 185.000$, capiamo immediatamente la realtà dei fatti. Oltre ai problemi organizzativi, queste ragazze devono spesso affrontare problemi ben più grossi, non certo alla loro portata. L’esempio lampante è quello di Shahar Peer. Ritiratasi all’inizio dell’anno, la Peer, israeliana, si è vista sbarrare la strada verso i grandi palcoscenici tennistici più e più volte. Oltre a dover affrontare i pregiudizi comuni, a Shahar è stato vietato giocare parecchi tornei negli Emirati Arabi, solo perché in conflitto col suo paese natale.

TENNIS E POLITICA – Questo episodio fa riflettere su come la politica e la cultura di un paese possa influenzare e talvolta ostacolare una persona. La cultura, inoltre, è uno dei motivi per il quale il tennis fatica ad esplodere nei paesi sopra citati. La mancanza di vecchie glorie, o di personaggi tennistici influenti, rende il tutto ancora più arduo. Immaginiamoci gli Stati Uniti senza Connors, Mcenroe, Williams o qualsiasi altro campione: cosa ne sarebbe stato del tennis? Probabilmente la situazione sarebbe stata la stessa di stati come la Turchia, l’Egitto o l’Oman. Il passato, volente o nolente, influenza sempre il presente.

LA PASSIONE COME FARO – Queste giovani ragazze, animate dalla passione per il proprio sport, continueranno a scontrarsi con questi tipi di problemi, che, purtroppo, non finiranno da un momento all’altro. Come dimostrano, però, la voglia di giocare risulta essere più forte rispetto a qualsiasi altra cosa. La loro è come una corsa che sporadicamente viene interrotta da qualche ostacolo. Devono essere capaci di saltare sempre più in alto, e, a lungo andare, gli ostacoli saranno sempre meno. Loro è il duro compito di spianare la strada per le generazioni successive, prezzo che però sembrino pagare volentieri. Tra tutti i mastodontici grattacieli di Dubai o Abu Dhabi, magari, tra qualche anno, ci sarà qualcuno che sponsorizzerà e supporterà il tennis, femminile e non.

Quello che dice Fatma al-Nabhani è vero al 110%. “Da donne arabe, dobbiamo capire che NIENTE è fuori dalla nostra portata”. L’inno della al-Nabhani, dovrebbe essere condiviso da tutti. La “loro” battaglia non deve essere solo “loro”. Riguarda tutti. Donne, uomini, sportivi e non sportivi, tennisti e non tennisti. Concludo riportando una frase detta dalla Jabeur, che fa capire quanto sia importante per loro giocare per la propria nazione, perché “quando fai bene in un paese piccolo come la Tunisia, non vinci solo tu, vincono tutti”.

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