Padri-padroni, il triste caso di Ioana Andreda Surdeanu

La notizia più inquietante della settimana tennistica, arriva senza dubbio da Kiryat Shmona, una località israeliana in cui si è disputato il torneo ITF Marshall Open. L’evento è diventato in questi giorni tristemente famoso per esser stato il palcoscenico dell’ennesimo episodio di violenza di un padre-padrone nei confronti di una giovanissima tennista.

Protagonisti della vicenda sono la giovane promessa rumena Ioana Andrada Surdeanu, numero 156 della classifica junior ed il padre-allenatore Lucian Surdeanu. Tutto è successo nei quarti di finale, la sedicenne rumena si trova di fronte la n. 1 del tabellone, la russa Daria Kruzhkova che la batte con un netto 6-2; 7-6. La sconfitta e soprattutto il fatto che la figlia non sia riuscita a guadagnare neppure un punto nel tie-break del secondo set, fanno letteralmente infuriare il padre che entra in campo ed inizia ad inveirle contro e a schiaffeggiarla. Il naso della ragazza viene colpito e inizia a sanguinare. La polizia israeliana interviene prontamente arrestando il genitore; soltanto il giorno dopo, dopo essersi assicurati che la ragazza non abbia subito danni gravi, le autorità locali permettono a Lucian Surdeanu di pagare una cauzione da 300 dollari e uscire dal carcere.

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Ma, se la vicenda non avesse già del paradossale, a gettare ulteriore benzina sul fuoco sono arrivate le successive dichiarazioni dalla ragazza, riportate dal freelance di Bucarest, Alecs Stam: “Papà non è una bestia, non mi ha rotto il naso, la mia faccia non era piena di sangue. Mi ha dato sono uno schiaffo. E allora? Me lo meritavo. Perché gli ho urlato contro e gli detto cose che non avrei dovuto. Sono io la responsabile, dopo tutti i sacrifici che ha fatto per me. Ammetto che ero impaurita, al momento del litigio, ma so che lui rimpiange il suo gesto e mi ama quanto io amo lui. Ha un po’ esagerato, ma non meritava di essere arrestato. Spero di poter tornare presto a casa con lui. Voglio continuare il mio percorso nel tennis col sostegno di tutta la famiglia. Non ho giocato bene, specialmente negli ultimi game. Alla fine mi ha detto di dargli il mio cellulare. Questo è il suo sistema per punirmi quando non vinco un match. Gli ho risposto: “Prenditelo”. E gliel’ho lanciato. Ovviamente non l’ha afferrato, ma era soprattutto arrabbiato per come gli avevo risposto. E così mi ha spinto e mi ha tirato due schiaffi. Col primo mi ha preso il naso. Io e mio fratello… siamo particolarmente sensibili e al più leggero contatto il naso ci sanguina. Mi sono seduta sulle ginocchia, e mi sono coperta la faccia col braccio cosicché non potesse più colpirmi. Mi veniva fuori un po’ di sangue. Ero impaurita e tremavo. Lui mi ha dato un asciugamani bagnato e mi ha suggerito di andare al posto medico del torneo. Sì, quando ci alleniamo, facciamo baruffa. Ma niente di più. Non mi aveva mai picchiato prima, è la prima volta. Ora gli impediranno di accompagnarmi nei tornei. E io con chi altri potrei andarci? E, così, come posso diventare Simona Halep?».

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Queste parole lasciano letteralmente allibiti, ci troviamo palesemente di fronte all’ennesimo padre-padrone e alla conseguente ragazza vittima della Sindrome di Stoccolma, che nega la gravità degli episodi e difende a spada tratta il proprio genitore. Forse per paura di dover dire addio al proprio sogno, di non poter raggiungere il livello della più nota connazionale, Simona Halep,  o perché è talmente plagiata dal padre da non riuscire a valutare obiettivamente la realtà.

Episodi come questo non sono nuovi nel mondo del tennis, ci sono sempre e stati; elencare tutti i tennisti che durante la propria vita hanno subito angherie da parte di padri-allenatori sarebbe impossibile. Tracciamo soltanto una breve panoramica, giusto per farne comprendere la gravità.

Suzanne Lenglen: Il padre Charles era solito durante gli allenamenti mettere a terra pezzi di carta che la tennista doveva colpire con la pallina 400 volte ciascuno; quando non ci riusciva, niente marmellata nel toast della prima colazione e pane ed acqua per il pranzo. Come se non bastasse, l’ha poi lasciata morire a soli 39 anni di anemia perniciosa, sola ed ammalata.

Andrea Jaeger: La tennista statunitense che a soli 16 anni raggiunse la seconda posizione del ranking mondiale, del padre racconta: “dai 13 anni in poi smise d’ essere mio padre per diventare solo il mio allenatore e manager; la gente lo considerava uno psicopatico squilibrato che mi spremeva come un limone per arricchirsi. La sua ricetta? estenuanti allenamenti, anche il sabato e la domenica, niente tv, hobby perditempo o amici. La parola d’ ordine: Non parlare alle stronze”. Risultato? A 19 anni Andrea non riesce più a sopportare le pressioni e si ritira, anche a causa di un grave infortunio alla spalla.

Jennifer Capriati: Ad avvicinarla a questo sport è il padre Stefano, il quale a 3 anni le mette la prima racchetta in mano; da questo momento in poi la costringe ad estenuanti allenamenti, vere e proprie torture. Non in grado di reggere la pressione, a 18 anni subisce il primo arresto per furto, dopo qualche mese viene di nuovo arrestata, questa volta perché sorpresa in uno squallido hotel di periferia mentre fa uso di stupefacenti.

Andre Agassi: “Se colpisci 2500 palle al giorno, cioè 17500 la settimana, cioè un milione di palle l’anno, non potrai che diventare il numero uno” questo ripeteva Mike Agassi all’ex kid di Las Vegas. L’iraniano costringeva il figlio ad estenuanti allenamenti contro il Drago, una macchina lanciapalle che egli stesso aveva costruito per aumentare la difficoltà degli esercizi.

Steffi Graf: una delle più forti tenniste della storia, vittima del padre-tiranno Peter Graf, era lui a decidere quando e se la figlia dovesse abbandonare il campo. Per anni ha umiliato Steffi pubblicamente ubriacandosi, tradendo la moglie e dilapidando il patrimonio da lei accumulato.

Mirjana Lucic: Vittima di percosse, violenze verbali e psicologiche da parte del padre Marinko, bandito anche dalla Wta, Mirjana decide di scappare dalla Croazia, insieme al resto della propria famiglia in piena notte, pur di sfuggirgli.

Mary Pierce: Il suo è senza dubbio il caso più eclatante figlia e vittima di Jim Pierce. Jim, ex ergastolano con tendenze schizofreniche, la costringeva ad allenamenti al limite della tortura fisica e mentale, evidentemente ispirati al suo passato da marine. Anni dopo la Pierce ha dichiarato “Mi prendeva a schiaffi se perdevo una partita, o anche dopo un cattivo allenamento”. Durante le partite Jim non perdeva occasione per litigare o fare a pugni con il pubblico, la cui unica colpa era quella di non tifare per la figlia e capitare al suo fianco. Noto ai più per l’episodio in cui urla alla figlia dodicenne “Go on Mary, kill the bitch!” (Mary uccidi quella troia), venne espulso da tutti i tornei Wta solo nel ’93, quando al termine di una partita persa dalla figlia scende in campo e la picchia selvaggiamente di fronte a tutti. Quando la figlia esausta ingaggia una guardia del corpo, lui arriva alle mani anche con il body-guard. Solo grazie all’aiuto della madre Mary, riesce in fine a liberarsi dalle catene paterne. “Per la prima volta potevo essere una persona normale. Guardare la tv, fare shopping, avere amici”.

A questo punto potremmo continuare con il padre di Maria Sharapova (famoso è l’episodio in cui chiede alla figlia di chiudere la partita, facendo il gesto di tagliare la gola dell’avversaria Justine Henin); con quello di Arantxa Sanchez (che ha dilapidato tutto il patrimonio della figlia); di Marion Bartoli (che ha isolato la figlia dal resto del mondo) eccetera. Ma rischieremmo solo di essere prolissi, i casi di padri-padroni nel tennis si sprecano, ciò non significa – badate bene – che tutti lo siano stati; ma è fuor di dubbio che il confine tra allenatore severo e padre dispotico è particolarmente sottile, e la vigilanza deve essere capillare.

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