Superfici di gioco e infortuni nel tennis

Terra rossa, cemento, erba sintetica... I campi da tennis non sono tutti uguali. Alcuni, secondo uno studio, presuppongono una maggiore probabilità di rischio infortuni. Il dottor Rodolfo Lisi ci spiega quali e perché.

 

Alla luce dei dati riportati da Strauss (Università di Leeds), in quel di Exeter, riferibili a due proprietà meccaniche quali deflection e stiffness, si evidenzia come il fondo in erba sia meno rigido di quello in terra ed estremamente meno rigido dei terreni artificiali (Tabella 1 e 2). L’elevata rigidità delle superfici sintetiche è correlabile, assieme alla componente di smorzamento, a elevate forze di impatto. Tale caratteristica, associata all’elevato coefficiente di attrito, è compatibile con la maggiore incidenza di infortuni.

Tabella 1 e 2. Le proprietà meccaniche delle superfici. I risultati dello studio di Strauss (2006).

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A proposito della terra rossa, lo statunitense Saal è dell’avviso che essa non sia particolarmente dannosa dato che «assorbe meglio i colpi, attutisce e richiede un passo scivolante». Diverso, invece, è il parere dello specialista sui campi in duro, che trasferirebbero carichi più elevati agli arti inferiori e al rachide. Per quanto concerne, infine, i campi in erba, Saal ne evidenzia sì le peculiarità di assorbimento dei colpi, ma nel contempo li ritiene «[…] molto duri e di conseguenza persino peggiori dei campi composite». La disamina di Saal è solo in parte suffragata da riscontri scientifici. Se è vero che esistono in letteratura studi che dimostrano un’elevata frequenza di infortuni a carico degli arti inferiori conseguenti alla pratica del tennis su una determinata superfici, è altrettanto vero che gli studi sugli infortuni, sempre in relazione alla pratica di detto sport, a carico del rachide sono pochi, e quei pochi scarsamente attendibili. Dai risultati dello studio di Georg von Salis-Soglio è emerso che un esiguo gruppo (15 elementi) di giocatori esperti accusava dolori alla schiena, ma anche agli arti inferiori, durante la pratica dell’attività tennistica su superfici dure. Tale sintomatologia dolorosa, invece, era generalmente modesta, se non del tutto assente, quando gli stessi giocatori svolgevano la loro attività professionistica su campi in terra rossa. Le informazioni raccolte su base empirica da Joe H. Gieck, insieme alle sue personali esperienze con la discopatia degenerativa, indicano che le superfici più morbide, come l’erba o la terra rossa, riducono l’impatto sulla colonna vertebrale, sulle radici nervose e sui dischi intervertebrali rispetto alle superfici più dure, come il cemento. Più complesso è il confronto terra rossa-erba. La terra rossa appare più rigida dell’erba, ma non si è a conoscenza di dati sullo smorzamento. È pertanto difficile ipotizzare confronti tra le forze di impatto che possono svilupparsi sui due terreni. Inoltre, la forte dipendenza delle caratteristiche fisiche e meccaniche dalle condizioni ambientali, rende difficile fare speculazioni anche sul coefficiente di attrito.

L’insieme di queste annotazioni giustifica la parziale discordanza dei risultati reperibili in letteratura. I campi in erba naturale presentano ulteriori e diverse variabili in relazione a fattori ambientali e climatici, come l’influenza dell’umidità sul già citato coefficiente di attrito. Il coefficiente di attrito dinamico o radente su erba asciutta è di 0,40-0,50 mentre su erba bagnata – condizione diffusa nell’uggiosa Londra, sede del rinomato torneo di Wimbledon – il valore si aggira intorno ai 0,30-0,40. È un dato estremamente interessante, soprattutto se paragonato a quello relativo al ghiaccio (0,15) e al cemento (0,60). La potenziale mancanza di aderenza, quindi, dipende (anche) dallo stato del manto erboso (oltre alle condizioni atmosferiche sfavorevoli, si ricordano l’usura e la presenza di leggere chiazze per qualche malattia vegetale), e si configura come fattore di rischio per la struttura piede-caviglia del tennista. I campi in erba sintetica, di gran voga nel nostro paese per l’italico costume di utilizzare impianti polivalenti, si dividono sostanzialmente in due categorie: quelli che tra i fili (di erba) presentano un riempimento (infill) di un polimero appositamente sviluppato e quelli che utilizzano semplici pneumatici triturati. Entrambe le soluzioni presentano il problema di un accentuato riscaldamento a causa dell’aumentato irraggiamento solare. In particolare, il suddetto fenomeno è più accentuato per i tappeti con riempimento a base di pneumatici tritati, cui possono associarsi emissione di volatili e odori non gradevoli. Rispetto all’erba sintetica, la temperatura superficiale è inferiore nei campi naturali, ragionevolmente grazie all’evaporazione naturale dell’acqua sempre presente nel terreno in quantità tale da permettere il ciclo vitale dell’erba. Tale condizione non è applicabile con successo ad un tappeto sintetico poiché la quantità di acqua accumulabile, senza renderlo impraticabile, è ridotta rendendo così l’effetto dell’evaporazione di breve durata. Le variazioni termiche influenzano probabilmente anche il coefficiente di attrito globale della superficie. Si deve infatti ricordare come i polimeri con l’incremento della temperatura siano caratterizzati dal passaggio da una fase vetroso-gommoso alla cosiddetta “temperatura di transizione vetrosa”. Questo passaggio implica il cambiamento delle proprietà meccaniche (maggiore deformabilità/minore rigidezza ed aumento dell’energia dissipata/minore energia restituita dal terreno). È ipotizzabile come – tralasciando gli aspetti legati all’interazione pallina/terreno – le temperature superficiali rilevabili in una copertura in erba sintetica possano modificare in modo sensibile l’aderenza della calzatura e, conseguentemente, pattern motori e stabilità del corpo.

Rodolfo Lisi

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