Nadal o Non-Nadal?

La sconfitta al primo turno degli AusOpen 2016 è per Rafa Nadal molto più che una giornata storta, ma un segnale di allarme che alle soglie dei 30 anni suona parecchio forte dalle parti della panchina di Zio Tony. Urgono misure tattiche alternative, se il suo mentore è in grado di darne.

La sconfitta di Rafael Nadal al primo turno dell’Australian Open è la notizia del giorno. Non solo perché non era mai accaduto prima al campione di Maiorca di essere estromesso da questa competizione al primo turno, ma perché il suo avversario è un nobile in decadenza (e parecchio chiacchierato  al momento) del tennis iberico. Insomma, un derby combattuto, che vede soccombere il favorito, con un 2016 che sul calendario si aggira alla metà di gennaio e vede nel carniere del n. 5 al mondo ben 2 sconfitte.

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Se il torneo di Doha ha rappresentato in ogni caso un punto all’attivo di Nadal, che ha raggiunto il massimo possibile ovvero la finale contro il monstre-Djokovic, i campanelli d’allarme non devono cessare di suonare, anzi, dovrebbero intensificare il loro richiamo. Oggi, dopo quasi 5h di gioco, la sconfitta di Fernando Verdasco appariva un epilogo più che scontato della commedia in scena, con il favorito che ad un passo dal quinto set e sotto 3-5 e 30-40 nel quarto parziale cambiava totalmente marcia e si issava con un parziale di 12 punti ad 1 a due punti dalla vittoria sul 6-5 0-30 sul servizio del madrileno. Il punto del triplo match point non arriva: anzi, Verdasco tira dall’angolo sinistro un bolide a tutto braccio di dritto incrociato. Poi pesca un paio di servizi vincenti, e si porta al tiebreak, amministrato senza troppi patemi. Ma proprio quando l’inerzia della partita sembra volgere verso il n. 45 del ranking, ecco che Nadal imponeva il suo blasone e breakkava subito il suo avversario: 2 a 0, e pratiche per la vittoria già pronte per la firma. E niente, questo sport, inventato dal diavolo secondo Paolo Bertolucci, si inventa per noi un finale dal sapore psichedelico, con sei game a zero per Verdasco. Un Nadal “stoned” quasi, sotto la gragnuola di colpi di Nando.

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L’avevamo scritto dopo la finale in Qatar, lo ribadiamo adesso. Nadal non ha più la spinta fisica di qualche anno fa. Il suo tennis si basava oltre che sulla straordinaria capacità di recupero e di inversione della “polarità” di uno scambio, anche nei momenti di massima sofferenza, essenzialmente sulla capacità di imporre ritmi di corsa e top-spin che non hanno trovato, almeno sulla terra (ma anche altrove come recita il palmares del maiorchino)  eguali per quasi tre anni. Sulla terra poi il dominio è stato sempre e comunque disarmante. Nadal non ha mai giocato sull’uno\due: servizio e dritto, o spinta nella risposta e poi via col vincente o la chiusura a rete. Eccetto che per situazioni di necessità, lo spagnolo ha preferito costruire i suoi punti, su 4\5 palleggi nei quali l’obiettivo era allontanare sempre di più il suo avversario dalla palla, fino a crearsi un angolo vuoto dove chiudere il scioltezza. Per fare questo, scambio dopo scambio, game dopo game, era necessaria una fisicità che non avesse crepe, che imponesse ritmi folli, che portasse lontano dalla riga di fondo i giocatori in grado di tirare vincenti.

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Ma appena questa fisicità e venuta meno, appena qualche acciacco più o meno grave ha intaccato il sistema-Nadal, ecco che gli errori sul rovescio sono aumentati, il dritto ha accorciato la sua gittata, i “giri” del suo top-spin sono calati. Adriano Panatta, incontrandolo al Roland Garros, riferisce di avergli detto di tirare più forte il servizio, perché lo aveva visto in difficoltà sotto le risposte dei suo avversari, che spesso riuscivano subito a prendere l’iniziativa sul suo servizio, anche sulla terra. E Rafa, nella seconda parte del 2015 ha infatti aumentato la velocità della prima palla, talvolta ha cercato anche il vincente, rischiando molto questo fondamentale, dal quale aveva sempre tratto poco vantaggio in rapporto alla forza dei fondamentali da fondo campo. Eppure, oggi, questo non basta più: la corsa non è più quella di 5\6 anni fa, si rincorre spesso e (mal)volentieri la palla altrui, invece di imporre le proprie traiettorie. La sconfitta di oggi, contro un giocatore dal grande blasone ma dalle sconfitte inopinate raggranellate negli ultimi due anni in particolare, suona davvero stonata.

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Da dove ripartire? Quali alternative, lo ribadiamo, tattiche sono in mano a Nadal e al suo team? Al momento la risposta a questa domanda, cogente, è: nessuna. Gli stentati back di rovescio e l’aumentata velocità al servizio sono state le uniche proposte per arginare il ciclone Djokovic: ma al netto del n. 1 del mondo, perdere o andare in difficoltà con altri top 50 o top100 non può e non deve essere archiviato come “una giornata storta”. Il torneo di Doha, col suo tabellone più che abbordabile, ha forse illuso qualcuno, ma già il match di quarti di finale contro Andrey Kuznetsov avrebbe dovuto alimentare qualche dubbio tra gli osservatori. Qualche dubbio che dovrebbe ragionevolmente serpeggiare dalle parti della panchina di Zio Tony. Se ci sono delle varianti tattiche da apportare in ragione della calata fisicità, è bene che lo “zio” più famoso del circuito ATP le tiri fuori. Ora.

Il tema del 2016 potrebbe essere: chi è Rafa Nadal, il suo doppio che fatica e perde, o quel campione che saprà tornare shakespearianamente se stesso?

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