Bello lo US Open eh, ma il Challenger di Como…

Se volete sapere come è andato tennisticamente il torneo non leggete il pezzo: non ho scritto neanche il risultato della finale.

È finito due giorni fa il Challenger di Como e di Mariano Comense. Ebbene sì, perchè se non lo sapete è bene, cari lettori Tennis Circus, che lo sappiate: sabato non si è giocato nel capoluogo di provincia lombardo, ma nella (non tanto) ridente cittadina di Mariano Comense, appunto, a circa mezz’ora da Como. Questo perchè sulla città in riva al Lario è caduta un’incessante pioggia da venerdì pomeriggio a sabato sera che non ha permesso il normale svolgimento dei match: alle 18 di sabato, infatti, restava ancora da giocare l’ultimo quarto di finale. E Mariano è sede del circolo più vicino coi campi in terra rossa. Fin qui, in realtà, poco di strano: anzi, mi sento quasi in dovere di complimentarmi col direttore del torneo Paolo Carobbio e con il supervisor Carl Baldwin per aver salvato il salvabile. Quello che è strano, o quantomeno particolare, è come sia avvenuto lo spostamento.

La notizia del trasferimento dei match è arrivata alle 15.30 circa. Salvatore Caruso ed io eravamo seduti sui divanetti del circolo di Villa Olmo a guardare le qualifiche del Gran Premio di Monza e a chiacchierare di Raikonenn, quando Carl, avvicinatosi al televisore, ha detto con voce sicura e decisa: “It’s still raining, so…we are moving to Mariano Comense!”. E allora tutti fuori: non avevamo l’Arca di Noè per sfuggire al diluvio universale come accadde qualche lustro fa, ma bene o male eravamo tutti in macchina. È iniziata così la conta di quanti posti ognuno poteva mettere a disposizione; io, con la mia Smart, non ero granché utile e quindi mi sono messo subito in viaggio. Mentre stavo, però, varcando la soglia dell’uscita del Tennis Como, ho sentito un signore sulla cinquantina dire all’addetto stampa che Klizan e fidanzata sarebbero andati con lui. Penso fosse il padre di un raccattapalle. Non ho voluto approfondire né chiedere di più perchè sono tuttora innamorato dell’idea che uno che ha battuto Thiem e vinto a Kitzbuhel, quattro settimane più tardi sia salito, con signora al seguito, in macchina col papà di un ragazzino che gli passa le palle al Challenger di Como. Che ci volete fare, sono un romanticone.

Nonostante qualche sguardo non esattamente di approvazione di alcuni dei giocatori, i due campi di Mariano Comense hanno fatto il loro dovere e consentito di finire almeno i quarti di finale. Semifinali e finali (compresa quella del doppio) sono state dunque rimandate alla giornata finale, in cui in teoria sarebbe dovuto splendere il sole. Ecco, in teoria. Nella notte tra sabato e domenica, qualcuno che non era nelle braccia di Morfeo come il sottoscritto mi ha riferito che è piovuto per più di un’ora. Inutile dire che su tutti i campi c’era più fango che terra battuta. Su tutti, sì, meno che uno. Quell’uno era il campo numero cinque del Tennis Como, che è in Red Plus: per chi non lo sapesse (ora faccio il figo ma l’ho scoperto anche io l’altro ieri), significa che è composto da uno strato sintetico ricoperto di terra rossa, quindi l’acqua non era penetrata in profondità. E poi non pioveva, dunque si poteva giocare. Tuttavia, quel campo non aveva neanche un’idea di tribuna, e quindi in molti hanno fatto di necessità virtù. Io, che come sempre mi ero impicciato negli affari degli altri e avevo origliato il discorso del supervisor, avevo capito l’andazzo e mi ero messo esattamente in mezzo a una delle due panchine che dopo essere state trascinate vicino al terreno di gioco, fungevano di fatto da tribuna vip. Gli altri, per poter vedere erano o in piedi dietro di me (eheh), o sul tetto della sede del Circolo (come sempre, allego foto per i miscredenti. Ah: tra costoro c’era anche il giudice di sedia Ettore Messina), o appostati come vedette sui seggiolini dell’ultima fila di posti del Centrale che in effetti si affacciava su quel campo, usato nei primi giorni di torneo solo per gli allenamenti.

Tetto

Le due semifinali e la finale del doppio si sono quindi disputate sul cinque, mentre la finale del singolo si è, grazie al cielo, potuta giocare sul Centrale. Per questo dobbiamo esser grati anche a Salvo Caruso e Christian Garin, che hanno accettato di giocare nonostante le condizioni del terreno non fossero esattamente quelle del Roland Garros. O forse per il cileno quel campo non era tanto distante dalla sua idea di perfezione, visto che ha commentato spiegando che in Sudamerica i campi sono ben peggio di come era messo quello, e che quindi per lui si sarebbe potuto giocare eccome.

Un “bravo” enorme va a “Sabbo” Caruso per aver vinto il suo primo titolo in carriera (e anche per avermi offerto un bicchiere di Champagne a fine partita), ma anche a tutti coloro i quali hanno gestito con fermezza la situazione, e non hanno fatto cadere nel drammatico un torneo che in certi momenti poteva davvero diventarlo.

P.S.: Forza Ferrari.

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