Doping: il tennis è un’isola felice?

Il doping diventa un problema sempre più dibattuto, e metodi mano a mano più accurati per la sua prevenzione vengono applicati. Al di fuori del mondo del tennis.

IL TENNIS “PULITO”? – Paragonato ad altri sport come il ciclismo o l’atletica, il tennis conserva ancora una facciata di “sport pulito”, dato che i casi di atleti con esito positivo nei test antidoping sono pochi e di poco rilievo – eccezion fatta per i recenti casi di Maria Sharapova e del meldonium o di Sara Errani e dei tortellini della mamma. Inutile negare però che, fra professionisti e appassionati, nell’ambiente circolano diverse voci sull’argomento, e si concentrano sui tennisti con gli stili più muscolari e dispendiosi, come Nadal, Djokovic, la stessa Sharapova o Serena Williams; ma finora nessuna prova significativa in tal senso è stata rilevata, e le voci (dettate dal sentimento della giustizia, ma troppo spesso anche dall’astio verso gli avversari dei propri beniamini) restano tali e, perciò, insignificanti.

COSA SI SA – L’inglese The Guardian ha recentemente pubblicato un articolo che dava voce proprio a questi rumours: in esso l’autrice, Marina Hyde, espone tutte le falle del sistema antidoping utilizzato nel tennis, e contribuisce a creare nel lettore un dubbio sospettoso. Ma noi fermiamoci ai fatti. I fatti sono che l’80% delle analisi a campione vengono effettuate durante la competizione, o subito prima; gli esperti di antidoping, e i più rigorosi, sanno che questo tipo di controllo non offre alcuna garanzia sulla reale condizione dell’atleta. Nel nostro sport i controlli sono della stessa intensità degli sport (minori) quali pallamano e kayak, e il numero di risultati positivi ai test è tre volte inferiore a quello degli altri sport olimpici. Inoltre, i controlli non perseguono le sostanze quali EPO e testosterone sintetico, che sono le più efficaci e le più utilizzate dagli sportivi, perché controllarle costerebbe fra gli 1,2 e 1,6 milioni di dollari all’anno. Per fare un paragone, l’ITF spende 4 milioni di dollari l’anno in test antidoping, mentre 3,7 milioni di dollari è il premio per il vincitore degli Us Open. Tutto ciò è noto agli addetti ai lavori e ai giocatori, e infatti diversi di loro in passato hanno definito l’intero programma antidoping tennistico “qualcosa utile solo a mettere il cuore in pace”. Di più: è preoccupante la notizia pubblicata ieri dal New York Times riguardante gli atleti russi alle Olimpiadi, assolti in 95 su 96 per mancata collaborazione del governo russo alle indagini. Come vediamo, gli ostacoli non provengono solo dalle resistenze degli esaminati, ma anche dalle autorità e dalla WADA stessa, accusata di non aver seguito in profondità tutti gli indizi.

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COSA NON SI SA – Dunque (pur non intendendo alimentare teorie complottistiche di sorta) risulta almeno chiaro che il sistema di controllo adottato nel mondo del tennis non è aggiornato; una volta migliorato, però, nessuno può dire se determinerebbe effettivamente un aumento dei casi di positività ai test, o se semplicemente otterrebbe gli stessi riscontri. Consideriamo anche che, dopo tutto ciò che si è detto su Masha, a nemmeno due anni di distanza lei è di nuovo in competizione e il passato sta rapidamente cadendo nel dimenticatoio. Una volta che i giocatori trovati positivi ai test aumentassero, come cambierebbe l’identità dello sport? A queste domande non è possibile rispondere senza prima aver vissuto gli eventi.

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