L’annus horribilis di Novak Djokovic

Il 2017 non sarà certo un anno da ricordare per il serbo. Ripercorriamo le tappe di una stagione ben al di sotto delle aspettative, andando a cercare le radici di una crisi culminata con la rinuncia alla parte restante della stagione da parte di Novak Djokovic.

Il 2017 tennistico ha ancora molto da dire, così come molto ha già detto. Non ci sono però dubbi che sarà ricordato negli annales del tennis come l’anno della seconda giovinezza di Sua Maestà Roger Federer e delle decime di Nadal (e chissà, forse del ritorno in vetta alla classifica di uno dei due grandi amici-rivali). Se questa è la prima certezza in merito, possiamo già avanzarne una seconda: non sarà sicuramente trasmesso ai posteri come l’anno di Novak Djokovic, il cui 2017 tennistico è invece finito, come ha annunciato lo stesso tennista la settimana scorsa; ed è forse un bene per il serbo che i suoi rivali di lunga data abbiano preso la ribalta, oscurando e facendo passare in sordina, per quanto possibile, un anno disastroso dal punto di vista dei risultati, e non solo, per il maestrante della racchetta di Belgrado. Ma può essere considerata disastrosa una stagione segnata da due successi (tornei Atp 250 del Qatar e di Eastbourne), due quarti di finali slam ed una finale in un master 1000? Staremmo parlando di un’ottima stagione se solo avessimo a che fare con un tennista normale, ma lo stesso non può valere quando hai a che fare col tennista che ha dominato la scena del tennis mondiale quasi ininterrottamente negli ultimi 5 anni, quel giocatore che ci aveva abituato a vincere sempre, anche quando giocava male, malissimo (chi non si ricorda il famoso match dei 100 errori gratuiti contro Simon agli AO?), anche quando sembrava dover perdere, anche quando non era favorito, quel giocatore dotato di una forza mentale straordinaria, una freddezza da automa, tanto da meritarsi il soprannome di “RoboNole”. Che fine ha fatto quel Nole? Ripercorriamo a ritroso il suo 2017, cercando di risalire al punto di scaturigine di una crisi il cui climax è stato raggiunto dalla recente rinuncia alla restante parte di stagione da parte del serbo.

La stagione del serbo inizia fra le mura amiche degli sceicchi del Qatar Open, Atp 250 dal montepremi oltremodo ricco, torneo dove Novak difende il titolo. Il serbo salva 5 match points nel match di semifinale contro Verdasco, per poi andare a vincere il torneo in finale contro Andy Murray, nel primo episodio di quella che sembra prefigurarsi come la rivalità della stagione, continuando sulla falsariga di quanto avvenuto nel 2016. Le premesse sembrano pertanto ottime quando Novak raggiunge il Melbourne Park, il giardino di casa dove Novak è solito iniziare al meglio le sue stagioni (6 titoli nella terra dei canguri, come lui solo Roy Emerson). Il sorteggio gli mette nuovamente davanti Fernando Verdasco, ma questa volta il serbo si impone in tre facili set. Nulla lascia presupporre ciò che accadrà al secondo turno, il quale ci consegnerà una delle più grandi sorprese tennisticamente parlando degli ultimi anni: Djokovic affronta Denis Istomin, noto ai più per il look stravagante e gli occhiali da sole, oltre che per le infinite partite al quinto set che l’hanno visto opposto al nostro Andreas Seppi, che per i successi tennistici. Tutto sembra predisposto per una facile vittoria del serbo, ma il match, protrattosi per 5 set, vede trionfare sorprendentemente l’uzbeko, con Novak che dopo i 5 successi ottenuti nelle precedenti 6 edizioni dello slam australiano depone lo scettro nel peggiore dei modi, mettendo a segno ben 72 errori gratuiti. Primo forte segnale della crisi, e prima di una serie di dichiarazioni ambigue che paleseranno la rottura del rapporto d’amore fra il serbo ed il tennis; in conferenza stampa difatti Djokovic dirà: “Dovete capire la mia situazione. Non lo so. Ora voglio solo andare a casa e stare con la mia famiglia.”.

Archiviata la triste parentesi australiana, il tennista di Belgrado si presenta al Mexican Open di Acapulco, Atp 500, accettando una wild card che gli permette di fare il suo debutto nella terra degli Aztechi. Dopo aver faticato al primo turno contro il sempre ostico Martin Klizan, Novak supera al terzo set il gigante di Tandil Del Potro, ed approda ai quarti di finale, dove trova ad aspettarlo un ritrovato Nick Kyrgios, il quale ubriaca col suo tennis fatto di potenza e genio e sregolatezza l’ormai fu RoboNole, schiantandolo in due set: 7-6(9) 7-5 il risultato finale, e seconda sconfitta dell’anno per il serbo. Djokovic vola poi verso il “Golden State”, la meravigliosa California, raggiungendo Indian Wells, sede del primo torneo Masters 1000 dell’anno, ribattezzato “il quinto slam”. Il serbo, forte dei 5 successi, supera il modesto Kyle Edmund al primo set, e ritrova Del Potro al secondo set: ancora una volta supera l’argentino in tre set, sfoggiando però una violenta manifestazione di forza nel terzo set. Djokovic segna così facendo la più lunga striscia di vittorie del torneo californiano, giungendo alla diciannovesima vittoria consecutiva. Al terzo set però il belgradese incontra nuovamente il cenerentolo d’Australia Nick Kyrgios: anche questa volta si impone il nativo di Canberra, che sommerge il serbo di colpi vincenti, a suon di prime e seconde scagliate a mirabili velocità: 6-4 7-6(3) il risultato finale, e vittoria ancora più netta rispetto a quella ottenuta da Kyrgios ad Acapulco.

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Il 19 Marzo Djokovic pubblica un tweet sul suo profilo, che recita ” Mi scuso con i miei tifosi e le persone che hanno comprato i biglietti per vedermi giocare dal vivo al Miami Open. Sfortunatamente, sono infortunato e non sono in grado di giocare.”. Primo stop dell’anno per il serbo, e primo manifestarsi dell’illanguidirsi della sua infinita riserva di energie: un infortunio al gomito, che si ripresenterà poi, come vedremo più avanti, a Wimbledon, che lo costringe a guardare dal divano di casa il Master 1000 di Miami. Dopo lo stop, Djokovic va in trasferta nel giardino di casa di Rafael Nadal, il master 1000 di Montecarlo, dove il serbo ha ottenuto un solo successo. Dopo aver faticato parecchio nei primi turni, il serbo, appeso ad un filo, raggiunge i quarti di finale, dove trova l’elegante belga David Goffin, che causa l’ennesima prematura eliminazione del serbo, costretto a cedere sotto i precisi e taglienti colpi di La Goff. La tournée su terra rossa continua con il Mutua Madrilena Madrid Open, quarto torneo master 1000 dell’anno, dove Djokovic difende il titolo conquistato nel 2016 contro Murray. Questa volta però la Caja Magica è indigesta per il serbo, che, dopo aver superato gli spagnoli Alamgro e Feliciano Lopez, ed aver beneficiato del WO di Nishikori, soccombe sotto le rotazioni di un ormai pienamente ritrovato Nadal, che andrà poi a vincere il torneo, bissando il successo ottenuto nel Master di Montecarlo (il decimo in terra monegasca ndr).

Il percorso di avvicinamento allo slam parigino si conclude nella città eterna, con i nostrani Internazionali BNL d’Italia, tenentisi nella straordinaria cornice offerta dal foro italico.  Djokovic si presenta a Roma non certo sotto i migliori auspici con il dovere di difendere la finale persa l’anno precedente contro lo scozzese Andy Murray, ma forte dei 4 successi ottenuti sulla terra del foro (secondo in questa speciale classifica solo all’eptacampione maiorchino Nadal). Il percorso del serbo procede senza intoppi sino alla finale, alla quale Novak giunge dopo aver offerto due grandi prestazioni: la prima contro il solito Juan Martin Del Potro, sconfitto senza possibilità di appello nei quarti di finale con una gara di estrema solidità (solidità non scalfita nemmeno dall’interruzione della partita, ultima in programma sul centrale per il programma serale, a metà del secondo set), la seconda contro l’astro nascente Dominc Thiem, giustiziere a sorpresa di Nadal nei quarti di finale, austriaco che viene annientato da una mostruosa prova di forza di un Djokovic che sembra instradato verso il recupero di uno stato di forma ottimale (6-1 6-0 il risultato finale). In finale il tennista di Belgrado trova il Next Gen Alexander Zverev, col favore dei pronostici, ma soccombe sotto i talentuosi colpi del giovane tedesco, che sconfigge il serbo col punteggio di 6-4 6-4 in 1 ora e 21 minuti, disilludendo i tifosi del serbo che speravano in un subitaneo ritorno del loro beniamino.

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Quello che solca i campi di Parigi è un Djokovic che ha bisogno di nuovi stimoli, che a 12 mesi di distanza dal completamento del Grande Slam sembra non essere in grado di trovare in sé le motivazioni che possano spingerlo a vincere ancora, dopo aver vinto praticamente tutto; da qui nasce probabilmente la decisione di affidarsi alla sapiente cura di Andre Agassi, un fulmine a ciel sereno che arriva dopo la decisione di inizio anno del serbo di liberarsi dell’intero staff tecnico. Novak si presenta pertanto al Roland Garros, da campione in carica, animato dall’entusiasmo offertogli da questa nuova esperienza, come già aveva dichiarato nell’intervista post partita della finale di Roma: “Per il momento siamo entrambi entusiasti di iniziare questa collaborazione insieme […] Perché ho scelto proprio lui? Per un sacco di motivi. Prima di tutto, nutro grande rispetto per lui sia come persona che come tennista. Come giocatore ha passato tutto ciò che sto passando io”.

Il serbo vince agevolmente i primi due incontri, ma già al terzo turno dimostra, contro il modesto Schwartzman, di non aver superato le difficoltà che si trascina oramai da inizio anno, riuscendo ad avere ragione dell’argentino solo al quinto set. Sbarazzatosi di Ramos-Vinolas, il Djokovic ritrova dall’altra parte della rete l’austriaco Dominic Thiem, affrontato ed annientato solo pochi giorni prima, tennista che tutti sanno però essere perfettamente a proprio agio sulla terra; l’epilogo è però completamente diverso: l’austriaco liquida Novak in tre set, rifilandogli addirittura un dolorososissimo, quantomeno per il morale, bagel nel set finale. Sembra l’acmè della crisi del serbo, che nell’intervista post partita lascia trasparire una prima indiscrezione circa la possibilità di una pausa dal tennis: “Pausa del tennis? Non lo escludo”. Djokovic sembra però deciso a continuare, secondo i più malevoli trattenuto dalla sola volontà di ottemperare agli obblighi impostigli dal contratto appena firmato con la casa di moda francese fondata dal più celebre dei “tre moschettieri”.

Arriviamo quindi all’epilogo, a Church Road, dove il serbo approda dopo aver ottenuto il successo nel modesto Atp 250 di Eastbourne. La permanenza nella mecca del tennis prende avvio nel migliore dei modi per il serbo, che ottiene tre facili e convincenti vittorie nei primi turni, l’ultima delle quali ai danni del “conte” Ernest Gublis, che sembrava aver ritrovato sull’erba londinese l’ormai perduto smalto dei bei tempi. Qualche crepa si intravede però già al quarto turno, dove Novak è costretto al quarto set dal francese Mannarino. Nei quarti Novak affronta il ceco Tomas Berdych, contro il quale gode di uno storico ai limiti dell’imbarazzante, pari a 25 vittorie e 2 sole sconfitte, una delle quali però sofferta proprio sul centrale di Wimbledon. Novak lotta nel primo set, ma perde il gioco decisivo; al cambio campo chiama il medical time out, per un fastidio al gomito, ma è solo una strategia, dicono i malpensanti. Il serbo non sembra però in grado di continuare, e sul 2-0 si avvicina alla rete con lo sguardo languido e il sorriso sardonico che è solito indossare quando tutto va male, e decide di porre fine al match. È il punto di arrivo di una lunga crisi, un climax ascendente che segna forse la fine di un’era, di anni di dominio balcanico, un lungo regno protrattosi a suon di vittorie e solidità, e fisica e mentale, tutte caratteristiche che non sembrano più appartenere al fu “robonole”. Ancora una volta il giocatore di Belgrado inneggia al riposo: “Probabilmente la cosa migliore per me in questo momento è il riposo”.

Pochi giorni dopo Nole organizza una conferenza stampa, e annuncia ciò che oramai era nell’aria da tempo: dopo aver consultato i migliori medici del globo, il serbo ha deciso di porre fine alla sua stagione, per dedicarsi al recupero, fisico e non solo. Sorge dunque spontanea la domanda: che Djokovic ci restituirà il 2018? Riuscirà il serbo a ritrovare le motivazioni, a riassumere quella forma aurea che ne aveva determinato la quasi imbattibilità? Per ora godiamoci il canto del cigno dei due grandi campioni che stanno, alla veneranda età di 31 e 36 anni, lottando per il numero 1 del ranking, e attendiamo il responso degli aruspici: ai posteri l’ardua sentenza.

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