L’atto finale di Rafa Nadal

"Il mio principale obiettivo non è tornare n. 1, ma rimanere nel circuito più anni che posso". Rafa Nadal, che ha dichiarato di avere "altri due anni" nel tennis, sa che questo ennesimo ritorno sarà l'ultimo della sua carriera. Un altro infortunio, un altro stop sarebbe fatale. Da qui la scelta di una programmazione ridotta per giocarsi il tutto e per tutto nei tornei più importanti. Prima della fine.

“Se voglio ritornare numero uno? Sì, ma non a tutti i costi. Non voglio mettere a repentaglio i migliori anni della mia carriera per tornare alla prima posizione mondiale”.

Così ha detto Rafael Nadal, il campione di Manacor, redivivo come una Fenice, che si appresta a tornare dopo la lunga, ennesima assenza dal circuito, nei campi dello Zayed Sports City, ad Abu Dhabi, per il torneo-esibizione Mubadala Tennis World Championship. Rafael non vuole rischiare di tornare, un’altra volta fuori dai giochi. Per questo, lo spagnolo ha lasciato intendere che l’anno prossimo avrà una programmazione più ridotta, per dare un po’ di tregua al suo fisico già martoriato. A 28 anni, Nadal sa bene che riprendersi da un infortunio è più difficile che a 20. Anche i gatti hanno nove vite, non cento.

“Per me tornare numero uno non è più un obiettivo della mia carriera”, ha continuato il n. 3 del mondo in un’intervista alla tv France2, per pubblicizzare la sua nuova accademia di tennis. “Se lo diventerò per i risultati ottenuti, allora sarà tutto di guadagnato. Ma seguirò solo la mia programmazione, torneo dopo torneo”.

La solfa si ripete, dirà qualcuno. L’arrotino ha messo le mani avanti, sentenzierebbe un altro. Eppure, questa volta è diverso che nel 2009, o nel 2012. Nadal forse ha per la prima volta visto da vicino lo spettro della fine della sua carriera. Anche un fenomeno come lui (fenomeno nel significato greco del termine) in quelle dure settimane di cure e riabilitazioni, in quei pomeriggi spesi davanti alla Tv ad assistere alle vittorie degli altri, avrà sicuramente temuto – magari durante un attimo di sconforto – di non potercela più fare. Non questa volta, non come tutte le altre.
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Quasi cinque mesi sono passati dall’infortunio al polso destro, avuto durante un allenamento e sommato al dolore alla schiena e all’appendicite, che gli ha fatto saltare tutta la stagione americana, compresi quegli Us Open dove l’anno prima aveva dato un sigillo definitivo alla sua resurrezione. “Il mio principale obiettivo è quello di rimanere nel circuito più anni che posso”, ha dichiarato l’iberico.

Queste parole ci conducono a una serie infinita di interrogativi e pindariche supposizioni di appassionati che da anni impazzano sui forum e i social network. Quanto potrà giocare ancora Rafael Nadal? Fino a quando il suo corpo saprà reggere i ritmi del suo tennis ultra-fisico e basato sulla potenza? Domande come queste, a volte con il sapore di sentenze, hanno circondato tutti i ciclici momenti di stop di Nadal, il quale puntualmente ha risposto, con le sue rinascite, che quello non era ancora il momento della sua uscita di scena.

Tali domande sono accompagnate, fra l’altro, alle solite teorie sulla scarsa longevità ad alti livelli di Nadal rispetto a Federer (Eeh, ma voglio vedere come si ritrova l’arrotino a 33 anni). In realtà, le statistiche dimostrano che la longevità dello spagnolo in fatto di vittorie Slam è già identica a quella dell’elvetico, data la maggiore precocità del primo. Se nove anni sono trascorsi dal primo Major vinto Roger, (Wimbledon 2003, a quasi 22 anni) all’ultimo (Wimbledon 2012, a 31), sempre nove sono passati dal primo all’ultimo di Rafa (Roland Garros 2005 e 2014, quando aveva 19 e 28 anni). Una distanza di tempo tra le più alte nella storia, dietro solo a quella di Pete Sampras (12 anni), Andre Agassi e Boris Becker (10 anni e 6 mesi) e Jimmy Connors (9 anni e 7 mesi).

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In ogni caso, Nadal era stato molto chiaro sul suo futuro, in una dichiarazione di fine novembre: “Ho altri due anni. Devo provare a competere con tutti ed ho bisogno di essere al top. Molte cose sono successe che non mi hanno permesso di avere il passo necessario per essere competitivo in tutti i mesi dell’anno. L’obiettivo del prossimo anno è che questo non accada”. Il periodo dichiarato di altri due anni di attività non sembra detto a caso. Rafa, infatti, nel 2012, tre anni fa, aveva previsto il suo ritiro con la stessa precisione: “Potrei smettere tra cinque anni, quando avrò 31 anni, sapendo che ho iniziato a 16 anni”, per poi aggiungere che “giocando meno ora, la mia carriera potrà durare più a lungo”.

Si ha quindi la sensazione che Nadal oscilli tra la scelta di un ritiro prestabilito da molto tempo e il desiderio di spingersi oltre, fin quando le energie lo assistono. Il vero, più aulico quanto difficile traguardo dell’iberico sarebbe superare i 17 Slam di Roger: un desiderio mai dichiaratamente espresso da Rafa ma più volte ribadito dallo zio Toni. Obiettivo molto arduo, se limitato a soli due anni (dovrebbe vincere due Slam all’anno, ammesso che lo svizzero non ne vinca altri), ma Rafa potrebbe decidere di trascinarsi oltre e conservare gli ultimi scampoli di energie per diventare a tutti gli effetti il primo tennista della storia.

Tra le tante teorie, è quasi certo che questo sarà l’ultimo atto del ciclo professionistico di Nadal, partitura inframmezzata da infortuni e riprese, lunghe assenze seguite da roboanti strisce di vittorie. Se Nadal si farà male ancora, in modo serio, lascerà il tennis in modo definitivo. Quando sarà conscio di non essere più competitivo o di non potersi più rialzare, deciderà di andarsene con la stessa immediatezza con cui era arrivato, giovanissimo, come un uragano, per dare un colpo di spugna a tutte le gerarchie prestabilite nel circuito Atp. Non imiterà mai il compromesso di Federer il quale, perfettamente a suo agio nella figura di saggio pater familias, ha accettato di spegnersi lentamente, tra acuti e sconfitte, nella tranquillità atarassica diluita nel tempo che non fa presagire neppure l’ombra di un ritiro imminente; e che, se ci fidiamo alle ottimistiche di Pat Cash, “potrebbe continuare a incantarci per altri 10 anni”.
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Se la carriera di Federer è stata una sinfonia di Bach, armonica e coerente nella sua eccellenza, che si affievolisce quasi senza accorgersene, quella di Nadal appare più simile a un brano degli Who, o dei Led Zeppelin (forse Moby Dick?): una sequenza di battiti forti e ritmati inframmezzati da silenzi, destinata a concludersi con il catatonico e incombente rush finale delle percussioni prima della fine. Prima che tutti quegli rampanti edipici Nishikori, Raonic, Dimitrov e poi Kyrgios finiranno, com’è giusto che sia, per ammazzare il padre, anzi il fratello maggiore.

Per capire quali esiti avrà l’atto finale di Rafael Nadal, solo il tempo ci darà risposte. La vedremo, la fine di questo immenso gladiatore forgiato dalla terra e per la terra, davanti ai nostri occhi, mentre trangugiamo patatine e beviamo cedrata Tassoni dai traboccanti calici argentati. Mettiamoci comodi.

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