Le NextGen Finals viste dal vivo

Le nuove regole e il nuovo format di torneo stanno suscitando diversi apprezzamenti. Cosa sta funzionando e cosa, invece, andrebbe rivisto?

Nei giorni scorsi sono stato alle NextGen ATP Finals di Milano, e ne sono rimasto tanto colpito da farci un pezzo. Per l’aria che si respirava mi è sembrato quasi di essere in un universo al di fuori dei confini italiani. Non tanto perchè di solito le nostre manifestazioni sportive siano malorganizzate, ma perché l’atmosfera era più simile a quella di un evento internazionale, tipo i match di Football americano, per intenderci.

Nonostante la politica del free-movement il pubblico si sta dimostrando molto corretto e rispettoso: molti aspettano la fine del punto per entrare sul Centrale e cercare il proprio posto, anche se appunto potrebbero farlo in ogni momento. Il silenzio, come è giusto che sia in una partita di tennis, regna quindi assolutamente sovrano. Quando c’è un punto importante, come un break point, i fari sul soffitto creano dei fasci di luce che si spostano di qua e di là sul pubblico, e sul maxischermo e sui ledwall appare la scritta “break point”. Sicuramente anche questo fattore fa aumentare lo spettacolo e la suspance, ma credo che per i giocatori (soprattutto per quello che sta perdendo) sia una dose notevole di ansia in più. L’innovazione che più mi sento di approvare è quella che riguarda l’assenza dei giudici di linea: quando una palla rimbalza fuori dal rettangolo, una voce fuoricampo maschile o una femminile, che si alternano (devo ancora capire con quale criterio), urla un “out” forte ed immediato. L’unica “pecca” di questo sistema è che l’”out” venga pronunciato anche quando la pallina rimbalza più vicina alla tribuna che al campo, ma d’altronde se un colpo finisce fuori, indipendentemente da quanto lo sia, è giusto che la chiamata arrivi.

Al termine di ogni set e di ogni game in cui i giocatori si siedono sulle rispettive panchine, un dj (che sta perennemente in piedi sotto la facciata riprodotta de La Scala) coinvolge il pubblico a ritmo di musica, mentre un vocalist incita a battere le mani a tempo di musica e a “far sentire il calore dell’Italia ai giocatori”. Tutto molto bello, ma ritengo che il volume della musica sia davvero troppo alto: credo che i giocatori, a tratti, facciano fatica anche a comunicare con il proprio coach tramite le cuffie. A proposito di coaching (finalmente ne possiamo parlare nel circuito ATP senza che sia solo un’utopia), trovo molto interessante e coinvolgente che anche il pubblico “esterno” possa sentire cosa l’allenatore e il proprio assistito si stiano dicendo.

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In generale, mi sento di approvare quasi totalmente le nuove regole, anche se penso che quella che riguarda i set ridotti non stia dando l’effetto desiderato: i match si aggirano comunque tutti intorno alle due ore, anche perché i game da vincere affinchè la partita termini sono comunque dodici. Per quanto riguarda la suspance, invece sì, aumenta: obiettivo centrato.

8 comments
  1. Io invece ho visto poco e niente perché il pubblico continuava a muoversi impedendo la visuale e tutti parlavano…..se non riuscivo a concentrarmi io come spettatrice figuriamoci i giocatori! Mi è sembrata la classica americanata….non una vera partita di tennis ….ahimè

  2. Ieri ero lì e sono d’accordo con chi dice che le persone che vanno avanti e indietro durante il gioco danno fastidio!
    Ma la cosa che non capisco però è il tie-break… che senso ha lasciarlo a 7 punti senza manco killer point?
    Se si fanno 5 set tutti al tie-break e vanno tutti ad oltranza, le nuove regole per velocizzare il gioco perdono il loro scopo

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