Us Open, gli anni di Nadal a New York

Il n°1 del mondo, al suo tredicesimo US Open, giocherà questa sera la quarta finale nello slam statunitense.

Qualcuno aveva storto il naso quando, lo scorso 21 agosto, Rafael Nadal era tornato ad occupare la prima posizione nel ranking mondiale dell’ATP dopo oltre tre anni di assenza. I dubbi sulla legittimità dell’impresa erano venuti in particolar modo dalle circostanze, più consone negli ultimi tempi al circuito femminile, con cui era avvenuto l’insediamento, ovvero dopo aver subito una sonora batosta da Nick Kyrgios ai quarti di finale del Masters 1000 di Cincinnati.

Ma, giova ribadirlo, la classifica mondiale tiene conto dei risultati delle ultime 52 settimane e quindi misura il rendimento di un giocatore in un arco temporale piuttosto esteso restando talvolta indifferente alle indicazioni del presente. Ecco perché lo spagnolo, pur perdendo, è diventato il nuovo leader. Perché nel frattempo Andy Murray, assente, ha dovuto scartare i punti accumulati l’anno scorso mentre Rafa aveva poco o nulla da perdere. Chi poteva insidiarlo era Roger Federer, che sarà anche l’unico a contendergli la leadership a fine stagione, ma lo svizzero è stato costretto a dare forfait e così Nadal si è ritrovato al primo posto.

Stasera però l’iberico avrà l’opportunità di legittimare il trono. Con inizio alle ore 22 italiane, Nadal sfiderà il sudafricano Kevin Anderson nella finale della 50esima edizione open degli US Championships e, in caso di successo, metterà quasi 2000 punti tra sé e lo stesso Federer, nel frattempo salito al secondo posto scavalcando Murray, fermo ai box almeno fino a Bercy (e probabilmente fino al 2018).

Nadal, naturalmente, è il grande favorito e non solo per l’esito dei quattro precedenti con Anderson (4 vittorie e un solo set perso, tre sfide giocate sul duro e una, la più recente, sulla terra rossa) quanto per il crescente stato di forma palesato nel corso del torneo e per il netto divario di esperienza, se proprio non di classe. Anche se, vincendo, il maiorchino diventerebbe il primo campione del torneo ad alzare il trofeo senza aver affrontato nemmeno uno dei primi venti tennisti del mondo, il rilievo non può e non deve intaccare la bontà del risultato, anche e soprattutto se consideriamo il rapporto conflittuale tra Nadal e il torneo di New York.

Quella attuale è stata la partecipazione n°13 dello spagnolo agli US Open, manifestazione che ha dovuto saltare per infortunio nel 2012 e 2014 e che l’ha visto debuttare nel lontano 2003. Il suo record nel torneo è attualmente di 52-10, il secondo migliore nei major dopo l’inarrivabile 79-2 di Parigi. Nel complesso, il mancino di Manacor ha collezionato a New York quattro finali (due vinte e una persa), due semifinali, un quarto, due ottavi, due terzi turni e due secondi.

Appena 17enne, nel 2003 debuttò battendo il connazionale Fernando Vicente (che ha ritrovato sugli spalti in qualità di allenatore di Rublev) prima di perdere in tre set con il marocchino Younes El Aynaoui. L’anno seguente Rafa non fu particolarmente fortunato nel sorteggio in quanto, sempre al secondo turno (nel primo si impose allo svizzero Ivo Heuberger), gli toccò in sorte la testa di serie n°2 Andy Roddick che lo travolse 6-0, 6-3, 6-4.

Non andò molto meglio nel 2005, stagione in cui Nadal conquistò il suo primo Roland Garros e che lo vide arrivare a Flushing Meadows da secondo in classifica, alle spalle di Federer. Rafa sconfisse nei primi turni due americani oltre i cento (Reynolds e Jenkins) ma il terzo, James Blake, gli fu fatale. L’anno seguente il maiorchino fece un passo in più ma il russo Mikhail Youzhny, che già l’aveva sconfitto a Dubai nel 2004 e l’aveva impegnato al limite dei cinque set agli Australian Open nel 2005, lo batté in quattro set alla soglia della seconda settimana.

La situazione si ripeté quasi identica l’anno successivo, quando a fermarlo negli ottavi ci pensò il connazionale David Ferrer, uno con il quale ha quasi sempre vinto sulla terra (18-1) ma che sul duro gli ha tenuto testa diverse volte (6-4). Nel biennio 2008/09, Nadal conquistò due semifinali: la prima arrivò anche grazie a un cammino agevolato e la perse in quattro set con Andy Murray mentre nella seconda fu distrutto da Juan Martin Del Potro con un triplo 6-2; l’argentino avrebbe poi conquistato il titolo recuperando da 1-2 e vincendo al quinto la finale con Federer.

Finalmente, nel 2010, Rafa chiuse il cerchio del suo personale Grand Slam e conquistò il primo dei due titoli newyorchesi, al termine di una stagione esaltante che lo vide trionfare in precedenza anche a Parigi e Wimbledon. Proprio come quest’anno, pur avendo perso sia in Canada (Murray) che a Cincinnati (Baghdatis), Rafa si fece trovare al meglio nelle due settimane di Flushing Meadows e concesse un solo set in tutto il torneo. La stagione seguente fu quella del sorpasso in classifica operato da Djokovic, con il serbo che diventò all’improvviso la sua bestia nera. Quella di New York fu infatti la sesta finale consecutiva che Nadal dovette lasciare a Novak (Indian Wells, Miami, Madrid, Roma e Wimbledon le altre), alla quale ne sarebbe seguita una settima a Melbourne ad inizio 2012.

Dopo aver saltato l’edizione del 2012 a causa di un prolungato stop per rimettere in sesto le ginocchia, Nadal tornò grande protagonista nel 2013 sbaragliando la concorrenza. Il maiorchino si presentò a New York con un bilancio stagionale di 11 finali su 12 tornei giocati (solo a Wimbledon perse al primo turno) e sulle ali della doppietta Montreal-Cincinnati. Un Nadal più propositivo del solito e con un servizio più incisivo si prese la rivincita su Djokovic battendolo in finale in quattro set.

Di nuovo fuori dai giochi nel 2014, lo spagnolo accusò una flessione di rendimento sia nel 2015 (quando tornò a perdere al Roland Garros, stavolta sconfitto da Djokovic) che nel 2016 (di nuovo infortunato e costretto a un problematico rientro prima delle Olimpiadi di Rio de Janeiro) e gli US Open rifletterono fedelmente la sua immagine. Nel 2015 si fece rimontare da 2-0 e perse al quinto con Fognini al terzo turno mentre la passata stagione fu il francese Lucas Pouille a batterlo, di nuovo al set decisivo, negli ottavi di finale.

Insomma, da questo breve riepilogo si evince come il rapporto di Nadal con gli US Open sia stato caratterizzato da un lento e progressivo adattamento alle condizioni talvolta particolari dell’impianto di Flushing Meadows. Anche in questa edizione il n°1 del mondo non ha lesinato critiche ai comportamenti del pubblico, sempre piuttosto indisciplinato e rumoroso, soprattutto all’interno del gigantesco Arthur Ashe, ma niente ha potuto fermarlo nella sua corsa verso quello che sarebbe lo slam n°16, secondo stagionale.

Il fatto, più volte ribadito dalla stampa e sui social-network, che il titolo potrebbe arrivare non avendo affrontato nessun avversario inserito tra i primi 20 del mondo non renderà in alcun modo meno dolce l’eventuale successo, grazie al quale Nadal consoliderebbe il suo secondo posto nella speciale classifica dei major vinti in carriera (sarebbero 16 contro i 19 di Federer) e terrebbe a debita distanza Djokovic, fermo a quota 12 e attualmente l’unico in grado di insidiare i primati della coppia che ha dominato questo sorprendente 2017.

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