Mertens, Vickery e la carenza di professionalità

Uno spiacevole episodio verificatosi durante il torneo Wta di Hobart, induce ad una riflessione sul reale valore della professionalità e su eventuali provvedimenti da adottare in casi simili.

Nel mondo del tennis, per tradizione, gennaio è il mese dell’Australian Open, del caldo cemento made in Aussie che rappresenta il primo importante appuntamento stagionale, nonché il primo torneo dello Slam. Prima di tale prestigiosa tappa, però, sono presenti una serie di tornei minori finalizzati essenzialmente alla preparazione della suddetta competizione. Nello specifico, in questa settimana, è stato il WTA di Hobart quello più in evidenza, a causa tuttavia di uno spiacevole e riprovevole episodio.

LE PROTAGONISTE – Sashia Vickery ed Elise Mertens, rispettivamente statunitense e belga, si affrontano nel secondo turno ad Hobart. Immediatamente dopo la fine del primo game, disputato già in modo piuttosto dubbio, la tennista americana richiede l’intervento del fisioterapista, precedendo di pochi attimi l’avversaria, scesa in campo evidentemente con le stesse intenzioni: disertare l’incontro, in modo più o meno occulto, con il fine di disputare le qualificazioni dell’Australian Open, in concomitanza con il torneo di Hobart qualora il loro cammino fosse proseguito. Nella sfida per il ritiro più rapido, ha prevalso alla fine il siparietto della Vickery; ma nella lotta sul campo, inevitabilmente, sono entrambe le tenniste ad uscire ridicolizzate e sconfitte.

UNA QUESTIONE DI MAGGIORE PORTATA – La vicenda ha scatenato l’indignazione degli addetti ai lavori, dei tifosi e del pubblico pagante. In prima battuta, infatti, è proprio quest’ultimo il soggetto maggiormente penalizzato, avendo pagato il biglietto per assistere ad uno spettacolo. Semplicemente per una questione di deontologia professionale e di rispetto, il buon senso delle giocatrici avrebbe dovuto propendere verso la direzione opposta a quella intrapresa. Ampliando la dimensione dell’accaduto, la realtà dei fatti indica una sempre maggiore tendenza verso una “carenza di professionalità”: il tennis, ma in più in generale lo sport, viene praticato in modo poco professionale e non per passione, bensì meramente per questioni economiche. Il parallelismo con il calcio, e con i recenti trasferimenti verso la miliardaria Cina, viene spontaneo. Ecco che a questo punto, figure comunque discutibili come Tomic e Kyrgios diventano quasi più giustificabili. I due ragazzi australiani (che in Australia vi sia una condizione scatenante tali situazioni?!), in modo esplicito e senza peli sulla lingua, hanno dichiarato di giocare a tennis semplicemente per soldi, per garantirsi un’esistenza di un certo spessore. Ben venga la sincerità, ma allo stesso tempo emerge un triste disinteresse verso l’aspetto “romantico” dello sport.

POSSIBILI INTERVENTI – Regolamentare a priori situazioni analoghe, imponendo dei canoni adattabili ad ogni tipo di caso concreto, non è certamente un’operazione agevole. E’ altrettanto certo, tuttavia, che un provvedimento in tal senso vada assunto, considerata la crescente portata di questo fenomeno, ormai in costante aumento specialmente in ambito femminile. Nell’ottica di limitare in partenza episodi simili, si potrebbe proporre l’introduzione di una sorta di presunzione giuridica di colpevolezza tale per cui un atleta, protagonista di un caso simile, sia ritenuto colpevole quando è evidente la natura simulatoria dell’infortunio. Il nodo sta proprio qui: dimostrare la falsità dell’infortunio. Una questione decisamente complessa, ma che i vertici del tennis mondiale devono necessariamente prendere in considerazione.

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