Wimbledon: apologia del torneo femminile. Il flop della top 10 e la rinascita di Kerber e Serena

Il torneo (forse) più importante dell'anno si è concluso e tra le donne, come sempre, non sono di certo mancate le sorprese. La migliore? Probabilmente rivedere Serena Williams in finale. La peggiore? Impresa da titani sceglierne una, in mezzo ad una babele di psicodrammi che abbiamo tentato di esaminare nel miglior modo possibile.
A. Kerber- Wimbledon Champion 2018
A. Kerber- Wimbledon Champion 2018

Col senno di poi e a mente fredda sono tante le somme che si possono tirare, una di queste riguarda senz’altro il rendimento veramente deludente delle pulzelle targate top ten. L’erba londinese, si sa, spesso ci ha fatto assistere a delle vere e proprie debacle nei piani alti del ranking WTA; nel 2013, se ricordate, due outsider come Lisicki e Bartoli avevano raggiunto la finale di Londra, con Maria Sharapova eliminata al secondo turno, Serena Williams agli ottavi e Victoria Azarenka costretta al ritiro in occasione della seconda partita. Ma anche il 2014 vide l’exploit di una ventenne Genie Bouchard allora proveniente dalla top 20 e nel 2015 la finalista Garbiñe Muguruza, vincitrice due anni dopo, era accreditata come testa di serie numero 20. L’erba, quindi, non è per tutte: vuoi perché lo stacco dalla terra battuta, superficie nella quale si gioca per oltre 2 mesi, non è semplice da ammortizzare, vuoi perché in un universo dominato dalle picchiatrici a tutto spiano la prima settimana, quella in cui l’erba è ancora alta e fa scivolare, è la più rischiosa se non ci si presenta al top della forma e con una strategia non dico alla Martina Navratilova, ma quanto meno alla Gabriela Sabatini. Quest’anno però la situazione è stata davvero molto, troppo singolare, tanto quasi da apparire irreale, ma diciamocela tutta c’era da aspettarselo se consideriamo che il 2017 ha annoverato, come nel lontano 2009 (quello che fu definito il Medioevo del Tennis Femminile) un’alternanza di ben cinque, diverse numero uno e di conseguenza, nel 2018, le sorprese non potevano essere esaurite. Iniziando dal primo turno, a calare subito il sipario sono state Caroline Garcia, Sloane Stephens ed Elina Svitolina. Da parte di Stephens e Svitolina un po’ ce lo attendevamo, perché l’americana (solitamente) dopo una grande prestazione viene colpita dal morbo di Morfeo, che la porta ad addormentarsi in campo come se non ci fosse un domani, immersa nei ricordi onirici del risultato ottenuto appena prima, in questo caso la finale dei French Open. Della Svitolina si è già detto molto, e non bene, sull’insufficiente rendimento negli slam. Va detto che al primo turno ha incontrato subito la vincitrice del WTA di Maiorca, Tatjana Maria, ma è anche vero che quando sei la numero 5 del seeding, hai vinto diversi tornei importanti, possiedi un bagaglio tecnico adeguato e un gioco di piedi scattante, devi cercare di fare qualcosa di più per portare a casa un risultato migliore. Ma evidentemente per l’ucraina l’erba non è una superficie in cui riesce ad esprimersi al meglio e il peso degli slam sembra essere ancora troppo impegnativo per lei. Resta da scoprire se, la bella Elina, abbia mai saputo quanto sia immensamente pesante, per una donna, cambiare la ruota di scorta ad un auto ferma in piena campagna e con scarso segnale al cellulare. Quelle sì che sono imprese disperate! La Garcia ha tutte le armi in regola per poter vincere sull’erba, considerato l’ottimo servizio e la buona dimestichezza a rete, ma la transalpina ha un carattere fragile, perde sicurezza facilmente, se non può conferire col padre durante il match va in crisi e forse (erroneamente) ha sottovalutato un’avversaria come la svizzera Bencic che, sebbene fuori dai giochi per un bel po’, non ha dimenticato come si gioca a tennis; deve solo ritrovare la giusta condizione fisica per farlo al meglio. Che dire poi della favorita al titolo Petra Kvitova? Forse partecipare a Eastbourne, la settimana prima di Wimbledon, non è stata una buona idea, forse aver incontrato al primo turno la bielorussa Sasnovich non è stato il massimo della fortuna, ma un bagel al terzo set è inaccettabile per una come la ceca, che solitamente le ciambelle le rifila, non se le mette in tasca. Viene da pensare che avesse appetito, oltre che le tasche da riempire definitivamente con un biglietto per la Costa Azzurra. La campionessa in carica Muguruza che, dopo il match vinto al primo turno aveva dichiarato di sentirsi pronta a difendere il titolo, in quello successivo si è scontrata con la fiamminga Van Uytvanck che l’ha tramortita con un gioco vario, imprevedibile e una scioltezza degna delle migliori erbivore degli anni ’90. In conferenza stampa, la bella spagnola, ha riconosciuto i meriti all’avversaria ma si è lamentata per aver giocato sul campo 2 e per non essere stata trattata, a suo dire, da testa di serie numero 3. Peccato che quando si è intenzionate a vincere, avanti oltretutto di un set, ci si riesce anche sul campo 18, a meno che non manchi la rete o l’arbitro non sia stato comprato. Caroline Wozniacki, prima che iniziasse Wimbledon, aveva asserito di non vedere l’ora di vincere un altro slam, ma non aveva calcolato che molto dipende anche dall’avversaria che, in questo caso, oltre ad aver usato un gioco più variegato, ha mostrato che i punti, ogni tanto, bisogna andare a prenderseli e non aspettare che ci vengano amorevolmente regalati. Makarova ha fatto tutto ciò e la danese ha chiosato dicendo che la russa aveva giocato il match della vita. Speriamo allora che per Caroline l’Australian Open 2018 non resti l’unico torneo della vita assieme alle Finals dell’anno prima. Il terzo turno è costato l’eliminazione alla finalista dello scorso anno Venus Williams, alla campionessa in carica del Roland Garros e numero uno Halep e alla promettente, quanto discontinua, Madison Keys. A Venus si può rimproverare molto poco; a 38 anni, dopo una magica risurrezione nel 2017, era prevedibile un calo. L’americana ha comunque lottato, scavalcata da una tignosa Bertens che l’ha piegata solo ai vantaggi del terzo set. Figura non bellissima, invece, per Simona Halep che si è presentata ai Championships scarica e demotivata. Ha perso una partita con tanto di match-point a favore e in conferenza stampa ha affermato di non aver recuperato la stanchezza accumulata a Parigi. Tale spiegazione ha portato la mitica Martina Navratilova a sbattere letteralmente la testa contro il tavolo e la sottoscritta a chiedersi dove siano finite le campionesse a tutto tondo in stile Graf-Seles, ma anche Sanchez Vicario-Henin che, galvanizzate dalle vittorie, la volta successiva ne cercavano un’altra e poi un’altra ancora o almeno ci provavano in tutti i modi. Ora sembra che arrivare sul podio più alto di uno slam sia diventata una soddisfazione tale che dopo ci si può riposare per anni. Punti di vista… La statunitense Keys, battuta in tre set dalla russa Rodina, ha mostrato ancora una volta tutte le lacune tattiche che il suo gioco, tanto aggressivo quanto scriteriato, manifesta. La sua coach Davenport ha ancora molto lavoro davanti a sé, prima di trasformare definitivamente una giocatrice dal potenziale incoraggiante in una campionessa accreditata. Ma conoscendo il carattere agguerrito di Lindsay siamo certi che qualcosa ne verrà fuori o almeno lo speriamo.

I trofei maschili e femminili di Wimbledon
I trofei maschili e femminili di Wimbledon

In tutto questo marasma di fallimenti sportivi, però qualcosa da salvare resta, ovvero le quattro semifinaliste del torneo. Partendo dalla più giovane, possiamo dire che Jelena Ostapenko, nonostante gli aggiustamenti da apportare al suo gioco, ha mostrato di essere una combattente nata. Dopo l’eliminazione al primo turno dei French Open, la piccola lettone ha raggiunto la semifinale a Londra giocando in maniera assolutamente impeccabile e rifilando bagel senza provare nessuna pietà per le avversarie. E’ stata fermata soltanto da una Kerber on fire e più matura sul piano tattico che l’ha portata fuori giri, ma per Aljona il futuro sarà certamente ancora vincente, se non altro per il caratterino davvero pepato che le permetterà di rialzarsi dai contraccolpi che ogni carriera tennistica riserva alle proprie elette. Julia Goerges, ugualmente, ha disputato un ottimo torneo dimostrando che il periodo migliore per un’atleta arriva ormai intorno ai trent’anni. Non aveva armi, dato il suo gioco basato sul pressing da fondo campo, per battere anche Serena, ma di lei resta il ricordo della strepitosa battaglia vinta per 10-8 al terzo contro la ceca Strycova, una delle migliori partite del torneo. Serena Williams non ha bisogno di presentazioni, è e resterà per sempre una delle più grandi campionesse della storia del Tennis e dello sport in generale, ma in questa edizione di Wimbledon ha avuto non poca fortuna. Avversarie assolutamente alla portata e senza un piano tattico adeguato per abbatterla, le hanno permesso di raggiungere una finale che, altrimenti, sarebbe stata una chimera. A lei però si può perdonare tutto, anche la fortuna sfacciata, in particolar modo per la signorilità con la quale ha saputo affrontare le ultime sconfitte subite, segno che la più grande critica di se stessa è proprio lei che mai si sognerebbe di dire che ha perso perché era stanca, se non perché chi l’ha battuta ha giocato meglio di lei. Se Serena tornerà o meno ad essere la dominatrice del circuito, al momento, è difficile pronosticarlo, almeno fin quando non recupererà forma fisica ed elasticità nei movimenti. Di certo sappiamo che un’altra campionessa determinata, agguerrita e mai sazia come lei non esiste all’orizzonte e, siamo onesti, speriamo che sia nata ieri, ancor meglio qualche anno fa. Concludiamo con Angelique Kerber riconoscendole di essere stata, di gran lunga, la migliore giocatrice del torneo, quella col tabellone più complesso e l’unica ad aver onorato la top ten. Difensivista nell’anima, ha comunque imparato a variare il gioco, a cercare conclusioni angolate e a reggere la tensione della gloria dopo il primo major vinto due anni e mezzo fa. E’ esplosa tardi la teutonica, ma da quando ha avuto l’opportunità di vincere non si è mai fatta trovare impreparata, ha sempre afferrato l’occasione e mai si è data per vinta, nemmeno quando da numero 20 del mondo, a Dicembre, ha ripreso ad allenarsi duramente e con grande umiltà, giocando da dio nella Hopman Cup (chiedere a Federer) e un Australian Open in cui forse, se non avesse perso di un soffio in semi dalla Halep, arrivando in finale avrebbe relegato la Wozniacki ad essere nuovamente una numero uno senza slam in bacheca. Angie è una di quelle giocatrici che risalta poco, discreta, che non ama i sensazionalismi, ma quando entra in campo sa molto bene dove vuole arrivare, perché la sostanza è l’unica cosa che conta davvero, alla fine, nello sport. Gli esperti dei social, molto spesso, la definiscono una pallettara senza arte né parte, una giocatrice soporifera quanto 10 gocce di Lexotan. Chissà perché, però, se fosse stata italiana molti di loro avrebbero inneggiato all’apoteosi sportiva, vedendola sollevare il Venus Rosewater Dish. La verità è che ognuno vince con le armi che ha a disposizione: se ci riesce ha ragione lui, punto.

Veduta di Orange Park
Veduta di Orange Park

In sintesi, se dovessimo dare un voto globale al torneo femminile non sarebbe di certo altissimo, soprattutto se nel lungo polpettone includiamo anche le uscite premature di Maria Sharapova, Johanna Konta, Elise Mertens, Agnieszka Radwanska e altre giocatrici di spicco della WTA. Ma in realtà, e per fortuna, si sono giocate anche delle bellissime partite grazie ad atlete come Makarova, Siniakova, Giorgi, Safarova, Van Uytvanck, Rodina e altre piccole “sconosciute” che avrebbero dato l’anima pur di non perdere, quell’anima che alcune campionesse dovrebbero sempre mettere sul proprio piatto corde prima di scendere in campo e che impedirebbe loro, forse, di perdere partite già vinte e di andare al knock out dopo un match point a favore. Ma il voto più basso va dato sicuramente a chi predice i vincitori/le vincitrici già sei mesi prima che un torneo si giochi, a chi dà del finito a quella o quell’altra giocatrice, a chi sentenzia prima che la partita si giochi, a chi asserisce che giocando su un altro campo non si sarebbe perso, a chi disquisisce come un solone ma non guarda le partite. Questo Wimbledon, specialmente le sue/i suoi finalisti, ci ha insegnato che finché non ci si ritira tutto è possibile e finché non si gioca l’ultimo quindici non c’è mai un vincitore o una vincitrice a priori. Per questo mi sento di assegnare 10 alla lezione di vita che questi Championships ci hanno impartito, in primo luogo alla voglia di crederci e non arrendersi mai che uomini e donne hanno espresso in queste due, caldissime, settimane britanniche.

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  1. Bellissimo articolo…davvero complimenti a chi lo ha scritto.Concordo in toto sulle considerazioni e motivazioni addotte.L erba è una superficie ostica ..non per tutte..ma alla fine sono rimaste le migliori con un bagaglio tecnico mentale non indifferente.A parte Serena ormai dobbiamo abituarci a questo avvicinamento di tenniste nel ranking mondiale.

  2. Giuliana Cau: ovvero il mio punto di riferimento insostituibile sul tennis femminile…che mi ostino a seguire poco o niente 🙂 Mi si può dar torto ? Vincitrici di slam retrocesse a mere comparse nel torneo successivo, giocatrici di secondo piano che per due, massimo tre settimane l’anno riescono a sconfiggere, anche nettamente, le più blasonate colleghe per poi ripiombare nella mediocrità. Io non ci sto dietro, chi le capisce è bravo le donne…tenniste 😀 Tornando all’articolo: è un piacere leggerlo per la competenza e la leggerezza con cui è scritto. Da rimarcare tutti i passaggi in cui analizzi quello che poteva essere e non è stato, ma potrebbe essere in futuro, introducendo il discorso con i “forse” in corsivo, ironici e incisivi. Tra la Kvitova desiderosa della mondanità della Costa Azzurra, la Muguruza che mette il broncio per essere stata “esiliata” su un campo secondario e che meriterebbe davvero che gli rubassero la rete del campo e una Svitolina che non si è sicuramente mai trovata a dover sostituire una ruota di scorta da sola perchè in caso di incidente meccanico presumo che dopo dieci secondi si fermerebbero a bordo strada una moltitudine di uomini “desiderosi di aiutarla”, questo resoconto non annoia di certo, anzi diverte e fa riflettere, complimenti ! PS Serenona può dormire sonni tranquilli e giocare fino a 45 anni: se la concorrenza è questa il record della Court lo agguanta e lo supera di slancio 🙂

    1. Grazie Nicola. Ad onor del vero se mi trovassi a dover cambiare la ruota di scorta andrei nel panico pure io, anzi dippiù, considerato che io non ce l’ho perché ho l’impianto a gas, ma se fossi una tennista brava (nonostante tutto) come Svitolina mi ammazzerei per vincere Wimbledon 😉

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