Evvai, Shapo: ora puoi bere lo champagne

Oggi inizia la Rogers Cup, torneo che lo scorso anno fece conoscere Shapovalov al mondo. Sì, sono passati solo dodici mesi.

Sì, lo so. Sembra una vita che lo sentiamo nominare, ma in realtà Denis Shapovalov si è fatto conoscere al grande pubblico solo dodici mesi fa. Prima di allora era solo un ragazzino semi-sconosciuto al mondo del tennis che faceva la gavetta tra Challenger e Futures. E, badate bene, non ho scritto che era uno sconosciuto totale perchè in molti lo ricordavano per quel missile che scagliò in faccia al giudice di sedia del match tra il suo Canada e la Gran Bretagna in Davis. Ovviamente fortuita, quella pallata gli costò comunque qualche settimana di lapidazione mediatica, che avrebbe potuto influire negativamente sulla sua giovane carriera. Il fattaccio avvenne all’inizio di febbraio 2017: sei mesi dopo, il canadese classe ’99 battè nell’ordine Del Potro e Nadal, arrivando in semifinale al torneo di Toronto. Niente male, per essere il primo Masters 1000 giocato in carriera (in cui entrò nel main draw grazie ad una wild card). Da quel momento in poi Shapovalov è stato considerato da molti esperti come il miglior “giovanissimo” del tennis: progressi quotidiani evidentissimi, quarto turno agli US Open e soprattutto un rovescio a uno mano clamoroso. Quasi troppo bello e affascinante stilisticamente per pensare che possa anche entrare in campo. E invece ci entra praticamente sempre.

In questa stagione il ragazzino di Tel Aviv, ha, tra le altre cose, messo a tacere le voci che lo volevano abile e capace solo sul veloce: semifinale al Masters 1000 di Madrid, battendo ai quarti quell’Edmund che era dall’altra parte della rete nel momento in cui lui tirò quella pallina nell’occhio dell’arbitro. Da quel torneo in poi, nel modo di vedere la realtà-Denis della gente, qualcosa è cambiato. Si è iniziato a considerare Shapovalov per quello che non è: un tennista che deve vincere per forza e arrivare al weekend a tutti i costi, perchè se no quella settimana, per uno con le sue “potenzialità”, è da considerare un fallimento. Me ne rendo conto solo ora che ne scrivo: quante volte avrò sentito o letto la parola “potenzialità” di fianco al nome proprio di persona “Shapovalov”? Più o meno quasi tutte le volte che ho letto/sentito parlare di lui. Terzo turno a Roma? “Deludente”. Quarti a Eastbourne? “Eterna promessa”. Primo turno a Montecarlo? “Non farà mai il salto”. La verità, che ci crediate o no, è che Denis ha appena compiuto diciannove anni. Ciò vuol dire che se il torneo di Toronto (che inizierà stasera) si fosse giocato prima del 15 aprile (data del suo compleanno) e se lui lo avesse vinto, non avrebbe potuto bere nemmeno un bicchiere di champagne per festeggiare, perchè da quelle parti l’età minima per consumare alcolici è proprio diciannove anni.

A poche ore dall’inizio della Rogers Cup, competizione che l’anno scorso portò Shapo sotto le luci della ribalta e in cui quest’anno esordirà contro Jeremy Chardy, mi sento di dirvi di non sperare o pensare che il “nostro” replichi o addirittura migliori il risultato ottenuto la scorsa stagione. No, non è un buon motivo per sperarci neanche quello del “col meccanismo diabolico della classifica Atp, se uscisse sùbito perderebbe troppi punti”. Ogni partita che vince, in questo momento della sua carriera, è tutto di guadagnato. E se ogni tanto esce al primo turno non è un fallimento. Ma se invece volete o sperate che arrivi in fondo per vedere il più possibile quel meraviglioso rovescio, che sono sicuro Gianni Clerici non esiterebbe a definire “gesto bianco”, allora sì, sperateci. Ed io allora in quel caso (ma solo in quello), vi capirei.

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