Perché Paolo Lorenzi ha vinto ugualmente

Il tennista senese ha sfiorato un altro importante titolo, cedendo solo al tie break del terzo set. Per comprenderne la grandezza, però, bisogna guardare oltre la singola partita, soffermandosi sui punti di forza che lo hanno condotto ad essere il primo giocatore d'Italia.

La durissima finale andata in scena nel torneo di Quito tra i due veterani Paolo Lorenzi e Victor Estrella Burgos, caratterizzata da continui recuperi e ribaltamenti, si è conclusa appannaggio del tennista dominicano al tie break del terzo set, dopo che l’azzurro non è riuscito a capitalizzare un match point in suo favore. Tuttavia, per chi conosce le caratteristiche ed i trascorsi del senese, è ben cosciente del fatto che questa partita, in un’ottica che vada oltre la singola finale, non possa essere considerata una sconfitta, bensì un altro grandissimo tassello degli straordinari insegnamenti che Paolo ci ha trasmesso, specialmente negli ultimi mesi.

DOVE NON ARRIVA IL TALENTO… – A livello meramente statistico e numerico, piano di ragionamento che al momento interessa relativamente poco, Lorenzi è tornato nuovamente il nostro numero 1 nel ranking ATP, posizionandosi al gradino 37. Tale traguardo, peraltro già raggiunto lo scorso anno, rende onore a uno dei tennisti più sottovalutati nell’ambito del professionismo, esclusivamente perché si tratta di un personaggio che genera poco clamore, che vince silenziosamente e che non assume mai comportamenti che vadano oltre le righe. La sua attenzione è sempre rivolta alla ricerca di miglioramenti, di spunti tattici ulteriori, di accorgimenti necessari per andare oltre. In fondo, la missione di Paolo Lorenzi è esattamente questa: andare oltre il limite. Non essendo dotato di un grande talento tecnico di base, l’azzurro ha perfettamente colmato questa lacuna con un’elevatissima intelligenza tattica, nell’ottica di un eclettismo non sempre presente tra i giocatori di vertice. La base psicologica è di quelle raffinate e robuste: determinazione, abnegazione e spirito di sacrificio costituiscono le sue virtù principali.

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Ottimismo e determinazione: la ricetta del “modello Lorenzi”.

INFINITA UMILTÀ – Il valore che però più appassiona di quest’uomo infaticabile, è la sterminata umiltà con cui, in età piuttosto avanzata per un atleta, è riuscito ad ottenere i migliori risultati della sua carriera. La costruzione di una classifica così importante è infatti passata da numerose vittorie nei Challenger; molti altri tennisti non si sono mai “abbassati” a questo livello nel tentativo di risistemare la propria situazione. Lorenzi, invece, si dimenava e correva sui campi di questi tornei come se fosse una finale di Wimbledon, con un’intensità fuori dal comune, sempre e costantemente a caccia dell’obiettivo finale. E così, all’età di 35 anni, è arrivata la prima grande gioia a Kitzbuhel condita da uno splendido terzo turno allo US Open, dove si è anche tolto lo sfizio di far sudare (e non poco) Andy Murray. Tutto il piano di miglioramento dei risultati si fonda sulla regola dell'”uno in più“, come da lui stesso dichiarato in un’intervista: fare sempre meglio dell’anno precedente, fondandosi su quella costanza di allenamento di cui abbonda. Paolo è infatti uno stacanovista, un cultore del lavoro, un uomo votato al sacrificio: una macchina da allenamento, sempre condotto con impegno e determinazione.

Quell’ampia apertura di dritto, l’ottima abilità nel gioco di volo e le corse infinite per tutto il campo, pur essendo elementi importanti, probabilmente non saranno quelli sempre presenti nella memoria dell’appassionato. Perché se Lorenzi esegue tutto questo nel migliore possibile dei modi, e continua e continuerà ancora a farlo, è soprattutto grazie a quella parte invisibile di questo leone da battaglia: una psiche di ferro, la voglia di non arrendersi e la convinzione che tutto il sudore versato possa regalare, magari non subito, le soddisfazioni che merita. E’ questo il “modello Lorenzi”, da far studiare ed analizzare a tutti i giovani che si affacciano a questo sport.

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