I coach nel mirino: Josè Perlas

Josè Perlas, l’uomo che ha cambiato la vita di Nicolas Almagro e Fabio Fognini.

Se l’Italia è tornata ad avere un top-15 che mancava dai tempi di Barazzutti, il merito è anche di Josè Perlas. Fabio Fognini l’aveva ingaggiato per entrare fra i primi venti e vincere un titolo ATP: obiettivo centrato, anzi hanno fatto meglio, ma forse non abbastanza. Il ligure non è riuscito a fare lo step successivo, quello che lo avrebbe portato nella Top dieci, e i mezzi tecnici e il talento per potercela fare c’erano tutti. Perlas è stato a fianco di Fognini per cinque anni, vissuti sempre a stretto contatto, fra soddisfazioni, momenti difficili e quel rimpianto di poter fare di più che porterà dentro per sempre.

L’istrionico e imprevedibile tennista di Arma di Taggia non è stato il primo giocatore con cui il coach spagnolo (nato il 26 Aprile del 1960) ha collaborato, la sua carriera di allenatore di tennis inizia nei primi anni 80’ quando Josè diventa direttore di un paio di prestigiose accademie spagnole mirate a formare giovani giocatori guidandoli passo a passo nel sentiero che porta al professionismo, da sempre lastricato d’insidie e grandi difficoltà per la maggior parte degli atleti. Il cinquantasettenne iberico, in seguito, inizia a fornire consulenza a diversi connazionali fra cui Tomas Carbonell, Carlos Costa, Albert Portas, Feliciano Lopez, Jacobo Diaz, Fernando Vicente. La grande occasione capita nel 1995 quando Josè prende sotto la sua ala protettiva Carlos Moya, promettentissimo spagnolo che proprio quell’anno era passato professionista. A differenza di tanti altri tennisti spagnoli che stazionano prevalentemente a fondo campo cercando di tenere l’iniziativa con il dritto, Moya è un giocatore estremamente completo che dispone di un bagaglio tecnico pressoché illimitato. Perlas è bravo ad assecondare il talento del suo pupillo, plasmandolo tatticamente e rendendolo non fine a se stesso ma tremendamente efficace. Nel 1996 il maiorchino entra per la prima volta nella top 20 del ranking ATP e l’anno successivo raggiunge la prima finale del Grande Slam, agli Australian Open dove esce sconfitto per mano di Pete Sampras. Nel 1998 vince il suo primo titolo del Grande Slam sconfiggendo nel derby spagnolo Àlex Corretja nella finale del Roland Garros. Il 15 Maggio del 1999, è diventato il primo spagnolo a conquistare la vetta del ranking da quando nel 1973 venne istituita la classifica ATP: il primato durerà solamente due settimane ma rimane comunque un risultato molto rilevante. fogna-perlas-600x477

L’ anno seguente s’interrompe la collaborazione fra i due: nelle successive quattro stagioni il coach iberico si divide fra Albert Costa e la squadra spagnola di Coppa Davis. Entrambe le esperienze saranno molto gratificanti e piene di successo per Perlas. Costa quando inizia la sua collaborazione con Josè aveva quasi venticinque anni, gran rovescio a una mano, tennis molto piacevole da vedere, ma le posizioni fra il numero quindici- trenta del mondo su cui stazionava da un paio di stagioni sembravano le più consone per il tennista di LLeida. Perlas lo trasforma in un giocatore vincente, sicuro di se a volte ingiocabile quando lo devi affrontare sulla terra battuta. Nel 2002 il binomio Costa-Perlas porta a casa il Roland Garros. Dopo un torneo fantastico in cui batte giocatori del calibro di Canas, Corretja e Kurten giunge alla finale tutta spagnola con Juan Carlos Ferrero. Costa è sfavoritissimo, visto che il suo avversario è numero tre del mondo ma sul campo il pronostico viene ribaltato con il pupillo di Perlas che la spunta in quattro set: 6-1 6-0 4-6 6-3. Il 22 Luglio Costa raggiunge anche il suo best ranking di numero sei del mondo. Anche come capitano di Coppa Davis le cose vanno più che bene.

Nel 2000 conduce la nazionale alla prima insalatiera. Sulla terra indoor del Palau Sant Jordi di Barcelona sono proprio Costa e Ferrero a trascinare gli iberici alla storica impresa. La Spagna di Perlas otterrà il bis nel 2004 a Siviglia, questa volta sono Carlos Moya e un giovanissimo Rafa Nadal gli artefici del successo. L’anno precedente solo una grande Australia nel tempio del Rod Laver Arena impedisce a Perlas di ottenere il terzo successo in cinque anni di capitanato. Finita l’avventura con la Coppa Davis il coach spagnolo riprende il suo lavoro di allenatore a tempo pieno. Nel biennio 2005-2006 segue il bizzoso sudamericano Guillermo Coria, definito dallo stesso Perlas il giocatore più complicato con cui ha avuto a che fare. Argentino, dal carattere impossibile Coria era uscito dai venti, anche a causa di un problema alla spalla. Il bilancio della sinergia con Josè è sicuramente positivo, visto che il tennista della terra del fuoco torna competitivo, specialmente sui campi rossi arrivando nuovamente nella Top Five della classifica ATP.

Dopo le fruttuose esperienze con Juan Carlos Fererro (lo riporta fra i primi quindici dopo che “Mosquito” era crollato in classifica causa svariati problemi fisici) e Janko Tipsarevic (con Perlas batte per la volta un top ten e raggiunge la prima finale in carriera a Mosca) si accasa con un altro “folle” del circuito: Nicolas Almagro. Talento, braccio e velocità di palla non hanno mai fatto difetto al murciano, che però ha sempre peccato di continuità negli allenamenti e in partita. Servizio e fondamentali da fondo campo sono da primi cinque giocatori del mondo, il problema dello spagnolo è sempre stata la testa. Josè fa un piccolo capolavoro, perché nei due anni insieme riesce in qualche modo a gestire l’istrionico Nicolas portandolo a vincere cinque tornei sulla terra rossa e renderlo finalmente un giocatore competitivo anche sul cemento dove aveva sempre faticato molto. Il 2 Maggio del 2011 Almagro diventa numero nove del mondo. “Lavorare con Perlas mi ha fatto concepire il tennis in un altro modo. Ho lavorato duramente, come mai ho fatto prima, mi ha reso più professionale di quello che era prima e ora spero di poter raccogliere sul campo il frutto di tanto impegno “. [fncvideo id=105263 autoplay=false]

All’inizio della stagione successiva i due decidono di separarsi e Perlas inizia la sua avventura a fianco di Fabio Fognini col compito di far fare il definitivo salto di qualità al giocatore di Arma di Taggia. Oltre a occuparsi dell’aspetto prettamente tecnico e psicologico, Perlas dispone di uno staff personale, che dovrebbe quindi gestire anche la parte atletica degli allenamenti. Ragion per cui l’azzurro deve interrompere la collaborazione con Damiano Fiorucci, che ne ha guidato gli esercizi fisici nell’ultimo periodo; insomma per un ligure una sorta di restart totale con l’obbiettivo di sfatare la nomea di giocatore brillante e talentuoso ma troppo incostante e imprevedibile. Tecnicamente Fabio ha poche lacune, forse il servizio dove ottiene troppi pochi punti diretti con la prima e in alcune partite commette una miriade di doppi falli. Ma più che sui colpi (anche se con lo spagnolo migliora servizio e tenuta fisica) il lavoro del coach iberico si concentra sulla testa del ligure, sulla sua capacità di concentrazione e gestione della rabbia quando le cose non vanno per il verso giusto.

Il bilancio dei loro cinque anni di lavoro è sicuramente positivo, anche se l’inizio della collaborazione non è facile visto che Fognini, anche a causa di qualche guaio fisico che lo estromette per un po’ dal circuito, non riesce a esprimere il suo gioco. Quando torna si toglie subito una soddisfazione: raggiunge la prima finale ATP, a Bucarest sconfitto da Simon in due set. Questo risultato verrà bissato a San Pietroburgo, anche la seconda finale in carriera è perdente (Klizan lo batte nettamente 6-2 6-3) Il 2013 è l’anno del salto di qualità, sicuramente il migliore nella carriera dell’imprevedibile tennista di Arma di Taggia. Ottiene discreti piazzamenti in molti tornei importanti, ma soprattutto arrivano le prime vittorie: conquista il titolo a Stoccarda (sconfiggendo il padrone di casa Philip Kolshreiber in tre set) e Amburgo (primo italiano a vincere un torneo 500, dopo uno psicodramma contro l’argentino Del Bonis, annullando anche due match point nel tie-break del secondo set). Il risultato è la posizione numero sedici nel ranking con cui chiude l’anno.

Nel 2014 vince il terzo titolo a Vina del Mar, issandosi fino a numero tredici del mondo. Esprime il suo bel momento anche in Coppa Davis dove è fondamentale per eliminare la Gran Bretagna ai quarti. Ottiene il primo punto azzurro regolando Ward e poi contribuisce a ribaltare un match che dopo il doppio sembra già perso, dominando Murray in 3 set. Fabio sembra definitivamente sulla rampa di lancio, per la prima volta la top ten sembra vicina e a portata di mano. Il resto dell’anno (e del loro connubio), però, è fatto di più ombre che luci. Nel 2015 ottiene un altro risultato storico vincendo il torneo di doppio agli Australian Open in coppia con Simone Bolelli, primo titolo per una coppia italiana nell’era Open. Nel suo 2016 sono da ricordare il quarto titolo (a Umago a luglio) ma anche alcune occasioni sprecate come la finale persa con Carreno Busta a Mosca e incontri ampiamente alla propria portata persi malamente per scarsa concentrazione o immotivati scatti di rabbia. Insomma proprio sul più bello il ligure non ha saputo gestire la pressione e le attese che tifosi e addetti ai lavori riponevano in lui. [fncvideo id=43185 autoplay=false]

“Diventare un giocatore top venti era l’obiettivo che si era fissato e che abbiamo ampiamente realizzato, e ciò mi dà grande soddisfazione. Il problema non era la top venti, era fare il passo successivo – ha raccontato Perlas – Lì si è vista la vera difficoltà, fargli vedere che valeva la pena impegnarsi tanto per fare il salto. È stato capace di battere tutti i top player eccetto Djokovic e Ferrer, anche se ha portato entrambi al terzo set.”. “Però sì, il fatto di non aver dato continuità a momenti di grande livello rimane una spina nel fianco… è un po’ particolare il mio percorso con lui. Normalmente quando ottieni grandi risultati, vuoi sempre ripeterli o anche migliorarli. Con lui è stato un po’ strano perché non è riuscito a mantenere quella carica necessaria per fare il passo successivo ed è lì che mi arrabbio: ci è mancato fare il salto per entrare in top dieci, che è un obiettivo che mi pongo con tutti i giocatori che alleno.

I due decidono dopo Shangai di finire il loro rapporto, per poi formalizzare tutto a fine 2016. “Il 2016 è stato un anno difficile, caratterizzato dall’infortunio e dal matrimonio con Flavia. Tra una cosa e l’altra Fabio ha finito per perdere un paio di mesi ed è stato davvero in condizione soltanto metà delle volte. La decisione di chiudere il rapporto? A fine stagione abbiamo avuto il solito colloquio, dopo gli US Open. Fabio mi ha chiesto cosa avessi in programma per il prossimo anno e ho risposto chiaramente, un rinnovato impegno con la stessa frequenza e lo stesso entusiasmo. Lui ci ha pensato un paio di settimane e poi mi ha detto che non si sentiva abbastanza forte per questo impegno, quindi ha deciso di cercare nuovi stimoli in una nuova avventura. La decisione è maturata a Shanghai ma i rapporti sono rimasti ottimi fino alla fine”. Dopo la separazione con Fabio Fognini, Josè Perlas comincia una nuova esperienza. Il coach spagnolo allenerà, infatti, il serbo Dusan Lajovic il prossimo anno. Da segnalare che il nativo di Stara Pazova non è mai entrato nella Top 50 (best ranking numero 57). Ci riuscirà con Josè Perlas?

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