I magnifici otto: Rafa Nadal

Il superamento di una crisi come mantra giornaliero per un atleta, e ancor prima un tennista, unico nella storia. È con questo pensiero che a trentuno anni Rafa Nadal sarà nuovamente impegnato nel Master di fine anno.

Dopo giorni di dubbi ed incertezze lo spagnolo ha svelato ogni segreto. A Londra ci sarà e cercherà di portare a casa il titolo, per la prima volta in carriera.
Quando mi è stato proposto di occuparmi del ritratto di uno degli otto partecipanti al Master non ho avuto dubbi, il mio prescelto sarebbe stato Nadal. Non tanto perché numero uno al mondo o per discorsi di fama ai quali sono sempre stato ben poco affezionato, ma perché mio pupillo dall’alba dei tempi.
Mentre scrivo ripenso alle sensazioni provate lo scorso anno, con una campagna asiatica da incubo che lo vide soccombere con chiunque fosse in grado di giocare con costanza una partita a ritmo sostenuto.
La mia più profonda convinzione, in quel periodo, era che Rafa Nadal non sarebbe mai più tornato il giocatore che avevo avuto la fortuna, oltre che il privilegio, di ammirare in campo per tutti quegli anni. Ne ero certo, restando con tristezza seduto ad osservare gli ultimi fiochi bagliori gettati di rabbia sul terreno di gioco.
In Australia temevo Zverev, che giusto qualche giorno prima aveva battuto un Federer arrugginito nel match d’esibizione della Hopman Cup. Fu invece finale, e nemmeno quell’illusione di vittoria una volta ottenuto il break nel set decisivo era stata in grado di spegnere il mio entusiasmo. Quella che per Federer diventò ‘double sunshine’, tra Indian Wells e Miami, finì per essere, in ottica spagnola, una doppia batosta. Di mezzo anche una finale persa con Querrey e qualche piccolo segnale di cedimento psicologico.
Stava per arrivare la terra, però, e qualcosa indicava una svolta dicotomica.
Prima finale vinta, a Montecarlo, poi Barcellona e Madrid, dove con vorace fame di rivincita schiaccia quel poco che rimane di Novak Djokovic.
Roma, per qualche giorno addirittura in bilico, dove Thiem sapientemente sfrutta il ragionevole calo fisico di Nadal e ciò che nelle due precedenti sfide giocate e perse ha imparato.
Il Roland Garros come acme del successo, dove tutto era da tempo preparato per accogliere il decimo titolo del padrone di casa. Nessuno capace di strappargli un set e la schiena che si sporca di terra dopo l’ultimo colpo di Wawrinka, un tentativo goffo e disperato di colpire al volo tremendamente simile ad una resa. È il quindicesimo Slam che lo stacca da Sampras, ed arriva simbolicamente un anno dopo essersi ritirato, nello stesso torneo, a causa di un infortunio al polso che lo costrinse a presentarsi in conferenza stampa con un tutore momentaneo, in quello che rappresentò il momento più critico nella stagione 2016 di Rafa.
Il tennis, che strano sport.
A Wimbledon non parte favorito nonostante molti pensano che lo sia. Non c’è preparazione sull’erba, ma i primi tre match lasciano ben sperare riguardo le sue possibilità di tentare l’impresa.
C’è Muller dall’altra parte della rete, ed è un quarto turno ricco di insidie. Subito sotto due set a zero, l’atmosfera è un limpido dejavu del match che, dodici mesi prima, Novak Djokovic e Sam Querrey disputarono sugli stessi manti.
Due set pari ma qualcosa non va, nonostante il lussemburghese sembri privato di ogni briciolo di forza. Carica il servizio e aumenta la curva, mentre piovono ace e volee vincenti. Rafa con la testa sott’acqua arretra ogni scambio di più, ogni palla di più, subendo l’infida curva che Muller affila con mestiere. Game dopo game l’evidenza si fa chiara. Nadal perderà questa partita. E così sarà.
Fuori dal campo a testa bassa, ‘ho molte cose sulle quali lavorare’.
Cincinnati e Miami sono un breve ritorno alle stagioni 2015-’16. Shapovalov prima, a suon di rovesci, e Kyrgios poi, con un tweener irrisorio che libera tutta la sua boria.
Agli Us Open è testa di serie numero uno, lo è diventato qualche giorno prima. Per qualche punto fuori dalla top 10 a Gennaio ed in vetta al ranking dopo nove mesi. Incredibile.
Il rivale di sempre, l’unico ad aver dimostrato, in questa stagione, di essergli più forte, è infortunato, non si muove con la consueta leggiadria.
Il tabellone è ottimo e Federer ai quarti di finale perde con Del Potro. 
Rafa, invece, con l’argentino vince, e sfida Anderson in una finale inaspettata. Tre set a zero, senza mai l’impressione di soffrire, e di nuovo a terra, di nuovo felice, di nuovo Slam, sedici.
È successo qualcosa di inconcepibile, due Major in una stagione che per molti, lui stesso in primis, non avrebbe nemmeno dovuto giocare.
Seguono un titolo ed una finale persa a Shanghai, nuovamente con Federer.
‘Ho sentito dolore alle ginocchia, preferisco preservarmi, la salute è più importante dei titoli’.

Il superamento di una crisi come mantra giornaliero per un atleta, e ancor prima un tennista, unico nella storia.
È con questo pensiero che a trentuno anni Rafa Nadal sarà nuovamente impegnato nel Master di fine anno, da numero leader delle classifiche e con gli occhi puntati sulla vittoria.
Non ci avrei puntato un soldo, ed invece eccolo qui.
Per la rubrica “i magnifici otto”, Rafa Nadal, il sopravvissuto.

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