World Team Tennis: innovazione o semplice americanata?

Nel 1974 venne lanciata la prima stagione del World Team Tennis, un fenomeno che vide scontrarsi negli stadi americani i più grandi campioni di sempre. di Andrea Cherchi

Il tennis era da poco diventato Open, superando la storica differenza fra professionismo e dilettantismo, quando Larry King, all’epoca marito della grandissima campionessa americana Billie Jean Moffitt-King, Dennis Murphy, co-fondatore dell’Associazione Mondiale Hockey, e Jordan Kaiser, provarono ad introdurre il concetto di Lega professionistica ed a trasformare il tennis in gioco di squadra, sulla falsariga dei popolari campionati americani di baseball, basket, hockey su ghiaccio e football.

L’idea era rimasta allo stato embrionale per una decina d’anni, sino a che nel maggio del 1974, preceduta da un intenso battage pubblicitario, venne finalmente lanciata la prima stagione del World Team Tennis, la Lega tennistica americana intercittà. La prima stagione vide ai nastri di partenza sedici squadre miste (composte da uomini e donne) di sedici diverse città, da Boston a Chicago, passando per New York e arrivando persino a Honolulu. Molti magnati attivi in altre discipline sportive si gettarono nell’operazione, acquistando i diritti di alcune franchigie,: tra di essi Jerry Buss, allora proprietario dei Los Angeles Lakers di basket e Bob Kraft, boss dei New England Patriots di football. Lo stesso King scese in campo con i suoi San Franscisco Golden Gaters.

La prima stagione del World Team Tennis (WTT) ebbe allora un impatto “esplosivo”, sia per le innovazioni introdotte, sia per i cospicui ingaggi garantiti ai giocatori partecipanti. Tanto che, la Federazione Internazionale di Tennis, intimorita dalla concorrenza del nuovo campionato, decise in prima battuta di emanare dei provvedimenti punitivi nei confronti dei giocatori che partecipavano al WTT: in particolare a molti di essi fu impedita la partecipazione ad alcuni tornei, fra i quali gli Internazionali d’Italia e soprattutto il Roland Garros di quell’anno. Quest’ultimo provvedimento, tra l’altro, impedì di fatto all’allora numero uno del mondo Jimmy Connors, sotto contratto coi Baltimora Banners, di provare a centrare il quarto Grande Slam della storia del tennis maschile ; completò infatti proprio in quell’anno i tre quarti di Slam, vincendo Wimbledon, Us Open e Open d’Australia.

Dopo alcune iniziali sperimentazioni, fu messo a punto un formato a dir poco insolito e stravagante: le squadre, composte generalmente da 2/3 uomini e 2/3 donne, si affrontavano per un totale di cinque set, con un set ciascuno di singolare maschile, singolare femminile, doppio maschile, doppio femminile e doppio misto. Erano consentite le sostituzioni dei giocatori durante il corso del match e invece di determinare la squadra vincitrice in base al numero di set vinti, ciò avveniva calcolando il numero totale di game vinti dalla squadra nel corso dei cinque set. Altra curiosa particolarità fu quella del punteggio: per avvicinare al tennis il pubblico americano, più avvezzo al baseball, al basket, all’hockey o al football, fu sostituito il normale e tradizionale punteggio (15-30-40) con uno più semplice, basato sul principio del “no-ad score”. Si contavano i punti con 1-2-3-4 e il primo giocatore che arrivava a 4 si aggiudicava il game; il set si considerava chiuso a 5 anziché a 6 e sul 4-4 veniva giocato il “Super Tie-Break” a nove punti. Altre originali trovate: il servizio chiamato “let” veniva considerato out e si giocava su dei campi multicolore, nei quali i rettangoli del servizio avevano colori differenti fra loro e dal resto del campo.

Inizialmente l’idea sembrò riscuotere un certo successo, frutto della massiccia campagna pubblicitaria e dei grandi nomi schierati in campo: un chiassoso pubblico di matrice prevalentemente non tennistica si divertiva in affollati palazzetti, nei quali degli speaker gridavano, mettevano musica, raccontavano ciò che accadeva sui coloratissimi campi e incitavano gli spettatori-tifosi a disturbare con grida e ululati gli avversari durante gli scambi (era celebre l’invito rivolto ai tifosi a gridare “miss it” – sbaglialo! – nel momento in cui l’avversario era al servizio). I giocatori, coi nomi scritti a grandi lettere sul retro delle magliette, stavano al gioco, producendosi in numeri spettacolari ed indossando variopinte divise. I magnati proprietari delle franchigie, incoraggiati allora da quel discreto successo, negli anni a seguire misero in atto delle imponenti campagne acquisti, offrendo cospicui ingaggi ai nomi più altisonanti del circuito tennistico; al punto che molti campioni preferirono rinunciare ai tornei del circuito”tradizionale” per partecipare agli incontri del WTT.

Tra il 1974 e il 1978 furono ingaggiati tra gli altri, oltre a Connors, personaggi del calibro di Margaret Court (Hawaii Leis), una delle tre donne a completare il Grande Slam, Rod Laver (San Diego Friars), che di Grande Slam ne completò due, Ken Rosewall (Pittsburgh Triangles) Chris Evert (Los Angeles Strings), Virginia Wade (San Francisco Golden Gaters), Ilie Nastase (Los Angeles Strings, con un contratto di un milione e mezzo di dollari per sei anni), John Newcombe (Hawaii Leis), Vitas Gerulaitis (Pittsburgh Triangles) e Bjorn Borg (Cleveland Nets – “a Nets Star is Bjorn” era il gioco di parole riportato da un cartellone pubblicitario dell’epoca). Quest’ultimo, nel 1977, rinunciò addirittura a giocare il Roland Garros, dove sarebbe l’uomo da battere, proprio per partecipare ad alcuni incontri del WTT; del suo team faceva parte tra l’altro la sua fidanzata, e futura moglie, la rumena Mariana Simonescu, tennsita fra le prime 100 del mondo.

Già alla fine del 1977 tutti i team iniziarono però a risentire dei problemi economici, coi palazzetti che progressivamente si svuotavano a causa dei prezzi dei biglietti sempre più alti e le crescenti difficoltà a rientrare nelle ingenti spese sostenute, anche a causa dello scarso interesse mostrato dalla TV. La Lega entrò rapidamente in crisi e cessò di esistere alla fine del 1978. Fu “riesumata” a più riprese, con formule e franchigie differenti, a partire dal 1981 sino ad oggi: nonostante la partecipazione di grandissimi nomi, tra i quali John McEnroe, Andre Agassi, Pete Sampras, Martina Navratilova, le sorelle Williams, Maria Sharapova, Kim Clijsters e lo stesso Jimmy Connors (ingaggiato addirittura lo scorso anno, all’età di 59 anni, dalla franchigia di Philadelphia), la stravagante “magia” e l’inconsueto e colorato fascino di quelle prime edizioni non furono mai più eguagliati.

Andrea Cherchi

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