Roberta Vinci: “Serena Williams? Spero non mi odi troppo…”

Roberta Vinci si racconta in una lunga intervista a D, dove parla anche della sfera privata della sua vita.

Il momento di grande fama di Roberta Vinci, iniziato con il raggiungimento della finale degli US Open, è ancora in corso, considerato che televisioni e giornali hanno fatto (e fanno tuttora) a gara per appropinquarsi le parole della vice-campionessa Slam. Ultimo è stato il settimanale del gruppo La Repubblica, a cui Roberta ha rilasciato una lunga intervista concernente anche alcuni aspetti più intimi della propria vita.

Dopo aver raccontato dell’emozione del raggiungimento della finale, sottolineando come ha fatto fatica a rendersi conto della sua impresa, la tarantina ha svelato alcuni tratti particolari del suo carattere: “Ho un carattere difficile: sono irascibile, lunatica, permalosissima, dura, orgogliosa e testarda. E non di quelle che devono riuscire a tutti i costi, ma di quelle che poi si esasperano. Adesso questi aspetti sto cercando di smussarli”.

Alla domanda di come abbia fatto a battere Serena Williams nella semifinale la tarantina risponde in maniera piuttosto fatalista: “Io credo nel destino. Doveva succedere. In passato ho avuto ottimi risultati, non sono entrata nella top 10 però ci sono andata vicino (è arrivata 11esima, ndr), ma quella partita mi ha dato una soddisfazione maggiore forse proprio per quello. […] Questo entrerà nella storia. Anche a distanza di anni, se ne ricorderanno tutti.”

In quella partita a fare la differenza è stata proprio la concentrazione, grazie alla quale è riuscita a rimontare l’iniziale set di svantaggio: “In campo è quella che orchestra tutto: se sei tranquilla e positiva, se non ti lasci abbattere – perché in un match può succedere di tutto – ma resti concentrata, puoi tutto. All’inizio del torneo avevo paura, mi dicevo: “Forse sono arrivata, forse devo limitarmi al doppio”. E invece Francesco (il suo allenatore, ndr) mi ha aiutata ad allenarmi in modo costante, meno a lungo, ma con la giusta concentrazione. E il livello è salito”.

Quel suo pensiero ad inizio torneo non è nuovo a Robertina, che più di una volta è apparsa in crisi di autostima, come sottolineato anche in alcune occasioni da uno dei maggiori esperti di tennis a livello mondiale, Gianni Clerici. L’ex tennista comasco ha infatti, a più riprese, definito la giocatrice pugliese come «una tennista dalla ritardata autostima».

Poco dopo racconta di uno dei momenti topici di quella semifinale, quando serviva sopra 5-4 nel terzo set: “Nello stadio c’era una confusione inaudita: la musica, la gente che si alzava di continuo, gli schiamazzi, le pubblicità sui maxischermi. Prima di battere sul 5 a 4 mi sono messa l’asciugamano sul viso e mi sono fatta un discorsetto. Proprio ad alta voce, chi era vicino poteva sentirmi: “Robé, sei 5 a 4 al terzo, sul centrale, davanti a 22mila persone, e tu al servizio. Te la fai sotto, lo so. E te la farai ancora sotto al 100 per cento. Metti che perdi questo game e vai pari: non ti abbattere, non sarà tutto perduto. Se anche vai 5 pari non mollare. […] Sul secondo punto mi sono inventata un movimento a due mani sotto rete, una demi-volé, veramente una cosa che… (alza gli occhi al cielo, ndr) …che grazie, Gesù Cristo, che me l’hai fatta entrare, perché se la ripetessi altre 150mila volte non ci riuscirei. Andavo a battere e tremavo, ma poi ho capito che Serena stava cominciando a sentirsi insicura. E da lì ho preso forza”.

Dopo questa piccola digressione sul tennis giocato l’intervista assume ancora una volta un carattere piuttosto personale con domande che hanno riguardato soprattutto la sua vita privata, come ad esempio se è il padre, colui che l’ha avviata al tennis, a gestire i guadagni provenienti dal suo lavoro: “Non sono una che sperpera in shopping. Preferisco gli immobili, con il montepremi dell’Us Open vorrei comprare una casa all’estero, a Miami, o a New York”.

Già, il padre a cui è fortemente legata e la madre che l’ha sempre sostenuta, un amore destinato a non scemare col tempo, anzi a divenire sempre più solido con il passare degli anni: “Sono ancora capaci di mettermi in soggezione. Fino a poco tempo fa chiedevo ai miei di seguire le partite sul livescore, perché anche solo l’idea che mi guardassero in tv mi metteva in imbarazzo. Adesso l’ho un po’ superato, ma preferisco sempre non averli tra il pubblico”.

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E tutto questo amore nonostante la lontananza che fin da quando era una bambina l’ha costretta a vivere a Roma per allenarsi: Finché abitavo a Taranto era una follia conciliare la scuola, gli allenamenti e i tornei. Mio padre veniva a prendermi in auto per accompagnarmi sui campi. Nel tragitto mangiavo di corsa il panino preparato da mia madre. Giocavo a tennis, ritornavo a casa. Lì mi aspettavano i compiti: facevo le espressioni, non mi riuscivano, mia madre le aveva già fatte, controllavamo dove avevo sbagliato. Un massacro per tutta la famiglia”.

Nella sua esperienza romana non sono certo mancate le amicizie e le avventure con le altre piccole atlete, tra cui Flavia Pennetta e Sara Errani: “C’era anche Flavia Pennetta tra i nuovi arrivi, con lei ho vissuto a lungo. Qualsiasi problema avessi, per me c’era lei, e qualsiasi problema avesse lei c’ero io. Il rapporto che più tardi ho avuto con Sara Errani l’ho avuto prima con Flavia. Eravamo compagne in campo ma anche di viaggio, quando tornavamo a casa in Puglia partivamo insieme, io la coprivo per certe cose e lei copriva me in altre…”.

Esortata a raccontare qualche dettaglio Roby ha risposto così: “Se parlo Flavia mi uccide, peggio ancora adesso che sta per sposarsi. Ma c’è un aneddoto che può dire molto di quegli anni. Dopo cena stavamo sempre tutti insieme a giocare a carte, ai videogiochi, a chiacchierare. Una sera la cerco, le telefono, ma non si trova. L’Acqua Acetosa è fatta di foresterie disseminate tra campi di rugby, di hockey, e così via… Dopo tante chiamate, alle 11 risponde: “Sono nel campo di rugby”. Flavia è sempre stata una testa calda, io ero quella che doveva placarla: alla fine arrivo, e la trovo sdraiata per terra, in mutandine e reggiseno, con le braccia larghe, sotto la pioggia scrosciante. “Cosa stai facendo?”, le chiedo. E lei: “Voglio la febbre, voglio la febbre, voglio la febbre”.

Infine si torna su quella storica vittoria ai danni di Serena Williams e su alcuni momenti decisivi di quel match, come quel “ora applaudite anche me, cazzo”, rivolto agli spettatori: La mia vita vorrei non cambiasse. Però quelle immagini le ho riviste tante volte. I match-point, gli highlights… mi viene ancora la pelle d’oca.”

Le ultime domande hanno riguardato in modo più diretto proprio Serena Williams, ossia se l’americana ora la odia: “In realtà non la conosco. Ci salutiamo, ma niente più di un “ciao-ciao”. Non ho mai avuto modo di parlare con lei più di 10 minuti, non so com’è fatta, né cosa pensa”.

In chiusura le è stato chiesto se fosse stata al suo posto ora si odierebbe: “Mah… forse sì. Forse sì. Penserei che mi ha rovinato la festa. Lei si è tolta tante soddisfazioni, ha guadagnato tanto. Ma stavolta puntava a quell’obiettivo, a entrare nella storia. Spero che non mi odi troppo”.

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