Olimpiadi, Laver Cup e Coppa Davis: calendario pieno?

Si discute molto del calendario tennistico molto pieno e delle defezioni sempre più numerose dei top players negli appuntamenti di Davis. Nel frattempo però si moltiplicano gli eventi di carattere pubblicitario o sperimentale, quali IPTL e LaverCup. Proviamo ad analizzare la questione.

Sarebbe il caso, crediamo, di mettere sotto la lente di una pacata riflessione la questione del calendario, troppo pieno a detta di tutti, giocatori in testa.
Ma troppo pieno per chi o per cosa? La prima domanda che andrebbe posta ci pare questa. Pieno di tornei, probabilmente, con alcuni appuntamenti storici che cambiano livrea (citofonare Stoccarda) o collocazione, altri che sono sempre sul filo del rasoio per questioni di budget. Ma andiamo con ordine.

Intanto è chiaro che la questione della ricchezza del calendario tocca il circuito maggiore, e non il purgatorio del challanger e l’inferno degli ITF (grazie ad Alighieri per la concessione dell’abusatissima quanto realistica metafora). Sono proprio i frequentatori dei tornei 250, 500 e 1000 a dover convivere anche con le convocazioni in Davis (almeno per il World Group) e soprattutto a dover competere per il torneo Olimpico, che quest’anno rappresenta una settimana di intenso impegno per tutti i giocatori che abbiano una classifica da top 100. Dire no alla possibile convocazione olimpica è irresponsabile quanto sportivamente poco etico per ovvie ragioni che non è il caso di richiamare, ma di sicuro sarà scomodo per chi ha un progetto di classifica da perseguire. Questo è già un primo ostacolo.
Geneva Open
Vi è poi la questione Davis Cup. Da anni si leggono polemiche circa la sua sterilità, la necessità di cambiarne la formula, di trovare un modo per chiamare l’attenzione dei top players. Su questo tema si porta l’esempio di Roger Federer, per anni impegnato nella sua carriera e mai presente ai primi turni della competizione per nazioni, salvo poi schierarsi (il riflessivo è d’obbligo nel suo caso) al capezzale della sua nazionale per l’appuntamento dei playout, in modo da non perdere la serie A. Quando, archiviate le necessità di classifica ha deciso di vincere questa competizione, accertatosi di avere dalla sua parte il fido Stan Wawrinka (nel frattempo diventato un nobile della classifica e quindi anche lui alle prese con le sue programmazioni ed i suoi contratti), lo ha fatto senza grossi patemi segno che la competizione Davis dipende, a livello qualitativo, da chi decide, in piena autonomia di giocarla. I paragoni con gli altri sport si sprecano ma ci pare il caso di non farli, perché nel tennis questa competizione ha cadenza annuale, per cui un giocatore che abbia dieci anni di carriera ha un numero considerevole di occasioni per vincerla.
Davis cup 2015 RUS-ITA. darw.

Va da sé che in questo caso l’interesse degli appassionati viene meno. La differenza tra gli ultimi match di Davis giocati, ad esempio, tra Italia e Svizzera in questo senso è emblematica: i playout di Genova e la sconfitta di Ginevra avevano un peso enorme perché la Svizzera si presentava con il meglio a disposizione, mentre l’incontro che ci attende per l’edizione 2016 con il forfait annunciato di Federer e Wawrinka non credo avrà lo stesso appeal per il pubblico degli appassionati. Allo stesso modo allargando lo sguardo al tabellone del World Group di quest’anno non è possibile fare a meno di notare che Serbia e Svizzera, che non schiereranno i loro top 10 al primo turno, depotenziano un tabellone che vedrebbe nella Famiglia Murray (pardon, nella Gran Bretagna) l’unica forza in grado di arrivare in finale, con l’Italia che ha le sue buone chances di riproporsi almeno in semifinale, alla luce del primo turno tra Polonia e Argentina, con la seconda nobile decaduta e non in buona seconda e la prima nelle mani di Jerzy Janowicz (e questo dice tutto). Parimenti, nella parte bassa, saranno in tanti a sgomitare con un primo turno tra Canada e Francia che si annuncia interessante se, (e sottolineo se, cit. Costanzo \ De Chiara), giocherà Milos Raonic e poi tante sfide decisamente aperte con l’incognita Australia che con Hewitt, Kyrgios e Tomic potrebbe puntare in alto. Ma come vedete, siamo al festival del condizionale.

A discutere sul tema del calendario troppo pieno poi viene da ridere se pensiamo alla nuova Laver Cup, formula gustosa, intrigante, ma pur sempre un’esibizione al netto della mancanza di tradizione e del nome affascinante. Così come un’altra esibizione è la IPTL, con buona pace degli appassionati delle nazioni emergenti che hanno fame di campioni per penuria (fino a ieri) di tornei e di giocatori locali in grado di competere a livello mondiale. Non regge, per i top player, la tesi del calendario troppo pieno. A meno che non si voglia chiamare l’IPTL col nome di “passerella”, giocata tra Indonesia e Singapore, invece che torneo, e spiegare agli spettatori che i giocatori sono lecitamente impegnati per doveri contrattuali e altrettanto leciti e conseguenti guadagni.
Andreas Seppi, Guillermo Hormazabal punjabmarshalls-radwanska-marcos

Insomma: delle due l’una. O la Davis è snobbata perché il calendario è troppo pieno e quindi non si va a giocare in novembre e dicembre la IPTL, oppure la Davis è snobbata perché non porta guadagni sufficienti a giustificarne la preparazione o espone a trasferte e cambi di superfici non congeniali con le programmazioni individuali, con tanti saluti (anche qui leciti) alla maglia nazionale.

A complicare il quadro per il 2016 c’è il torneo Olimpico, giocato però, saggiamente, sulla superficie oramai regina del circuito, il cemento. Peccato che il torneo vada praticamente a sovrapporsi ad un Master 1000, Cincinnati. Immaginiamo una finale tra Djokovic e Murray giocata il 14 agosto dopo una settimana di torneo comunque emotivamente e fisicamente probante. Si prende l’aereo e si raggiungono gli USA dal Brasile e due giorni dopo si ricomincia col secondo turno, visto che saranno esentati dal primo. Avanti così fino all’ultimo Slam, con magari il serbo che starà giocandosi le ultime chances di vincere il Grande Slam. Almeno lui, Djokovic intendo, ha salutato la IPTL per questo giro. Un gesto di coerenza che non faranno in tantissimi.

Per concludere questa disamina. Vogliamo un circus che duri 11 mesi e che chieda ai migliori anche di vestire le maglie nazionali con continuità, per offrirci finali come quelle che abbiamo vissuto fino alla prima metà degli anni ’90, come nell’NBA i cui ritmi sono serrati (sebbene più compressi nell’anno?), oppure vivremo delle scelte di opportunità fatte da ogni giocatore? Qualsiasi sarà la scelta, temiamo la seconda, che si parli di lecita attenzione alla propria carriera, e non di calendario pieno, perché questa tesi proprio non ci convince.

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