Il tennis come esperienza religiosa di David Foster Wallace

Il tennis come esperienza religiosa è un libro dello scrittore e saggista statunitense David Foster Wallace ed è composto di due saggi rispettivamente dedicati all'edizione degli US Open del 1995 e al tennista svizzero Roger Federer.

David Foster Wallace (1962-2008) è scomparso la sera del 12 settembre 2008. Fu trovato dalla moglie, Karen Green, impiccato nella sua casa a Claremont, in California.

È considerato lo scrittore e saggista statunitense più innovativo e completo degli ultimi anni. Si pensi solo che il New York Times lo ha definito l’ ” Emile Zola post-millennio” e “la mente migliore della sua generazione”.

Da giovane Wallace si dedicò a lungo al tennis, entrò nelle classifiche regionali e questo sport rimase parte della sua vita sportiva e letteraria. Testimonianza della sua passione sono le pagine memorabili di Infinite jest, Tennis, Tv, trigonometria e tornado fino ad arrivare a due grandi saggi raccolti nel libro “Il tennis come esperienza religiosa”.

I due saggi che troviamo in questo libro sono dedicati rispettivamente a un’epica edizione degli US Open e a Roger Federer, anche se in realtà il lettore potrà ritrovare, sfogliando le pagine, numerosissimi aspetti che ruotano attorno a questo affascinante ma misterioso sport.

Per dare una visione d’insieme al lettore, ripercorriamo i punti salienti dei rispettivi due saggi.

Democrazia e commercio agli US Open.

Il saggio è dedicato agli US Open del 1995, edizione che vide trionfare Pete Sampras contro Andre Agassi per 6-4 6-3 4-6 7-5.

Questo primo saggio si apre con la discesa in campo di Pete Sampras e Mark Philippoussis durante il weekend di terzo e quarto turno che finisce sempre con coincidere con il weekend del Labor Day, festa nazionale federale degli Stati Uniti.

Pete-Sampras-and-Mark-Philippoussis-Eye-on-Chengdu-Open-2011

Wallace definisce Philippoussis con queste parole: “ Sembra brutale, spartano, uno grosso e lento che gioca di potenza da fondocampo, con una cattiveria gelida negli occhi, e a paragone Sampras sembra fragile, cerebrale, un poeta, saggio e triste allo stesso tempo, stanco come solo le democrazie sanno esserlo”.

Il concetto racchiuso in queste poche righe è fondamentale e racchiude il messaggio che Wallace vuole lanciare al lettore.

In campo si stanno affrontando non solo due giocatori completamente diversi tra loro, ma stiamo assistendo ad un contrasto ben più profondo tra i due, radicato nell’orientamento di fondo rispetto alla vita, all’immaginazione, all’uso della potenza e anche rispetto agli interessi economici.

Il narratore si fa carico del tema del commercio, porta alla luce gli interessi economici “sporchi” che ruotano attorno ad ogni sport e che purtroppo non hanno risparmiato neanche il tennis.

Wallace ci dice che le quattro pareti che circondano lo Stadium Court sono coperte da un telone azzurro cloro, colore studiato attentamente dagli organizzatori per attirare maggiore attenzione da parte degli spettatori. Su di esso, riportati in bianco, tutti gli slogan pubblicitari che sfruttano il cosiddetto “tempo passivo” tra un punto e l’altro e tra le brevi interruzioni in cui lo sguardo ha bisogno di distrarsi. Inoltre, i teloni fanno da sfondo immediato ai giocatori e l’occhio del pubblico e delle “signore” telecamere, non perdono mai di vista i giocatori.

Morale: se dietro Sampras seguito dalla telecamera c’è il nome della tua azienda, sicuramente quest’ultima ne ricaverà risalto visivo e il nome di essa verrà, secondo un processo mentale e psicologico, associato a livello subliminale al nome di Sampras.

Ed ecco che lo scopo commerciale, senza che nessuno ci abbia dato troppa importanza, ha avuto il successo sperato.

Per questo motivo, secondo l’autore il “tennis viene sempre definito sport internazionale ma sarebbe più esatto definirlo sport multinazionale”. Lo sport è il settore marketing di grandissime aziende, infatti, il grosso dei guadagni di tutti i professionisti proviene dai contratti pubblicitari.

Wallace utilizza un paragone per spiegare al lettore come tutto sia legato al commercio.

Sampras e Philippoussis sono in campo, quest’ultimo somiglia ad un grande e temibile esercito, ha una volontà e cerca di imporla a tutti i costi. Sampras invece è più “navale”, della scuola che manovra-e-accerchia, è più democratico ma anche più umano e sembra quasi che il suo vero compito sia capire quale sia veramente la sua volontà.

I due giocatori vengono messi a confronto con la storia di Atene e Sparta. L’autore ricorda al lettore la loro storia: Atene perse la guerra del Peloponneso e sebbene ci siano voluti trent’anni, alla fine Sparta l’ha spuntata. E in tanti non sanno che è stata Atene a cominciare tutta la faccenda attaccando briga con gli alleati marittimi di Sparta che si intromettevano nei commerci via mare di Atene.

Tutto questo per spiegare a chi legge che così come l’immagine di una Atene simpatica e perbene non regge più, lo stesso vale per Sampras che può sembrare più umano, più democratico e meno brutale del suo avversario, ma gli interessi sono i medesimi: entrambi puntano a superare il turno e ad uscire vittoriosi dalla battaglia.

Tutto sembra prendere il sopravvento sul vero scopo dello sport, tutto sembra avere un fine pubblicitario e Wallace si fa carico di riflessioni da cui prende spunto ascoltando le conversazioni tra il pubblico, osservando la realtà che esiste fuori dai cancelli degli US Open e notando la grande quantità di cartelloni pubblicitari volti a sponsorizzare aziende di ogni tipo.

Federer come esperienza religiosa.

Anche il secondo saggio ruota intorno ad una partita, la finale di Wimbledon del 2006 tra Rafael Nadal e Roger Federer che vedrà lo svizzero trionfare sullo spagnolo in quattro set (6-0 7-6 6-7 6-3).
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Wallace apre il saggio spiegando i cosiddetti “Momenti Federer” che tutti gli amanti del tennis hanno potuto sperimentare.

Si riferisce a quei momenti in cui “certe volte, guardando il giovane svizzero giocare, spalanchi la bocca, strabuzzi gli occhi e ti lasci sfuggire versi che spingono tua moglie ad accorrere da un’altra stanza per controllare se stai bene” e questi Momenti sono “tanto più intensi se un minimo di esperienza diretta del gioco ti permette di capire l’impossibilità di quello che gli hai appena visto fare”.

Inoltre, se si vive uno di questi Momenti dal divano di casa propria le parole di Wallace risuoneranno nella mente del lettore come non ci fosse niente di più vero: il tennis in tv sta al tennis dal vivo più o meno come i video porno stanno alla realtà vissuta. Eppure, di fronte a cotanta impossibilità, eleganza e pulizia dei movimenti, non si potrà far altro se non veder comparire quei versi di cui parla l’autore sul proprio volto.

È anche vero che scopo degli sport agonistici non è la bellezza, ma potremmo definire la sua una bellezza cinetica: la sua forza e la sua attrattiva sono universali.

Negli sport maschili non si parla mai di bellezza, di grazia o del corpo. L’amore del maschio per lo sport deve essere in un certo senso improntato sulla simbologia della guerra e per alcuni motivi, non del tutto chiari, Wallace sostiene che molti di noi comuni mortali trovino i codici della guerra più sicuri di quelli dell’amore. Se il lettore si rivede in questa affermazione, allora Rafael Nadal è l’ideale maschile.

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Wallace si serve dei due giocatori completamente diversi tra loro, per riflettere sul concetto di bellezza, genio e ispirazione.

È impossibile secondo Wallace descrivere concretamente la bellezza di un fuoriclasse, o addirittura evocarla.

“Il dritto di Federer è una possente scudisciata liquida, il rovescio è un colpo a una mano che lui sa tirare di piatto, caricare di topspin o tagliare….il servizio ha una velocità e un grado inarrivabile di varietà e precisione; i movimenti del servizio sono flessuosi e sobri, si distinguono (in tv) solo per il guizzo anguillaceo dell’intero corpo al momento dell’impatto. L’intuizione e il senso del campo sono portentosi, il gioco di gambe non ha uguali nel tennis” .

La bellezza del tennis di Federer prima di tutto non è televisiva perché la televisione durante un’azione si preoccupa di inquadrare l’intero campo, ma questo fornisce allo spettatore solamente uno “scorcio” del campo quando in realtà il tennis reale è tridimensionale( mentre l’immagine sul teleschermo è bidimensionale). Dal televisore si perde per esempio la vera lunghezza del campo, i 23.77 metri che separano le due linee di fondo.

Ciò che la televisione non riesce ad oscurare ,quando in campo c’è Roger Federer, è la sua intelligenza. “Federer è capace di vedere, o creare, spazi e angolazioni per piazzare i colpi vincenti che gli altri nemmeno si immaginano, e la prospettiva offerta dalla televisione è perfetta per vedere e rivedere questi “Momenti Federer””.

Il narratore giunge a delineare tre motivi che spiegano la supremazia di Federer, uno dei quali è metafisico ed è il più plausibile: “ Roger Federer è uno di quei rari atleti preternaturali che sembrano esenti, almeno in parte, da certe leggi fisiche”.

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Gli appassionati di questo sport non potranno fare a meno di leggere le pagine di questo libro e di tutti gli altri firmati  David Foster Wallace, uno scrittore che ha lasciato un segno indelebile nella storia di questo sport e che in un certo senso, anche se in maniera differente dai tennisti, ha fatto la storia del tennis. Ha lasciato ai lettori pagine memorabili  di inconfondibile bellezza letteraria.

Come lui stesso afferma nell’ultima pagina del suo secondo saggio “ Il genio non è riproducibile. L’ispirazione, però, è contagiosa, e multiforme, e anche soltanto vedere, da vicino, la potenza e l’aggressività rese vulnerabili dalla bellezza significa sentirsi ispirati e (in un modo fugace, mortale) riconciliati”. ( New York, settembre 2006)

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Fonte: “Il tennis come esperienza religiosa” di David Foster Wallace, stampato per conto della Casa editrice Einaudi presso Mondadori Printing S.p.a., Stabilimento N. S. M., Cles ( Trento) nel mese di agosto 2012. Traduzione di Giovanna Granato.

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