Aspettando Tommy Haas, l’uomo dalle mille vite

A poche settimane dai 37 anni, Tommy Haas vuole ritornare nel circuito. Una carriera sfortunata e cocenti delusioni alternati a splendide rinascite. "Sono un cavallo rotto, è vero, ma ho ancora voglia di giocare".

Un argento olimpico, 15 tornei ATP vinti, numero 2 al mondo come miglior ranking in carriera. Numeri che danno certo l’idea di un grande tennista, ma non restituiscono pienamente il senso della carriera di un giocatore. Che ha ottenuto tanto, vero; ma poteva ottenere almeno il doppio se la sua carriera non fosse stata un dramma degno di Shakespeare.

A quasi 37 anni, Tommy Haas intende affrontare l’ennesima sfida. L’ennesimo ritorno. Dopo il grave infortunio alla spalla, subito al primo turno del Roland Garros 2014 contro l’estone Zopp, tutto sembrava finito. Molti della sua età avrebbero probabilmente appeso la racchetta al chiodo: ma non Tommy, che si è sottoposto all’ennesima operazione e ha trascorso gli ultimi mesi di riabilitazione e di allenamento.

“Sono un cavallo rotto, è vero, ma ho ancora voglia di giocare. Sto iniziando ad allenarmi nuovamente, con alcuni esercizi fisici e palleggiando contro il muro”, aveva dichiarato il tedesco lo scorso dicembre. Un entusiasmo e un desiderio di giocare che lo aveva indotto a dichiarare il suo ritorno in campo addirittura a gennaio, nella stagione australiana. Il suo corpo, però, non è ancora in linea con la sua mente e così, a malincuore, ha dovuto annunciare il suo forfait agli Australian Open, lasciando un posto al francese Stephane Robert.

Ma chi è davvero Tommy Haas? L’attuale n. 77 del mondo, doppia cittadinanza tedesco-americana, ha in effetti il nome e l’aspetto in perfetto stile zio Sam: chioma folta, berretto sempre girato, un viso da attore belloccio. Ma la tempra, l’intelligenza tattica, sono tutte di scuola tedesca. Un tennis arguto, il suo, bello ed efficace come pochi e una forza di volontà forgiata in titanio. In più di 15 anni di carriera il tennista tedesco ha dovuto affrontare una mole di infortuni tale da indurre quasi chiunque altro a dire basta.
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L’inizio di carriera è brillante: il nuovo millennio regala a Tommy l’argento olimpico, dopo aver sconfitto in semifinale Roger Federer. Il mondo del tennis piuttosto banalmente, parla di predestinato e futuro vincitore di tornei del grande Slam. La previsione è tutto meno che azzardata, specie sulle superfici veloci. Infatti Haas a 21 anni scarsi, se la gioca già con i più grandi. Ha già un bilancio positivo contro Safin, Federer e Roddick.

Nel 2002 Haas riceve una telefonata. E’ la sua fidanzata dalla Florida, in stato di shock, che gli urla confusamente nelle orecchie. Racconterà poi Tommy: “Stava piangendo e tutto quello che ho capito era che c’era stato un incidente motociclistico. Ho capito immediatamente che si trattava dei miei genitori. In quel momento, la mia testa si è fermata”. Papà e mamma Haas si stavano godendo una giornata di primavera, sull’Harley-Davidson regalata loro dal figlio. Ad un tratto, si schiantano contro un auto nei pressi di Sarasota. Lui va in coma, lei si riprende fisicamente, ma rimane per sempre segnata, sul corpo e nella mente. Arrivano biglietti e fiori da tutti i colleghi, il mondo del tennis e non solo gli si stringe attorno, solidale. Quell’anno terribile si concludono ancora peggio: a dicembre la sua spalla cede, mentre prova un servizio in allenamento. Questo è decisamente troppo per il giovane Tommy, che decide di lasciare il circuito a tempo indeterminato.

Nel 2004 rientra dopo la lunga inattività; inizia a farsi strada e a togliersi soddisfazioni importanti, come la vittoria sull’allora numero 1 Andy Roddick. Nel 2005, un infortunio grave alla caviglia lo costringe nuovamente ad un lungo stop. L’anno dopo il secondo ritorno, e l’importante successo di Memphis in finale con un altro gran giocatore sfortunato a livello fisico, Robin Soderling. Poi ancora la solita spalla: c’è da operare. E’ il 2008, e Tommy Haas che si aggirava con onore in top-ten e dintorni, scivola inevitabilmente al numero 82 del mondo.

Il 2009 è l’anno dell’ennesima quanto insperata rivalsa. Quotidiani sportivi e addetti ai lavori parlano di un ritiro oramai inevitabile. Sono fuori strada. Inizia la breve ma intensa stagione sull’erba: Haas vince Halle battendo un certo Novak Djokovic; non lo schiacciasassi di oggi, è vero, ma comunque un campione già al 4° posto della classifica mondiale . Non contento, lo supera di nuovo, niente meno che ai quarti di finale di Wimbledon, quel torneo dove ci si veste di bianco e durante gli scambi, sugli spalti trattengono anche il respiro. Non è tipo da emozionarsi per così poco, Tommy, impegnato a mettere in piedi la sua nuova rinascita.

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Se la fortuna esiste, di certo non tifa per Tommy Haas. Nel 2010 il tedesco finisce di nuovo sotto i ferri. Stavolta l’infortunio è doppio: anca e gomito. Haas scende rapidamente dal 18° al 370° posto nel ranking ATP; da qui inizia una lunga e inesorabile discesa. La classifica di Haas dice “senza ranking” e, per ripartire, il traballante Haas ha bisogno di wild card per partecipare ai tornei che contano e risalire in fretta. Sulle labbra di molti, la parola “fine” è la più frequentemente associata al nome del tedesco. Ma non è ancora il momento, per Haas, che forse ha letto Nietzsche e preso il meglio del concetto di Superuomo. Del superare se stessi. E di farlo continuamente, quasi fosse l’unico scopo tangibile dell’esistenza.

Il 2012 è un anno pazzesco. Tommy vince Halle battendo nel suo regno, e per giunta in finale, Roger Federer. Una sfida quasi vintage per bellezza ed eleganza dei colpi di un tennis nobile e antico, oggi quasi estinto. Sempre in questa stagione miracolosa raggiunge le finali di due tornei ATP 500, Washington e Amburgo, perdendo rispettivamente da Dolgopolov e Juan Monaco. Come non gli accadeva dagli esordi, nel 2013 Haas passa un altro anno praticamente indenne. Assapora qualcosa di simile alla continuità, e così parte molto bene vincendo i tornei di Monaco e Vienna contro Kohlschreiber e Robin Haase. Arriva a quota 15 trofei. Riesce persino a togliersi l’ennesima soddisfazione contro Nole, sconfiggendolo agli ottavi di finale nel prestigioso torneo di Miami.

Il 2014 ha in serbo un’altra beffa. Al primo turno dell’Open di Francia l’infortunio alla spalla lo costringe al ritiro. I medici non hanno dubbi: si deve operare. Il passaporto dice 36 anni, gli addetti ai lavori ripetono le stesse cose di cinque anni prima. Sembra, di nuovo, la fine. Da New York, città dove subisce l’intervento, dicono che tutto è andato per il meglio.

Tra le dichiarazioni più recenti di Tommy Haas, si registrano parole particolarmente interessanti. La prima è la risposta alla solita domanda “Quando la fine?” la risposta “I want to finish on my own terms”; che si può agevolmente tradurre in “Finirò quando lo dico io e alle mie condizioni”. Insomma, sono io che decido non il destino. Poi c’è un’altra domanda, forse più interessante e riguarda i suoi stimoli. Qual è la ragione più profonda del suo non arrendersi? Sua figlia, Valentina, di soli 4 anni. Haas ha detto: “I want Valentina to see her dad at his best, and at an age when she’s old enough to actually remember it.” Il suo scopo è un desiderio tanto semplice quanto grande: che sua figlia possa vederlo giocare il suo miglior tennis, avendo un’età tale per poterselo ricordare quando sarà grande. Un ragionamento simile a quello di un altro illustre papà, Roger Federer.

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Certo, direte, tutto molto romantico, tenero, quasi struggente. Ma il tedesco ha 36 anni, viaggia verso i 37, è da pazzi credere di poter giocare il proprio miglior tennis, d’ora in avanti. E in effetti c’è da pensare ad uno spostato per chiunque dica una cosa del genere. Ma sapete che c’è? C’è che ogni volta, alla fine della storia, ha sempre vinto lui. L’eterno ragazzino col berretto all’indietro.
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