Cilic, le debolezze del leone Marin

Sopraffatto dalla tensione e dolorante a un piede, il croato ha chiuso male un torneo che l'ha visto grande protagonista.

Chi ha avuto la bontà di seguirmi nell’analisi che feci prima della finale di Wimbledon, ricorderà forse che chiusi la stessa affermando che Marin Cilic non avrebbe indossato i panni di chi “non ha nulla da perdere” in quanto da perdere, per lui come per il suo avversario, c’era il titolo del torneo più famoso del mondo.

Fortuna o profezia che sia stata, purtroppo il croato è stato il protagonista mancato dell’atto conclusivo di Wimbledon e la sua performance negativa ha avuto lo sgradevole effetto di gettare una leggera ombra sull’esito della finale stessa. Anche se Federer, gentile come sempre, ne ha rimarcato l’eroicità per aver portato a termine l’incontro nonostante la menomazione, i dubbi sulla prestazione di Cilic permangono e nessuno ha veramente capito quanto la vescica al piede ne abbia condizionato il rendimento. Certo è che, fin dai primi giochi, il nativo di Medjugorje aveva palesato tutta la sua tensione, bisognoso com’era di continui profondi respiri prima di servire.

Tuttavia, nulla faceva presagire ciò che sarebbe successo a metà del secondo set anche perché era stata proprio del croato la prima frustata alla finale, quando cioè aveva avuto sulla racchetta l’opportunità di togliere la battuta a Federer e salire 3-1 nella frazione iniziale. Invece, come se in quella risposta maldestra si fosse concentrata tutta l’energia nervosa a disposizione di Marin, l’occasione mancata deve aver toccato qualche filo scoperto e sei punti più tardi Cilic era sotto di un break e come un marinaio senza bussola mentre infuria la tempesta.

Perso il set 6-3 (e presa a racchettate una delle sue sedie), Marin si è visto subito sfuggire di mano anche il secondo e dopo tre giochi (3-0) si è sciolto in lacrime durante il cambio di campo, un episodio che ha ricordato da vicino la tedesca Sabine Lisicki, pure lei sopraffatta dall’emozione quando (non) giocò la finale 2013 contro la francese Marion Bartoli. Poco più tardi, l’intervento del fisioterapista sulla pianta del piede sinistro di Cilic è servito quantomeno a giustificare il cocktail di dolore e frustrazione che deve aver preso d’assedio i pensieri del croato, consapevole a quel punto di non poter reggere quel fardello così greve proprio mentre attorno a lui, nel Centre Court come nel mondo intero, tutti o quasi aspettavano solo il momento di celebrare un altro capitolo della leggenda.

In tutto questo tempo e ancora di più nella terza frazione, Cilic non ha mai dato segni evidenti che la piaga sotto il piede gli condizionasse troppo i movimenti e gli appoggi; credo che il cambio di tattica, ovvero la ricerca più frequente della rete e l’innalzamento della soglia di rischio dei suoi colpi da fondo campo, sia dunque stata più una scelta precisa che una conseguenza del suo stato fisico. In caso contrario, senza scomodare gli eroi, va dato atto a Marin di aver mostrato grande stoicismo ed estrema professionalità a decidere di continuare un incontro pur sapendo che non avrebbe mai potuto trarne niente di positivo.

Le perplessità sulla finale non devono però in alcun modo inquinare quanto di buono il croato aveva fatto per arrivarci. Il suo è stato un torneo perfettamente in linea con le attese che lo vedevano nei panni del guastafeste e più che probabile avversario di Nadal nei quarti, anche se poi si è trovato di fronte il lussemburghese Müller. Pur tenendo il profilo basso, Marin non ha mai nascosto le sue vere ambizioni in questo torneo e ha continuato a ripetere di essere in grande fiducia per poi dimostrarlo anche sul campo.

Non sono mancati i passaggi delicati sia con Müller che con Querrey. Il mancino di Lussemburgo l’ha messo in grande difficoltà per i primi due set e solo un paio di autentiche prodezze hanno consentito a Cilic di cambiare le sorti del tie-break del secondo e quindi dell’intera partita. Sotto di un parziale anche con Querrey, il croato ha reagito risalendo la china e nel quarto è stato bravo a non scomporsi quando lo “Zio Sam” si è trovato avanti di un break. In entrambe le sfide suddette, Cilic ha sofferto il ruolo di favorito ed è anche per questo che si poteva ipotizzarne una maggiore tranquillità in finale, dove invece ricopriva il ruolo di outsider.

Invece, pur essendo alla seconda finale in un major, la situazione si è rivelata assai diversa rispetto a quando sconfisse nettamente Nishikori a New York nel 2014 e quella esperienza non l’ha aiutato a gestire l’aspetto emotivo di una partita che lo vedeva opposto a un avversario di grande carisma. E in fondo è un peccato in quanto resto convinto che un Cilic sereno (e magari anche senza vesciche) e centrato avrebbe potuto mettere in apprensione Federer e spingere lo svizzero ad alzare la qualità del suo tennis, il tutto a beneficio di uno spettacolo che è quasi del tutto mancato.

Archiviata l’erba, dopo un paio di settimane di riposo inizierà la rovente estate americana; Cilic avrà l’opportunità di essere tra i protagonisti e a Cincinnati, dove difenderà il titolo conquistato l’anno scorso in finale su Murray, ritroverà Federer (che invece probabilmente salterà Montreal). Anche se al momento sarà forte la delusione per aver steccato la finale di Wimbledon, il risultato ottenuto all’All England Club rafforzerà le convinzioni del croato di potersi insediare stabilmente nelle parti altissime del ranking. Per ora la posizione è rimasta quella di prima (6°) ma il divario con chi gli sta davanti è diminuito e molto potrebbe cambiare nei prossimi mesi.

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