Donald Young, buona fortuna ragazzo

Pochi sono i tennisti che sono in grado di impressionare a primo impatto, vedendoli giocare soltanto una volta: Donald Young è uno di questi. Sarà per il suo tennis un po’ pazzo, un po’ spregiudicato, sarà per la sua paura di niente, o sarà perché è raro vedere un giocatore di colore esprimere un tale livello di gioco? Riflettendoci, francesi esclusi (Tsonga, Monfils, ecc.) era da un bel po’ che gli Stati Uniti non possedevano un giocatore scuro di pelle ad alti livelli, dopo l’immenso Arthur Ashe e il più recente James Blake.

Young è uno di quei giocatori che ha il dono del tennis: i colpi sono di una naturalezza e una bellezza unica. Sicuramente i geni hanno influito: papà Donald e mamma Ilona erano anch’essi giocatori professionisti, e l’hanno allevato a pane e tennis. Nato il 25 luglio 1989, fin dall’età di tre anni dimostra di essere straordinariamente portato per questo sport e i genitori spesso si sentivano dire cose del tipo: “Preparatevi, vostro figlio sarà più forte di voi due messi insieme”. Il piccolo Donald usa la destra per fare tutto: scrivere, mangiare, impugnare gli oggetti, ma quando gioca a tennis, incredibilmente, il gesto di prendere la racchetta con la mano sinistra gli viene naturale fin da subito, e diventa un mancino devastante. Cresce nel mito di Pete Sampras, si innamora sportivamente di lui e il suo sogno diventa ripercorrere le sue tracce. Dalla piccola accademia tennistica vicino casa, si trasferisce poi ad Atlanta (luogo dove tuttora è residente) e comincia a frequentare il South Fulton Tennis Center di College Park, lo stesso nel quale erano cresciuti papà e mamma.

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Lì incomincia la sua nomea di astro nascente: lo notano tutti, compreso il grande Nick Bollettieri, con il quale si allena saltuariamente alla IMG Academy di Bradenton, in Florida. Ma Donald Jr. aveva sempre visto il tennis come un passatempo, non si rendeva conto di essere considerato una delle migliori giovani promesse a livello mondiale, ed ecco che tutto ad un tratto arriva la fama: nel 2004, a 14 anni, viene eletto unica promessa sportiva della rubrica “Who’s Next?” della celebre rivista Newsweek, prima di chiudere l’anno da numero uno all’età di 16 anni e 5 mesi (un mese più giovane di Richard Gasquet nel 2002) nel junior-ranking mondiale, diventando il più giovane di sempre a farlo, nonchè il primo afro-americano di sempre a ricoprire quella posizione. Durante quell’anno arrivarono molti titoli a livello junior, e anche qualche buon risultato nei Futures, ma soprattutto riuscì a vincere l’Australian Open junior a 15 anni, con giocatori anagraficamente molto più grandi di lui in tabellone.

Questi non sono gli unici record di quello che è ancora oggi, a 25 anni, considerato un predestinato, un “chosen one”, perché fu l’unico nella storia degli Stati Uniti ad aver vinto l’Open d’Australia e ad essere finito numero 1 nel ranking mondiale a fine anno: prima di lui solo un certo Andy Roddick c’era riuscito. La sua gloria da junior non si ferma qui: nello stesso anno arriva in semifinale a Wimbledon e ai quarti nel suo paese, agli US Open (dove però vinse il titolo di doppio in coppia con Clayton). Il suo sogno diventa realtà nel 2007, quando, poco prima di compiere 17 anni, vince il titolo junior a Wimbledon, il primo americano dai tempi di Scott Humphries, nel 1994. Sempre nel 2007 il suo talento non sfuggì al capitano statunitense di Coppa Davis, che lo convocò in occasione dei quarti di finale contro la Spagna.

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Ed ecco che sembra fatta, gli Stati Uniti, dopo gli straordinari campioni che ha avuto negli anni, da Ashe a Connors, da Courier a McEnroe, da Sampras ad Agassi, ne hanno sfornato un altro: dopo un inizio 2007 incredibile, diventa il più giovane giocatore di sempre ad entrare in top 100 (18 anni, 5 mesi), riesce a scalare posizioni e ad ottenere buoni risultati nei tornei ATP, raggiungendo anche un grandioso terzo turno agli US Open. La strada sembra spianata, ma l’avventura nei tornei 250 e 500 è più dura di quello che si aspettava: pochi risultati, poche sorprese. Diversa la situazione nei tornei challenger: in quell’anno arrivarono un titolo e quattro finali, che sommati alle prestazioni nei tornei futures, fecero raggiungere a Young un montepremi di fine anno di 111.000 dollari circa. Nel 2008 arriva il suo best-ranking (73, in aprile), ma nel circuito ATP fa ancora tanta fatica: fuori al primo turno in tutti i tornei del Grande Slam, e pochi risultati nei tornei americani. Riesce comunque ad aggiudicarsi il titolo challenger di Sacramento e altre due finali, prima di un grave infortunio che gli compromette tutta la stagione 2009. Torna soltanto ad agosto, dove esce al primo turno a Washington, dopo altre delusioni, e precipita al numero 206 del ranking. Dopo l’ennesimo anno sterile, il 2011 sembra essere quello della sua consacrazione: raggiunge la finale al 250 di Bangkok (sconfitto da Andy Murray), e il quarto turno degli US Open, e vola al 39° posto del ranking. La svolta? No, il suo talento sembra spegnersi, quasi sprecarsi, viene battesimato come uno dei tanti talenti inesplosi: l’anno seguente totalizza appena 5 vittorie nel circuito maggiore ATP, e una terribile sfilza di sconfitte, addirittura 17 consecutive.

Torna in top 100 ad inizio 2013 e si rialza, tornando tra i primi 60 del mondo in un 2014 di transizione, prima di volare verso un 2015 cominciato alla grandissima: finale a Memphis, dove perde da Nishikori, e altra finale a Delray Beach, nella quale affronterà il gigante Ivo Karlovic. Lui stesso ha dichiarato: “Sento che finalmente sta arrivando il mio momento”. Noi ce lo auguriamo vivamente, e speriamo di rimanere presto incantati dal tuo estro, che fino ad’oggi è rimasto nel limbo delle promesse. Questo meraviglioso sport ci ha insegnato che non vi è età per esplodere e per vincere: ce lo insegna Stan Wawrinka, diventato uno dei pù forti al mondo a 28 anni. Donald Young ne ha appena 25, il tempo è dalla sua parte, il talento anche, buona fortuna ragazzo.

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