Elena Dementieva, il fiore di loto russo

Elena Dementieva, bella e fragile come un fiore di loto, tra sofferenze e delusioni è passata e uscita (quasi) indenne dall'inferno del circuito femminile. Oggi compie 36 anni.

Il primo esame Elena Dementieva lo sostiene a sette anni quando, nel novembre del 1988, la madre l’’accompagna alla polisportiva del CSKA di Mosca per sostenere un provino di ammissione. Mamma Vera, un’’insegnante di letteratura russa con il pallino del tennis al punto da far leva su alcuni trascorsi con la racchetta per ottenere un brevetto d’insegnante, non riceve però la risposta sperata: “sua figlia è troppo alta per diventare una campionessa”. Tornate a casa entrambe in silenzio, la figlia per indole, la madre per la delusione, a cena quest’ultima informa il marito, Viatcheslav, che di mestiere fa l’’ingegnere, del responso negativo. Lui non se ne fa un cruccio anzi, l’idea che quella figlia alta sì, ma anche tanto fragile e introversa, fatichi su un campo da tennis non gli va troppo a genio. Ma Vera non demorde e, tempo pochi giorni, madre davanti e figlia un paio di passi indietro, si presentano al Dynamo Sport Club. Anni dopo Rauza Islanova, moglie del presidente del Circolo e madre dei futuri numero uno del mondo Marat e Dinara, spiegherà di essere rimasta colpita “dall’educazione e dalla disciplina di quella bambina che prima di rispondere a qualsiasi domanda attendeva sempre un paio di secondi quasi dovesse elaborare nella mente il concetto da esprimere più esatto possibile”. Sotto alla guida di Rauza Islanova, nello stesso gruppo con Marat e Dinara,

Elena si allena per tre anni finché la maestra decide di dedicarsi esclusivamente ai figli. Elena prende male l’’abbandono, crede che se davvero valesse la sua maestra l’avrebbe tenuta con se’. Mamma Vera non è dello stesso avviso e quella sera l’ennesima pacata discussione sul tennis con il marito è inevitabile. Più guarda Elena più il padre scorge i tratti del “luminare”: a scuola ha il massimo dei voti in tutte le materie e quando gira per casa ha sempre un libro in mano. Mamma Vera però non molla e tre anni dopo il primo rifiuto varca nuovamente il cancello del “Central Red Army Tennis Club”. Questa volta, Sergei Pashkov la ammette nel corso, seppur senza crederci più di tanto. Dopo la fuga di Anna Kournikova verso l’Accademia di Nick Bollettieri, la prediletta è Anstasia Myskina. Sembra avere tutto in più: la pulizia nell’impatto, un fisico asciutto ma allo stesso tempo tonico nonché una certa ruvidezza caratteriale che proprio non appartiene alla giovane Dementieva. Composta e tenace la Dementieva si divide tra studio e tennis, senza mai trascurare alcun dettaglio finché nel dicembre del 1998 non è la Myskina ad incidere il proprio nome nell’’albo d’oro dell’Orange Bowl, bensì lei, Elena, vittoriosa in finale su un’altra compagna di allenamenti, un’altra tenuta più in considerazione di lei, Nadia Petrova. Quando le “donne di casa” tornano dall’’America, Elena ha i capelli tinti di blu ed il padre, che da alcuni anni ha iniziato a lavorare sedici ore al giorno per poter permetterle di giocare a tennis, sa già che la moglie ha deciso tutto: non sarà la sua adorata e “troppo sensibile” figlia ad iscriversi all’’università, bensì il maschietto Vsevolod. Elena si dedicherà al tennis e chissà se nella mente del padre sarà affiorato un verso di Sylvia Plath: “Anche tra fiamme violente si può piantare il loto d’oro”.

Fedele a quella Federazione che mai aveva creduto in lei, nonostante un quasi insopportabile dolore alla spalla, nel novembre del 1999, Elena scende in campo nella finale di Fed Cup a Stanford contro le sorelle Williams. Il punto della bandiera, lo ottiene proprio lei, sconfiggendo Venus Williams 6-4 6-2. L’anno dopo Elena difende i colori della Russia alle Olimpiadi di di Sydney e torna a Mosca con un argento appeso al collo. Due settimane prima era diventata la prima russa a raggiungere la semifinale agli US Open, piegata in quell’occasione da Lindsay Davenport. Entrata tra le prime 20 giocatrici del mondo, nel 2001 Elena scavalca Kournikova e tiene la Myskina a debita distanza. Diventa lei, con il suo tennis geometrico e meticoloso, il faro del “Madre Russia”, è lei insieme a Nadia Petrova a trascinare la sua nazionale nella finale di Fed Cup più giovane della storia, persa a Madrid contro il Belgio di Justine Henin e Kim Clijsters.  E’ lei a fare da “nave scuola” a Svetlana Kuznetsova, Elena Vesnina, Vera Zvonareva e Dinara Safina. Per scrollarsi di dosso il fantasma di tre finali perse, Elena deve attendere il 27 aprile 2003 quando all’ultimo atto di Amelia Island supera la Davenport. Il meglio però è dietro l’angolo e quando il 5 giugno del 2004 calpesta la terra rossa del Philippe Chatrier per disputare la finale del Roland Garros contro l’eterna rivale, Anastasia Myskina, è la Dementieva la grande favorita. Invece tutto va all’incontrario. E mentre la Myskina si presenta in campo forte di un match point annullato a Svetlana Kuznetsova agli ottavi, la Dementieva è paralizzata al punto da “far fatica a respirare”. Prima del match, Martina Navratilova va ad incoraggiare Elena negli spogliatoi ma la regina di Wimbledon si ritrova una ragazzina talmente emozionata da non riuscire nemmeno a parlare. L’’epilogo è un impietoso 6-1 6-2 a favore della Myskina in appena un’ora di “non” gioco. Destino vuole che tre mesi dopo Elena si inchini all’ultimo atto degli US Open, sconfitta dalla più giovane e indisciplinata compagna d’avventura, Svetlana Kuznetsova. Nei box, a fare da spartiacque tra i due team russi c’è la Navratilova, pronta ad applaudire entrambe, in cuor suo persuasa che il futuro del tennis sia tutto un affare tra il genio di San Pietroburgo e l’elegante moscovita.

Elena-Dementieva-Svetlana-Kuznetsova

A fine 2004 Elena Dementieva trascina la Russia alla conquista della prima delle 4 Fed Cup che spiccano nella bacheca della Federazione. Dal settembre 2004 non disputerà mai più nessuna finale Slam. Si fermerà sei volte in semifinale. Una di esse è tuttora considerata uno dei match più entusiasmanti di sempre. E’ il 3 luglio del 2009 e Serena Williams la batte 6-7 7-5 8-6 al termine di una battaglia di oltre tre ore e mezza dopo averle annullato un match point. E mentre in Patria iniziano a definirla una “perdente”, una “debole”, una “eterna seconda”, la Dementieva continua a presentarsi in campo sorridente, dimostrandosi sempre cortese e disponibile verso tutti, tanto con le avversarie quanto con le schiere arbitrali e il pubblico a cui non rifiuta mai un autografo o lo scatto di una foto. Il viaggio di Elena Dementieva è coronato anche da sedici tornei WTA conquistati, un best ranking che la vede al terzo posto, da 575 vittorie in singolare e da una sentitissima Medaglia d’Oro alle Olimpiadi di Pechino nel 2008: “La medaglia d’oro è sempre stato il mio sogno. Niente si può paragonare all’emozione che ti da giocare per la tua Nazione. In Russia tutti sanno cosa sono le Olimpiadi, pochi sanno cos’è uno Slam”. Se la professionista Dementieva è stata capace di guadagnare oltre 13 milioni di dollari solo di montepremi, “l’icona” le ha permesso di quadruplicare la cifra grazie agli sponsor, dai quali non si è mai lasciata vincolare e che spesso ha respinto senza indugi.

La Dementieva “ingarbugliata” ed insicura che in certi match era capace di superare i venti doppi falli, non è mai stata tanto diversa dalla donna acuta, misurata nelle parole, il tono di voce sempre basso, con cui raccontava della sua passione per i film francesi, le cui sfumature tanto conciliano con la sua natura riflessiva e al tempo stesso estemporanea. “Non mi piacciono i film in cui si capisce tutto. Un film in cui si capisce tutto non significa niente”; era solita rispondere ai giornalisti statunitensi che parevano non rassegnarsi alla sua avversione per i kolossal. Coerente eppure a tratti spiazzante, come quando spiegava, con una semplicità ed una padronanza quasi superiore a un docente: “Ho letto e riletto tutto Tolstoj e Nabokov, ma la mia fissazione è Dostoevskij. Chi non è russo lo può amare per la sua universalità, io mi lascio trasportare nel sottosuolo della nostra terra. E’ una questione d’identità”. Considerando la sua riservatezza e signorilità non c’è da stupirsi che il ritiro sia giunto all’improvviso e inaspettato, il 28 ottobre 2010, dopo essere stata eliminata al round robin del Master. Un’annuncio fatto in campo, tra la commozione delle colleghe e le lacrime della madre a cui Elena dedica alcune parole: “tu sei l’unica a non avermi mai abbandonata, ti voglio bene”.

Dopo aver speso anni della sua vita a dover convincere tutto e tutti del suo valore, dopo alcune amarezze, dopo aver accarezzato gioie e vittorie, seppure sempre troppo poche rispetto a quante avrebbe meritato, il tennis giocato ha perso troppo prematuramente il suo fiore di loto. Sarà che la sua assenza è stata percepita con una pesantezza maggiore rispetto alle sue vittorie, ne sono testimoni una fontana in un parco di Mosca che porta il suo nome e onorificenza allOrdine d’Onore conferitale da Dmitrj Medvedev; sarà che da leader e amica leale quale è sempre stata, ha continuato ad affacciarsi come commentatrice, giornalista e supporter delle connazionali in diversi tornei in giro per il mondo; contrariamente a quanto narra la leggenda che attribuisce ai fiori di loto il potere di rendere totalmente immemori, smarriti, al punto da ritrovarsi a vagare senza meta nel limbo per l’eternità; Elena Dementieva, la  campionessa senza slam, ha comunque lasciato un segno, salvandosi dalle tenebre dell’oblio.

Elena-Dementieva

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