Gattone Mecir, il più grande ingannatore della storia

Lendl ha l’espressione di chi non sa cosa pensare. Mecir non lo guarda nemmeno in faccia, non sbuffa, non urla, non protesta. Non fa nulla, eppure d’un tratto vince il punto.

Ci sono volte in cui parlare di titoli e record risulta superfluo. Lo è ad esempio quando, nella banalità di un discorso sentito e risentito, si finisce sui soliti nomi: Federer, Nadal, Djokovic e tanti altri.
Lo è anche, o forse ancor di più, quando di titoli e record dei quali discorrere non ve ne è traccia.
Aleggia un alone di imperforabile mistero, nube densa e soffice che, silenziosamente, attraversa un campo da tennis.
E’ il 19 Maggio 1964 quando a Bojnice, piccola città della Slovacchia nel distretto di Trencin, viene appeso sulla porta di una casa un fiocco azzurro. Bojnice, pur avendo soltanto cinquemila abitanti, è famosa per l’immenso castello che ogni anno ospita un festival internazionale di spettri. Tutto, nei dintorni, ruota attorno al romanticismo della struttura, che si impone fiera sulla tranquilla città.
Negli anni Ottanta, quando si parla di sport ed in particolare di tennis, l’attenzione del pubblico globale è unilateralmente catalizzata sul duopolio McEnroe-Borg e sull’impressionante striscia vincente di Lendl. Trovano spazio, tra loro, giovanissimi interpreti della racchetta che una volta ritirati passeranno alla storia, ma che, nel momento in cui i fatti vengono narrati, il 1987, rappresentano il più florido presente.
A Key Biscayne è una domenica e, sul campo centrale adibito a festa per la premiazione finale, si sfidano Lendl e Mecir.
Quell’anno è probabilmente, per il ceco, il migliore della carriera. Incontrastato numero 1 al mondo, in classifica lo seguono soltanto, con fatica, i due svedesi Edberg e Wilander. Colpi piatti e potenza inaudita, Lendl pare essere, anche oggi, troppo forte.
Di là dalla rete osservo con stupore ciò che mai avrei creduto si potesse verificare in uno sport individuale. Mecir, con quei pantaloncini troppo corti perché possano essere presi sul serio, sta completamente ignorando il suo avversario. Gioca, sì, rimette di là la palla con un bel movimento, ma è totalmente assente dal campo, estraniato dalla situazioni che invece, antitetica, lo vede come assoluto protagonista.
Lendl ha l’espressione di chi non sa cosa pensare. Mecir non lo guarda nemmeno in faccia, non sbuffa, non urla, non protesta. Non fa nulla, eppure d’un tratto vince il punto. In campo si muove benissimo, sembra appena sfiorare il terreno di gioco, accarezza con feline movenze il suolo e la palla, trattandola con garbo, in anticipo, con mestiere. Fondamentali scarichi e centrali, ti chiedi quasi se quello a cui stai assistendo sia vera partita o banale allenamento. Non ha nulla, nulla di bello, una piattezza disarmante alla quale qualsiasi contromisura appare eccessiva. Tuttavia, con la stessa preparazione, un rovescio spolvera la riga, scorre rapido e diretto. Passa e non te ne accorgi nemmeno, perché Mecir non è cambiato, e soltanto il punteggio chiamato dall’arbitro ti rende chiaro che qualcosa sia accaduto.
Di nuovo, il punto successivo, regna la calma. E’ palla break, ma nessuno lo sa. Gattone fissa Lendl che prepara il servizio, alternando metodicamente la sequenza di impresentabili tic.
Lo fissa con intensità, quasi con sdegno, per poi buttare lo sguardo altrove.
Ivan batte, Mecir risponde, dritto in chop di una lentezza imbarazzante. Il ceco si avventa sulla palla, Miloslav puo’ solo difendere e invece gioca una palla corta. Il taglio da sotto la rende irraggiungibile persino per le prestanti gambe di Lendl, che pur tentando non arriva. Il pubblico urla, colmo di stupore. Acclama quel giocatore che se ne sta lì a riflettere, pensando a chissà cosa. Mecir volge loro l’attenzione e li osserva stupito. “Perché applaudono”, sembra pensare, “non ho fatto nulla di che”.
Proseguirà di questo passo, senza lasciare nemmeno un set ad un Lendl cui rimane soltanto un amaro sorriso stampato sul volto.
Trofeo in mano e titoli trionfanti, c’è la speranza che possa interrompere il dominio del ceco. Perderà invece al primo turno, nel torneo successivo, distrutto da una schiena scricchiolante e da un servizio mai competitivo. Il 7 Aprile dello stesso anno, però, in finale a Dallas, si tolse il lusso di battere John Mcenroe, con un 6-0 iniziale da manuale del tennis.
C’è chi, in quel periodo, adorerà i miti americani costellati da vittorie e copertine. In un silenzioso vicolo del circuito, invece, camminando lentamente con fare assonnato, Miloslav Mecir, detto Gattone, mostrerà con astrazione il miglior rovescio a due mani della storia, prenotando un posto in prima fila tra gli uomini che meglio hanno saputo interpretare questo sport. Mecir non aveva un talento cristallino o una naturale predisposizioni per il tennis. Era però il migliore, in assoluto, nell’arte del gioco e dell’astuzia.
Mecir, e Mecir soltanto, è stato in grado di ingannare centinaia di giocatori e migliaia di tifosi.
Mecir, e Mecir soltanto, è stato il più grande non giocatore nella storia del tennis.
Irreplicabile e perfetto.

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