Il ritorno di Belinda

Belinda Bencic sin dagli anni più teneri è stata considerata da molti una predestinata, degna erede di Martina Hingis. Un infortunio le ha sbarrato la scalata; ma forse il 2018 sarà l'anno della consacrazione.

Quando il 5 luglio del 1997 Martina Hingis incise il proprio nome nell’albo d’oro di Wimbledon si celebrò un evento fuori dall’ordinario: una sedicenne, già n.1 del mondo, aveva trionfato nel torneo più prestigioso del pianeta. Ripensando a quel giorno, distante venti anni tondi, si è quasi assaliti dalla inquietante sensazione che quel 5 luglio un tocco di soprannaturale abbia sfiorato il razionalissimo quotidiano.

Il 5 luglio del 1997 Belinda Bencic non aveva ancora quattro mesi e il 6 luglio di sedici anni dopo sarebbe stata lei ad essere incoronata reginetta sui sacri campi del All England Lawn Tennis and Croquet Club, seppure tra le juniores. Tanto bastò affinché diversi magazine titolassero che Belinda Bencic era “la nuova Martina Hingis”. Alta un metro e 75 centimetri per un peso forma, stando alle tabelle WTA, di 63 kg; la Belinda dei giorni migliori – e vuoi per un motivo, vuoi per un altro, fino ad ora ce ne sono stati pochi – rispecchia i canoni della tennista dei giorni nostri: ben impostata a livello tecnico, dotata di un rovescio bimane che è una garanzia, di un diritto efficace in fase di chiusura, di un servizio sicuro, coriacea sotto il profilo mentale e tutto sommato piuttosto resistente sotto il profilo atletico, accademica nei pressi della rete, porzione di campo che cerca di calpestare il meno possibile. Belinda Bencic nasce a Flawil, un comune svizzero del Canton San Gallo, il 10 marzo del 1997.

Il cognome sottolinea le origini slovacche: il padre Ivan è infatti fuggito dal suo paese d’origine durante la primavera di Praga per stabilirsi in Svizzera. Alla tenera età di due anni e mezzo Belinda ha già in mano una racchetta e, accompagnata dal papà, colpisce le prime palline in un campo di fronte a casa. Passano una manciata d’anni e i genitori decidono di presentare il gioiello di famiglia al Tempio del tennis elvetico, ossia alla Scuola di Melanie Molitor,. Come in tutte le favole che si rispettino la signora Molitor, riconosce in Belinda le stigmate della futura campionessa, rivedendo in quella fragile ragazzina alcuni di quei segni scorti anni prima nella figlia: Martina Hingis. La genitrice dell’eletta per eccellenza mette i Bencic in guardia: nel luccicante, sadico ed illusorio mondo del tennis bisogna fare i passi giusti, bisogna affidarsi alle persone giuste che inculchino nel predestinato di turno la mentalità giusta ma, per quanto talento e determinazione siano ingredienti indispensabili per forgiare una campionessa, occorrono anche i dollari. I genitori di Belinda, che comunque poveri non sono, decidono di coinvolgere nel loro sogno anche un amico di famiglia, Marcel Niederer, ex giocatore professionista di heckey su ghiaccio, sport in cui aveva primeggiato il nonno paterno, punta di diamante del HC Slovan Bratislava. Mr. Niederer ha l’occhio lungo: di tennis non capisce un granché e nemmeno lo entusiasma più di tanto ma quella ragazzina, la facilità con cui le riesce tutto, lo infervora come quando rivede le partite con The great one, l’hockeista canadese Wayne Gretzky. «È più difficile possedere i numeri del fuoriclasse che non trovare qualcuno disposto ad investire in lui»; sostiene Niederer. E così, rasserenati da una certa sicurezza economica la famiglia Bencic va alla scoperta dell’America.

Una giovanissima Belinda insieme a Martina Hingis.
Una giovanissima Belinda insieme a Martina Hingis.

Belinda ha cinque anni quando viene accolta a braccia aperte da Nick Bollettieri nella sua Accademia di Bradenton, in Florida, ne ha sette quando, tornata in Svizzera, Melanie Molitor le offre di diventare la sua coach a tempo pieno. Un’opportunità che la famiglia Bencic non si lascia sfuggire. Belinda, papà Ivan, mamma Dana e il fratello Brian si trasferiscono a Wollerau per otto anni durante i quali non solo la Molitor addomestica a dovere Belinda, ma permette al padre di seguire le sessioni di allenamento e di maturare quell’esperienza che può fare di lui un coach. E così, mentre Marcel Niederer si trasforma da mecenate a manager a Belinda si accostano sempre nuovi sponsor, da Adidas a Yonex, da venditori di diamanti a ditte di imballaggio, finché nel 2010 rientra nelle mire della Octagon, una società di marketing tra le più note al mondo che inizia a gestirne i diritti sull’immagine. È il 2011 quando Melanie Molitor ritiene sia giunto il momento che la pupilla quattordicenne si affacci nel circuito dei tornei minori. Non raccoglie un granché: un quarto nel 10.000$ di Lenzerheide e una wild card per disputare le qualificazioni all’Open del Lussemburgo, dove sbatte subito contro Yulia Putintseva. Nel 2012 conosce le prime soddisfazioni grazie ai successi in due 10.000$, sempre sul cemento egiziano di Sharm El Sheikh, ed alla vittoria sulla n.243 del ranking Elena Bovina all’International di Brussels. A ottobre, in Lussemburgo, in molti si aspettano grandi cose nel match di primo turno che la vede opposta a Venus Williams, ma la svizzera racimola quattro games. Nel 2013 Belinda Bencic alterna tornei di primo e secondo piano al Circuito Junires. Da menzionare sono i quarti raggiunti al 50.000$ di Dothan, dove si prende la soddisfazione di battere la n.91 del mondo Coco Vandeweghe, le semifinali al 25.000$ di Hamamatsu, al 50.000$ di Indian Harbour Beach, dove ha la meglio su Shelby Rogers, e al 75.000 di Toyota dove regola Misaki Doi, nonché la finale disputata, seppure persa contro Zarina Diyas, al 25.000$ di Makinohara. La campagna nipponica la vede inoltre vittoriosa su Samantha Stosur al torneo International di Osaka, e su Daria Gavrilova al Premier di Tokyo; in entrambi gli eventi si sarebbe poi fermata agli ottavi. Nel circuito juniores invece invece si dimostra imbattibile: da Roehampot a Santa Croce, dal Bonfiglio, al Roland Garros per arrivare a Wimbledon. E via di paragoni con Martina Hingis. Tutti a voler vedere a tutti i costi un legame che vada oltre alle origini o a quella madre che ha unto la racchetta prima della figlia poi della rampolla Bencic. Un legame che, per quanto affascinante, è sin dagli albori risultato un po’ forzato.

Se si entra nel girone infernale dei numeri, della ricerca esasperata del baby prodigio, del record di precocità, Martina e Belinda avevano ben poco in comune: per quanto Belinda fosse giovanissima e straordinariamente promettente, quando Martina Hingis vinse il Roland Garros juniores aveva tredici anni, non sedici, età quella in cui avrebbe vinto l’Australian Open e Wimbledon (dei grandi), e diventare n.1 del mondo. Insomma, un’altra storia.

Bencic agli Us Open 2014
Bencic agli Us Open 2014

Sarebbe stato doveroso lasciarla crescere in pace, Belinda Bencic. Sarebbe stato un segno di fiducia e di rispetto nei confronti di quella ragazzina che affrontava le conferenze stampa con la perizia di una tennista consumata, che nella sua cordiale e indubbia spontaneità ha sempre detto la cosa giusta sorridendo sempre al momento giusto. Ma in un circuito affamato di nuove stelle e alla disperata ricerca di baby prodigio, così non è stato. Il 2014 inizia nel migliore dei modi in quanto supera le qualificazioni all’Australian Open senza perdere un set, per quindi piegare l’irriducibile Kimiko Date e poi nulla potere contro la futura campionessa dell’evento Li Na. Ancora più esaltante è il percorso al Premier di Charleston dove annienta Erakovic, Svitolina, Kirilenko e Errani – allora n.11 del mondo – fino ad arrendersi per 6-4 5-7 7-6(7) a Jana Cepelova. Nonostante una stagione sul rosso appena sufficiente, Belinda si presenta a Wimbledon da top 100 e lì conferma il proprio agio avendo ragione sulla specialista Magdalena Rybarikova e sulla qualificata Victoria Duval per poi avere la peggio contro Simona Halep. Se i tornei di preparazione all’US Open hanno il valore di banali comparsate, a New York Belinda Bencic si sbarazza di Wickmayer, Nara, Kerber e Jankovic. Ai quarti l’elvetica si incarta contro la cinese Shuai Peng, ma quella corsa, rincarata dalla prima finale WTA in carriera acciuffata in quel di Tianjin, dove comunque perde contro Alison Riske, le permettono di chiudere l’annata come n.33 del mondo.

I presagi di una rapida scalata vengono smentiti da un avvio di 2015 disastroso. Belinda perde al primo step a Sydney, all’Australian Open e ad Anversa. Vince il primo match a Dubai contro Karin Knapp, ma il giorno dopo Venus le lascia tre games. Per una giocatrice da considerarsi realisticamente una diciassettenne in crescita ma non una fuoriclasse, hanno un loro peso gli ottavi prima a Indian Wells poi a Miami, mentre fallimentari sono le uscite su terra rossa, dove in sei tornei vince tre partite. L’erba amica le risolleva il morale con due finali: la prima all’International di ’s-Hertogenbosch che obiettivamente non avrebbe dovuto perdere contro Camila Giorgi, la seconda vinta al Premier di Eastbourne su Agnieszka Radwanska; con la polacca che nuovamente la batterà in autunno all’ultimo atto del Premier di Tokyo. In mezzo ci sono gli ottavi a Wimbledon e all’US Open, ma soprattutto il secondo sigillo a livello WTA a Toronto al termine di una settimana capolavoro dove esprime un tennis dirompente, dimostrando una superlativa attitudine nel giocare al meglio i punti di peso, spazza via tutte top 25: Bouchard, Wozniacki, battuta per la quarta volta in sette mesi, Lisicki, Ivanovic, la regina del ranking Serena Williams e Simona Halep. La top 10 è nel mirino di Belinda Bencic, ma per varcarla dovrà attendere il febbraio 2016 forte dei punti guadagnati grazie alla semifinale di Sydney, gli ottavi dell’Australian Open e la sesta finale WTA raggiunta, seppure persa a San Pietroburgo contro Roberta Vinci.

Se già la schiena si era fatta sentire a Sydney, tra Miami, dove si ritira contro Kristyna Pliskova, e Charleston, dove viene demolita da Elena Vesnina, la situazione peggiora al punto da decidere di saltare l’intera parentesi sul rosso. A dispetto della semifinale in cui mette i piedi, a ’s-Hertogenbosch Belinda fatica le proverbiali sette camicie per lasciarsi alle spalle giocatrici oltre la 65esima posizione per infine alzare bandiera bianca contro Kiki Mladenovic. Al che, Belinda si inoltra in un tunnel carico di presagi a tinte fosche: l’elvetica vince quattro partite in undici tornei. Una tabella di marcia destinata a peggiorare ulteriormente quando ormai è tempo di tirare la saracinesca sull’aprile 2017. Nell’arco di quattordici mesi, dal giorno in cui diventò n. 7 del mondo, Belinda ha subito 16 sconfitte al primo turno su 23 tornei disputati. Ma a fare male, ancor più delle sconfitte è il polso sinistro. Rassegnata a doversi sottoporre a un delicato intervento chirurgico a cui consegue un lungo periodo di riabilitazione, Belinda Bencic è costretta a salutare il circuito per circa cinque mesi. Lontana dai viaggi, dal clamore, ma anche sempre più distanziata in classifica, dato che precipita fino al gradino n. 312, la ventenne elvetica non può evitare di riconsiderare tutto ciò che le è piovuto addosso in questi anni frenetici quanto esaltazioni eccessive, paragoni fuori luogo o aspettative snervanti; al punto da affermare «Io non credo nel talento. Quando ho iniziato a giocare a tennis, io ero tutto fuorché un talento. Non avevo il minimo tatto con la palla. Io ho dovuto imparare tutte queste sensazioni e penso sia possibile per chiunque. Volontà, perseveranza e passione e grazie a loro l’ho fatto» . Ed è dimostrando un’ammirevole determinazione e un indiscutibile amore per il tennis, che a fine settembre Belinda Bencic si ripresenta in campo in occasione del 100.000$ di San Pietroburgo. Lungo il cammino batte tutte giocatrici non comprese tra le prime 170 del ranking, ma le buone sensazioni percepite in terra russa la fanno optare per il 25.000$ a Clermont-Ferrand, dove si scioglie in semifinale contro la tutt’altro che irresistibile Bibiane Schoofs, ma le permette di riprendere dimestichezza con i match. I quarti accarezzati a Linz, dove vince due battaglie contro Kirsten Flipkens e Lara Arruabarrena prima di sgretolarsi al tie-break del terzo set con Mihaela Buzarnescu, sono l’ennesimo segnale che lascia ben sperare in previsione 2018.

Sono passati appena quattro anni da quando Belinda è stata accolta nel tennis che conta sentendosi definire “la nuova Martina Hingis”. No, non si sono avverate le cose che alcuni chiaroveggenti avevano previsto. Per quanto meno allettanti, le vicende franate sulla porta di Belinda hanno però presentato un peso ed un conto considerevole. Gioie, delusioni, sogni esauditi, fantasie tradite che comunque hanno contribuito a far cambiare Belinda Bencic nel profondo. Quattro anni fa veniva dato per scontato che il futuro sarebbe stato suo. Adesso le speranze in lei riposte sono più verosimili. Nessuno crede o pretende più di assistere a quel passaggio di testimone che non c’è stato e non ci sarà mai. Ora tutti si sono rassegnati al fatto che qualsiasi cosa accada, Belinda, sarà “semplicemente” Belinda Bencic; una giocatrice dignitosa, potenzialmente fortissima, ma anche intercambiabile con una ventina di colleghe più o meno giovani. Nulla a che vedere con la geniale Martina, con il suo tennis baciato dagli Dei. Perché Martina Hingis è un’utopia. Belinda Bencic invece è reale e ad attenderla è una carriera calata nella concretezza di un circuito in cui la salute è il perno su cui possono ruotare gli ingranaggi che compongono una possibile campionessa, dove non c’è posto per i miraggi, dove le cose accadono se le si fa accadere, in campo, con il sudore. Al massimo con un pizzico di fortuna. Ma mai con congetture azzardate.

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