Le battaglie di Billie Jean King

Nata Billie Jean Moffitt, cresciuta in una famiglia metodista, entra per dodici volte nell’albo d’oro degli Slam con il cognome del marito, King. Decisa in campo quanto nelle battaglie sostenute a favore dell’uguaglianza nella distribuzione dei montepremi, nella lotta contro l’AIDS e le discriminazioni.

Ci deve essere qualcosa che va oltre a una sincera stima reciproca per spingere una matita eccellente come quella di Charles Monroe Schultz a citare frequentemente una persona all’interno di un fumetto storico quale “Peanuts”. Se poi in uno strip, Piperita Patty arriva a far notare, a Marcie che «nessuno ti ha mai detto che quando ti arrabbi sembri proprio Billie Jean King?»; è davvero il caso di dire che, per quanto la tennista in questione possa essere stata leggendaria, la sua personalità è riuscita a superare i risultati sportivi.

Billie Jean Moffitt, è nata a Long Beach, il 22 novembre del 1943. Il contesto familiare in cui è cresciuta vedeva un padre vigile del fuoco ed una madre casalinga, fermamente tradizionalisti e metodisti convinti. Probabilmente non sarebbe più di tanto inesatto sostenere che il solo “svago” concesso ai figli dai signori Moffitt era quello di praticare uno sport. E così, se Randy diventerà un giocatore di baseball professionista e vestirà nell’arco di  dodici anni prima la divisa del “San Francisco Giants”, poi degli “Houston Astros” ed infine dei “oronto Blue Jays; i campi da tennis pubblici di Long Beach rappresenteranno il trampolino di lancio per Billie Jean.

Diplomatasi alla Polytechnic High School e diventata membro del Zayn Welfare Sorority, nel 1961 ha partecipato per la prima volta al torneo di Wimbledon aggiudicandosi il doppio femminile in coppia con Karen Hantze Susman. Tempo un anno e, sempre al All England Lawn Tennis and Croquet Club ha sconfitto la n.1 del ranking, l’australiana Margaret Court dopo aver rimontato da 2-5 nel terzo set. Per arrivare ad alzare al cielo il Venus Rosewater Dish deve però attendere tre anni, quasi  il destino avesse stabilito che nel momento in cui l’albo d’oro di Wimbledon l’avrebbe accolta non sarebbe stata come la signorina Moffitt, bensì Billie Jean King. L’anno prima, la statunitense era infatti diventata moglie di uno studente di giurisprudenza, tale Lawrence King.

Il gioco aggressivo, costantemente proiettato verso la rete, l’eccellente agilità, affiancati da una buona dose di classe, sono i pilastri su cui Billie Jean ha fatto leva per conquistare tra il 1966 ed il 1974, sei titoli a Wimbledon, quattro all’US Open, uno all’Australian Open e uno al Roland Garros. Complessivamente i tornei in singolare conquistati saranno 67 da professionista e 37 da amatore. In doppio i trionfi Slam si fermeranno addirittura a 27. Basandosi sulla classifica stilata dal London Daily Telegraph Billie Jean King è risultata essere la prima giocatrice al mondo dal 1966 al 1968 e, nel momento in cui ha visto la luce l’era Open, è stata numero uno anche nel 1972 e nel 1974.

Ritiratasi come singolarista nel 1983, al termine di una stagione che l’ha vista raggiungere la semifinale a Wimbledon, Billie Jean King ha giocato il suo ultimo match ufficiale al secondo turno dell’Australian Open quando Catherine Tanvier l’ha superata con il punteggio di 7-6 4-6 6-4. Billie Jean ha però continuato a disputare, seppure senza continuità, tornei di doppio fino al marzo del 1990 quando al secondo round del Virginia Slims, ormai quarantasettenne, insieme a Jennifer Capriati, perse contro Brenda Schultz-McCarthy e Andrea Temesvári.

A metà degli anni ’90 si è quindi buttata a capofitto nell’ennesima sfida ricoprendo la carica di capitana della nazionale statunitense di Fed Cup oltre che allenatrice della squadra Olimpica femminile. Dopo aver spinto come giocatrice, gli USA a 7 vittorie in Fed Cup, nel 1996, come capitana ha riportato il più prestigioso titolo a squadre in terra yankee. Risoluta e irremovibile nelle sue prese di posizione, nel 2002 nulla e nessuno è riuscito a smuoverla dalla decisione di allontanare Jennifer Capriati dalla squadra di Fed Cup. L’accusa mossa dalla King ai danni della Capriati era di aver violato la regola che vietava di allenarsi con il proprio coach in prossimità della competizione e, per quanto l’opinione pubblica si divise prima del confronto “USA vs. Germania”, la batosta subita da Monica Seles e Lisa Raymond contro le modeste Barbara Schett e Barbara Schartz, è stata indubbiamente determinante nel sollevare la King dall’incarico. Con il senno di poi è forse questa, l’unica di un’interminabile serie di battaglie, ingaggiata e questa volta persa da Billie Jean King.

Se già nel 1967 la King ha accusato la United States Tennis Association di attribuire alle giocatrici somme di denaro irrisorie; alla nascita dell’Era Open ha ripreso ben presto in mano l’ascia di guerra lanciando una campagna a favore di uguali vincite in denaro sia nei tornei maschili che femminili. Fatto sta che quando nel 1972 Billie Jean ha vinto l’US Open, ricevette 15.000$ in meno rispetto ad Ilie Nastsase e minacciò che, se l’anno successivo la vincita non fosse stata identica a quella maschile, lei non avrebbe giocato. E così, nel 1973 l’U.S. Open diventa il primo grande evento a offrire uguali vincite in denaro sia ai giocatori che alle giocatrici.

Un desiderio di uguaglianza che si è esplicato in tutto il suo clamore tramite il duello destinato a passare alla storia come la “La Battaglia Dei Sessi”. Agli occhi della King, Bobby Riggs aveva avuto l’insolenza di insinuare che il tennis femminile era così inferiore a quello maschile che anche un cinquantacinquenne avrebbe battuto la miglior tennista donna in circolazione. E così, se alcuni mesi prima Riggs sconfisse Margaret Court; il 20 settembre del 1973 all’Houstn Astrodome, davanti a 30.492 spettatori e 50 milioni di telespettatori collegati da trentasette nazioni; Billie Jean King mise a tacere Bobby Riggs battendolo 6-4 6-3 6-3.

Persuasa che le donne abbiano il diritto di poter abortire, la King non si è mai risparmiata nell’appoggiare tanto la lotta contro l’AIDS quanto ad osteggiare i più svariati tipi di discriminazioni verso le minoranze. Non a caso, “Philadelphia Freedom” di Elton John è un brano a lei dedicato. Una campionessa, una donna, un personaggio talmente ingombrante che quando Michael Jackson presentò al suo produttore, Quincy Jones, il demo di “Billie Jean”; il discografico gli propose di intitolarlo “Not My Lover” perché era convinto che la gente avrebbe pensato che il cantante avesse avuto una relazione con la tennista.

Michael Jackson però non ha demorso. Così come Billie Jean King non è mai retrocessa di un passo ogni qualvolta, all’orizzonte, si profilava una sfida; persuasa che la sua filosofia di affrontare lo sport e la vita sia l’unica che valga la pena di perseguire, dato che, come ha sempre affermato: «un campione ha paura di perdere. Tutti gli altri hanno paura di vincere».

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