Roberto Palpacelli, il più forte di tutti si racconta in un libro

Una piccola introduzione a Roberto Palpacelli, "il Palpa", che insieme a Federico Ferrero si racconta in un'autobiografia. Dall'incontro con Panatta alla dipendenza dalle droghe e dall'alcol che hanno rischiato di ucciderlo

“”Il Palpa” Il più forte di tutti”, è questo il titolo del nuovo libro autobiografico scritto a quattro mani da Federico Ferrero, autorevole voce di Eurosport e inconfondibile penna de “Il tennis italiano”. Ma con lui a raccontarsi non è né Roger Federer, né Novak Djokovic e nemmeno Rafael Nadal, perché Ferrero, quel libro che da oggi esce nelle librerie e negli store online, lo ha scritto con “Il Palpa”, il più forte di tutti, appunto. E’ proprio questo il titolo del libro che racconta “vita, match e miracoli del più grande talento mancato del tennis italiano”, la storia di Roberto Palpacelli, nato a Pescara nel 1970 e straordinario sin dai 15 anni con la racchetta in mano, con cui però non è riuscito, e sicuramente non ha voluto, scrivere una storia diversa da quella che racconta e a cui, col passare degli anni ha preferito l’alcol e le droghe. Ripercorrendo le tappe della sua vita arriviamo al presente, in cui il 48enne pescarese si racconta senza filtri per la prima volta, in un’autobiografia che nasconde tantissimi motivi per essere letta.

 

LA STORIA – A Pescara il maestro del circolo vicino casa gli fa fare un provino, ma il legame vero di Roberto Palpacelli con il tennis inizia quando il padre Giovanni porta con sé la famiglia a L’Aquila dopo essere stato trasferito dalla banca. Qui conosce e comincia ad allenarsi con Totò Bon e in poco tempo migliora, tanto che la famiglia, appartenente alla medio-borghesia, comincia alle volte a mandarlo a Roma ad allenarsi da Vittorio Magnelli, insieme ad altri come Stefano Pescoscolido e Vincenzo Santopadre, che di strada ne faranno poi più di lui, la cui unica statistica ufficiale sarà un punto Atp nel 1999. Già a L’Aquila si dimostra genio e sregolatezza, quando non si diverte comincia a tentare colpi impossibili e finisce per perdere partite già vinte. A quei tempi però, prima dell’alcol e dell’eroina, lui «non c’entra niente con quelli della sua età». Queste le parole di Paolo Bertolucci ad Adriano Panatta, allora direttore tecnico della Fit, quando nel 1985 lo vede per la prima volta su un campo da tennis a Riano, in provincia di Roma: «E’ mancino, la palla gli esce che è una meraviglia». Panatta viene ad osservarlo e vuole portarlo a Roma con gli altri, si rende subito conto del diamante grezzo che ha davanti. Lui però ai Parioli non vuole restarci, ha già cominciato a fumare e l’anno dopo, come dice tristemente nel libro, proverà anche l’eroina, e purtroppo gli piacerà, sarà la sua rovina. La Federazione ci riprova e lo chiama per la Coppa Europa a Sciacca, ma beccato ubriaco la sera dopo una “passatella” – giochetto alcolico delle sue parti – lo caccia. A soli 17 anni, pur col suo straordinario talento, si ritrova nella lista degli indesiderabili della Fit. La famiglia, trasferitasi oramai a Porto San Giorgio, si rende conto della sue dipendenze e la sua vita comincia a precipitare, tennisticamente e non solo: spende il denaro che guadagna nelle sue amate sfrenatezze e a 27 anni finisce in comunità. Lì arriva un’altra occasione, ma lui butta via i duemila euro datigli per i tornei satelliti in India e cede ancora alla tossicodipendenza e all’alcolismo. Rischierà anche la vita più volte, tanto da essere uno dei pochi ad esserci ancora di quelli che lui aveva conosciuto quando si era avvicinato a quel mondo oscuro.

Roberto Palpacelli rovescio
Roberto Palpacelli rovescio

 

GLI ANEDDOTI L’idea del libro è nata dopo che Ferrero stesso ha convinto “Palpa” a concedergli una intervista-racconto per il numero di aprile 2018 de “Il tennis italiano”.  A 48 anni Roberto Palpacelli si è per la prima volta raccontato senza censure, sfatando anche i miti creatisi su di lui: dalla presunta e leggendaria vittoria su Boris Becker, che in realtà ha solo 3 anni in più di lui e 17enne vinceva già Wimbledon, alla facilissima vittoria contro Volandri a 30 anni, e pure con una sigaretta in bocca. Palpa non ha mai sopportato le regole più di tanto, ma stare al centro dell’attenzione non è mai stato il suo obiettivo primario, figurarsi se poi si vengono a creare dei falsi miti su di lui. Non avrà forse battuto Becker, l’abruzzese, ma che avesse un dono incredibile questo è certo. E lo testimoniano le parole di Diego Nargiso e di Paolo Canè, che insistono sul fatto che fosse anche “pazzo”, ma che sicuramente da giovane era superiore ai suoi coetanei. Una facilità e una naturalezza impressionante nei colpi, con un servizio che per l’epoca era già un’arma letale. Uno dei racconti più interessanti di Palpacelli, almeno dal punto di vista atletico, sono i segreti imparati dagli allenamenti e le conversazioni con Carlo Vittori, ex coach della leggenda Pietro Mennea. Palpacelli, oltre ad avere potenza, era dotato infatti di un fisico asciutto, era leggero e veloce, e con Vittori aveva imparato al meglio come coprire il campo e come prendere la via della rete il più velocemente possibile. La sfortuna o la colpa di Roberto Palpacelli è stata quella di non aver mai voluto curare il proprio talento quando era giovane, di volersi sempre godere il momento, senza pensare al futuro. Un futuro a cui lui sembrava destino ad avvicinarsi prima, col suo tennis che s’avviava alla modernità, nel tentativo di essere tra i primi a colpire in open stance, quasi parallelo alla rete e col peso sulla gamba del lato da cui il colpo arriva. Aveva tutto o quasi, ma, come dice nella sua autobiografia, senza esserselo minimamente guadagnato. L’ultima dimostrazione, l’ultimo vero lampo di talento mancato, Palpacelli l’ha dato del 2012, contro un Antonio Albanesi allora 30enne e in formissima superato in rimonta nello spareggio per la promozione in A2 con il suo Tc Mosciano, che oggi ha lasciato, ma in cui viene ricordato con grandissimo orgoglio.

 

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IL PRESENTE DI PALPACELLI – Roberto Palpacelli vive ora a Pescara, dove trascorre una vita non facile dal punto di vista economico, ma supportato dall’amore della moglie e con un bambino da crescere. Nelle pagine estratte dal libro pubblicate dal Corriere dello Sport, specie nel prologo, emerge la visione di un uomo scampato a delle difficoltà, che oggi ne vive delle altre e ripensa agli errori del suo passato in maniera lucida, sapendo di non potersi considerare un modello. “Chi da giovane sceglie solo di divertirsi perché non capisce il motivo di doversi impegnare in faccende difficili e noiose, si condanna da adulto a non divertirsi mai. È vero.”, con queste righe Roberto Palpacelli dimostra di aver voltato pagina, dimostra di aver compreso la propria storia come solo un uomo pronto a scrivere un libro su di sé può fare. Non si tratta tanto di rimpiangere il proprio passato, quando ci si apre a cuore aperto, ma di capire che la propria storia può essere utile a chi legge con attenzione. Vive in un pizzico di malinconia l’uomo che comprende gli sbagli, ma riparte chi li accetta. Le sue scelte lo hanno portato a rischiare di non potersi più raccontare, ma ora vive con un bambino e la moglie che nell’intervista dello scorso anno definisce una grande donna, che ha avuto la forza di saperlo perdonare. Non sarà un campione, Roberto Palpacelli, anzi per la storia del tennis italiano rimarrà forse per sempre un talento mancato. Ma raccontandosi forse “il Palpa”, il più forte di tutti, perdona sé stesso e una persona che riesce a farlo ha sempre qualcosa da lasciare a chi legge.

 

 

 

 

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