Roland Garros: quando una coppa cambia la storia

Il mondo del tennis, per quanto cinico e votato all'immancabile binomio risultati-spettacolo, è costituito in tutta la sua grandezza da persone, vite, storie che si intrecciano indissolubilmente, andando ad insinuarsi nei cuori dei tanti appassionati che, lo vogliano o no, se li terranno dentro per sempre.

Tennis. Il mondo del tennis, per quanto cinico e votato all’immancabile binomio risultati-spettacolo, è costituito in tutta la sua grandezza da persone, vite, storie che si intrecciano indissolubilmente, andando ad insinuarsi nei cuori dei tanti appassionati che, lo vogliano o no, se li terranno dentro per sempre.

E’ già stato ricordato più e più volte, di quanto sponsor ed interessi economici possano far svolazzare da un punto A ad un punto B ogni singolo evento di ogni singola stagione. Questa è un’altra storia, stiamo parlando di Slam, e per spostare uno Slam da quei campi, così sacri da poter decidere cosa se ne andrà a far parte dei libri di storia, non basterebbero tutti i petrodollari di questo mondo.

Ogni settimana, per chi vive in aereo e fa la spola tra campi di allenamento e hotel impersonali, è un refrain, è programmazione e calibro: poi arrivi, se ci arrivi, in quei campi dorati di Wimbledon, Melbourne, New York o Parigi, e anche solo il corridoio che va ad aprirsi sul “centrale” diventa una prova di forza, contro ogni regola scritta o non scritta, per il proprio orgoglio e per il mondo che ha gli occhi puntati su di te.

Gli alberghi, ormai, sono pieni, prenotati da settimane, e la grande macchina Slam ha già iniziato a girare senza sosta; non ci resta, in attesa che qualcuno si prenda il suo posticino nella storia, che ripercorrere i momenti più importanti vissuti sul Philippe Chatrier, con le gesta di quei campioni che resteranno immortali grazie all’eco delle loro imprese.

2011: Quando l’Oriente si fermò a guardare

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Non c’era modo di prevedere quanto stava accadendo, come in quei film in cui ti auguri che, nonostante tutto, alla fine sarà il personaggio preferito ad avere la meglio. Francesca Schiavone, ad un anno esatto dalla vittoria nello Slam francese, era riuscita a ripercorrere la strada maestra culminante nella finale e, con tante speranze e l’Albo d’oro che parlava la sua lingua, credeva fermamente nella possibilità di ripetere quell’impresa, riuscitale contro Sam Stosur, che l’aveva lasciata tra le grandi del tennis mondiale. La terra rossa, casa di spagnoli e sudamericani, era sempre stata dolce anche per il tennis italico, da Pietrangeli a Panatta, e i confini con la lontana Asia sembravano troppo complicati da superare in quella calda giornata; la Cina, invece, sembrava essere presente con ogni suo singolo rappresentante quel giorno, e l’impreventivabile diventò presto realtà, con la cinese Na Li che vide il vessillo del suo paese stagliarsi alto sul centrale parigino, dopo una finale a due facce terminata, poi, al tie-break del secondo set, con il punteggio che andava a fotocopiare quello della finale della scorsa edizione. Prima cinese sul gradino più alto del podio in uno Slam, con 50 milioni di tifosi collegati e con il futuro che avrebbe aperto le porte a qualcosa di nuovo, con il tennis che diventava qualcosa di grande anche per chi non era mai stato “invitato” alla festa del circus.

1999: Abbracci e baci, ma soprattutto tante bordate

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Due persone, legate poi per la vita, si vanno a prendere qualcosa di grandioso, per motivi diversi, in modi diversi; eppure in quel momento André Agassi e Steffi Graf sono sembrati insieme, in un momento troppo perfetto per essere lasciato al caso o al racconto di una semplice cronaca sportiva. Steffi batte N.2 (Davenport), N.3 (Seles) e N.1 del mondo (Hingis) negli ultimi tre atti del torneo, e Martina, la giovane e talentuosa svizzera, non ci si crede quasi a come l’abbia battuta: rimonta da 6-4 2-0 con la ormai famosa protesta della Hingis che costa all’enfant prodige due punti, considerato il penalty point per il reclamo poco ortodosso, e chiude in tre set l’ultima partita del suo ultimo Slam vincente, il 22esimo. Carriera incredibile la sua, che forse non poteva terminare in un modo migliore. André ha avuto modo di vincere quello stesso torneo qualche anno prima, con una forma fisica decisamente migliore e con i favori del pronostico, mentre quella volta (spiegherà nel suo libro autobiografico “Open” come non pensasse minimamente di poter fare qualcosa da N. 141 del mondo, a 29 anni suonati) tutto sembrava perdersi nei lunghi corridoi di un sogno ad occhi aperti.

La finale contro Medvedev ce lo ricorda in lacrime, a guardare incredulo verso il suo angolo che non ci pensa neanche a trattenere la gioia di un Career Grand Slam che qualcuno o qualcosa sembravano aver impedito ingiustamente fino a quel momento. C’è solo lui dopo il grande Rod Laver, ad averli vinti tutti e quattro. A dir la verità ci sono André e Steffi, insieme, tutti e due in un solo posto per la storia. E a loro va benissimo così.

1990: Ricordate Monica, anche per ciò che sarebbe potuta essere

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Quel 1990 sembrava avere i connotati molto somiglianti a quelli di Steffi Graf, arrivata ormai alla 13esima finale Slam consecutiva ma, dall’altra parte della rete, si stagliava una giovane con gli occhi della tigre, dal nome Monica e dal talento cristallino. Se ad appena 16 anni arrivi in una finale del genere, contro una che non ha tempo da perdere con le ragazzine, ti conviene sapere cosa vuoi e come fare per ottenerlo: beh, per Monica tutto era chiaro, ed il suo tennis stordente si fece largo, sin dai primi punti ottenuti con delle risposte impressionanti, attraverso il primo e poi il secondo set. A 16 anni, oltre che per provarci, bisogna avere il coraggio per riuscirci, per fermare il tempo a quel momento e per scegliere di sfidare le più grandi senza sudditanza alcuna, con gli anni che passano che non potrebbero essere altro che preziosi alleati.

Gunther Parche, 1993, Amburgo. Il resto ha poco senso scriverlo.

1976: Panatta, all’inferno e ritorno

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Vi prego di scusarmi per un racconto che già è stato stampato su magliette e magliettine, ma di Adriano bisognava pur parlare, no!? Obiettivamente non è da tutti presentarsi a Roma, vincere dopo aver annullato 11 match point e poi fare proprio il torneo, anzi, forse potrebbe essere l’unico modo possibile per capire a cosa si può far fronte in un’occasione tanto importante, quando tanti fattori se ne vengono fuori tutti insieme per mettersi tra te ed il resto.

Già, anche perché al primo turno di quel RG Panatta ne deve annullare un altro di match point prima di lasciar svanire la paura, quella paura che aveva le sembianze di Pavel Hutka, sconfitto poi 12-10 all’ultimo set, all’ultimo respiro. Dopo venne Borg, e con lui tutta la motivazione possibile e immaginabile, oltre alla tattica meticolosa e ai colpi assestati nel miglior modo possibile, con la vittoria che ti apre tutte le porte di questo mondo. Dibbs in semifinale e Salomon in purgatorio. Della serie “non c’ero ma me l’hanno raccontato”, e me l’hanno raccontato piuttosto bene, o forse è stato bravo Adriano a farsi raccontare così come voleva lui.

1983: Se ti aspettano da sempre, non puoi provarci neanche a fare tardi

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Marcel Bernard, ultimo vincitore transalpino, ultimo profeta in patria, nella memoria di tutti rappresentava il dopoguerra, rappresentava un passato lontano che andava onorato nel presente, con un francese di nuovo padrone in casa propria. Dopo la fragorosa uscita di Jimmy Connors ai quarti, martoriato da Roger-Vasselin senior, c’è un ragazzo che inizia seriamente a pensare alla storia, al suo nome lassù in alto vicino a quello di Bernard: Yannick Noah aveva appena sconfitto Ivan Lendl, mica noccioline, e stava pian piano portando il suo gioco fantasioso, a prima vista quasi scriteriato, avanti a tutti i favori del pronostico che per lui non avevano neanche una buona parola. Quando Noah scende a rete tutti i presenti lo seguono, con il cuore così come con lo sguardo, e lo rendono quasi insuperabile, invincibile. L’altro finalista è lo stesso che l’anno precedente aveva alzato il trofeo, ma la sensazione era che la lotta fosse impari, di uno contro diciottomila, di Wilander contro la Francia tutta. Avanti veloce, c’è Yannick che abbraccia il padre e solleva, con un sorriso dolcissimo, quasi come un ragazzino davanti alla sua torta preferita, la coppa più bella, la coppa di tutti. Parigi non si fermava da un bel po’ di tempo, e tutto quel giorno è sembrato perfetto.

2010: Francescà, Francescà mon amour

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Non sono tante le imprese che possono vantare una tale carica istantanea, di quelle che un giorno prima sei un numero e qualche partita dopo diventi la luce negli occhi di così tante persone che quasi fa paura. Francesca “de Milàn” perde per strada il primo set, contro la Koulikova: mannaggia, partita tosta, e chissà se riuscirà a tirarla su. Eh si, Francescà ci riesce eccome, e di set persi non vorrà più sentirne parlare minimamente. Dalla quota di 300 a 1 si scende vertiginosamente, come se qualcuno cercasse di rimediare ad un errore, imprevedibile all’inizio del torneo, ma quasi letale da far perdere la faccia ai responsabili.

La Schiavone già non sente più ciò che le succede intorno e, tra volée e rovesci armoniosi, si prende per sé ogni centimetro di quel campo, prima di andarsi a prendere la coppa, appena 98 minuti dopo. La Leonessa si commuove ma sa di non essere sembrata mai così fiera e, con l’Italia in blocco che gioisce per lei, iniziare a definirla “simbolo” di una rinascita, per noi in questo bello sport, non è troppo, anzi.

2005: Prendetemi, se ci riuscite

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Diciannove primavere e già in bacheca ci sono i trofei di Montecarlo e Roma, due tornei mica da ridere. Magari potrebbe fare qualcosa di importante, ma addirittura vincere sembra quasi eccessivo. In quel momento Wilander, che aveva vinto al suo debutto i French Open, sembrava molto, troppo lontano, eppure Rafael Nadal era di un altro avviso. Lo spagnolo fa parte della storia più recente possibile, e forse ci accorgeremo solo tra qualche anno che quei successi, otto, in Francia resteranno impareggiabili per molto, moltissimo tempo, ad essere ottimisti pensando che qualcuno riuscirà ad avvicinarsi. Quel 2005 gli ha dato una nuova casa oltre alla calda Manacor, sua città natale, e gli ha consegnato all’unanimità il titolo di migliore interprete della terra rossa. Faremmo notte a raccontarle tutte. Quel 2005 ha semplicemente rappresentato la scintilla per la fiamma che sarebbe divampata negli anni successivi. In quel momento nasceva un semidio che, sarà pure arrivato dopo ai campioni del passato, ma ha recuperato alla grande il divario generazionale. Nadal sarà per sempre Nadal.

2009: Il cerchio si chiude, il mondo del tennis è casa tua Roger

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Ci voleva Nadal a sbarrargli la strada, e ci è voluto Robin Soderling per spalancargli le porte dell’Olimpo di questo sport. E’ stato lo svedese ad abbattere Nadal in quel 2009, unico giro a vuoto della macchina perfetta, parentesi in mezzo agli otto successi dello spagnolo. C’è chi parla di fortuna sfacciata, ma nascere nella stessa epoca di uno che a perdere in Francia proprio non ci riesce può essere considerata un vera e propria sfortuna, francamente. Il Maestro svizzero ha vinto tutto, salvo quel maledetto oro olimpico, ma il Career Grand Slam se lo merita tutto, ma con “quello” nei dintorni non se ne parlava neanche. La finale, di per sé non è stata la partita del secolo, ma quelle lacrime sull’ultimo errore dell’avversario sono difficili da descrivere, perché un distinto ragazzotto di Basilea che si va a prendere la candidatura a GOAT, con quel successo che per troppo tempo gli era sfuggito, diventa il finale che ormai quasi tutti ritenevano il più giusto. C’è Mirka, la moglie, sugli spalti che tenta di nascondere la gioia, mentre Roger non ci pensa neanche a trattenersi, a lasciarsi scappare quel momento, e negli occhi di Soderling si vede chiaramente, oltre ad un pizzico di rammarico, una rassegnazione che sembra però incoronare il campione, come se anche lui ci avesse scommesso un po’ su. Tutto sembra un grande, glorioso puzzle, ed in quel giorno tutti i pezzi si sono ricomposti alla perfezione, senza se e senza ma.

Tutto sembra più tranquillo adesso.

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