Goran Ivanisevic: “Quella del 2001 sarà ricordata come la finale più entusiasmante della storia di Wimbledon”

Il gigante croato ricorda la sua impresa sui verdi prati dello Slam londinese, 16 anni dopo il tentativo fallito del connazionale Marin Cilic.

Tra leggenda e realtà, la carriera di Goran Ivanisevic ha sempre avuto un quid di straordinario e, a tratti, contraddittorio. Il 9 luglio di 16 anni fa il croato si rendeva protagonista di una delle favole più belle della storia dello sport, diventando la prima wild card a conquistare i Championships.

Il campione croato si concede in un’interessante intervista ai microfoni di Vice Sports e traccia un bilancio della sua carriera, tra alti e bassi, culminata con la sorprendente vittoria di Wimbledon 2001. Il giovane Goran si mette subito in mostra agli Australian Open 1989 quando da n. 300 al mondo riesce a raggiungere inaspettatamente i quarti di finale issandosi a ridosso della top 100. “Avevo visto quei soldi solo in televisione. – esordisce Ivanisevic parlando del prize money riscosso – Volai a Belgrado per la Coppa Davis e temendo di perdere il prezioso bottino racimolato lo tenni con me in giacca, gelosamente custodito. Tornai a casa. ‘Ecco i soldi’, dissi a mio padre. Tolsi la giacca e andai a dormire”.

Ivanisevic prende coscienza delle proprie possibilità e sente di potersela giocare ad armi pari con i migliori del circuito. “Dopo Melbourne ho ricevuto una wild-card a Scottsdale, giocai i quarti di finale contro Ivan Lendl. Fino a tre settimane prima avevo avuto il suo poster in camera. Avevo appena vinto il primo set, giocai il resto della partita molto rilassato, consapevole di essere io il n. 120 e lui il n. 1. In quel momento mi sono reso conto di poter competere con i top. Avevo solo bisogno di un po’ di tempo”. Altro giocatore che, in qualche modo, ha segnato la carriera del talento croato è Boris Becker, l’istrionico tennista teutonico che fermò la corsa di Ivanisevic verso la sua prima finale a Wimbledon. “E’ senza dubbio uno dei miei giocatori preferiti. In quella strana semifinale del 1990 mi sciolsi dopo il primo set vinto, giocai in modo troppo superficiale. Sembravo quasi rilassato. Da lì mi sono accorto che l’erba sarebbe potuta essere il mio habitat e ho pensato: ‘Il mio servizio e il mio gioco a rete sono buoni, ho ottimi fondamentali, forse questo è il mio torneo’. Nei successivi dieci anni avrei potuto vincerlo cinque o sei volte, ma Dio non ha voluto”.

Wimbledon 2001: la gioia di Goran dopo il matchpoint
Wimbledon 2001: la gioia di Goran dopo il matchpoint

Dopo tre finali perse sull’erba di Church Road, problemi fisici vari, una serie di eliminazioni al primo turno e una psiche sempre più instabile Ivanisevic rinasce nel 2001, sfruttando al meglio l’occasione offertagli dagli organizzatori di Wimbledon, la wild card più geniale di sempre. Un invito che avrebbe marcato eternamente la storia del tennis. “Ho iniziato a sognare dal secondo turno, quando riuscii a eliminare Moya, una testa di serie. Sentivo che il mio servizio era tornato, qualcosa di incredibile stava per accadere. Se avessi detto: ‘Hey ragazzi, vincerò Wimbledon’, mi avrebbero chiuso in un manicomio o bloccato nella Torre di Londra. Ho giocato sempre meglio ogni partita, il mio livello saliva a dismisura. Ho battuto in successione Rusedski, Safin e Henman”.

Arriva così il giorno della finale più bella (forse) di sempre. Bella non tanto per il tasso tecnico, ma per l’incrocio tra due stili, due modi di essere opposti. L’eleganza di Pat Rafter, la follia di Goran Ivanisevic. Il Tempio del tennis “violato” da bandiere e maglie a scacchi da una parte e da canguri gialloverdi dall’altra. “Sarà ricordata come la finale di Wimbledon con l’atmosfera migliore, come una partita di calcio. Era come stare in uno di quegli stadi della Premier League. Mi sono svegliato alle 05:00 del mattino, non riuscivo a dormire, non vedevo l’ora di iniziare. E’ vero che non è stata una finale molto bella, il tennis non era spettacolare, ma dal lato emozionale è stata una delle più affascinanti.

Si affrontavano due grandi amici, certo, ma qualcuno doveva pur vincere. Patrick aveva vinto due volte gli US Open, ma questa doveva essere la mia prima volta, il mio momento”. Ivanisevic torna in Croazia con il jet privato, il clima che si respira all’aeroporto è da eroe di stato, viene accolto da circa 150mila persone in totale delirio. “Sto sognando e non voglio svegliarmi. Non mi importa più nulla se non vincerò più una partita”. Da quella magica impresa Goran cala vistosamente, il fisico non avrebbe retto a lungo e gli rimase ben poco da dimostrare. Nel 2004 decide di prendersi sei mesi di pausa, per poi tornare a giocare il suo ultimo Wimbledon. “Qui è dove tutto è cominciato e tutto, ahimè, è finito. Lasciai Church Road al terzo turno contro Hewitt, sul Centrale più bello che esista. Non avrebbe potuto esserci addio migliore. Sono ancora orgoglioso di quel terzo turno”.

Sebastiano De Caro

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