Ana Ivanovic, la mangiatrice di allenatori

Ana Ivanovic colpisce ancora. La 27enne serba, sempre più a suo agio nel ruolo di tagliatrice di teste, ha rimosso dal proprio incarico, dopo appena due mesi di praticantato, il tedesco Mats Merkel, per riaffidarsi alle cure tecniche di una sua vecchia conoscenza: l’allenatore britannico Nigel Sears.

La prima collaborazione tra i due risale agli inizi del 2011 quando Ana, alla completa deriva dopo due stagioni funeste, decise di delegare la propria rinascita all’ex coach di Daniela Hantuchova.

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Sears si era messo in luce proprio grazie ai risultati conseguiti con la tennista slovacca, portandola al raggiungimento del best ranking (numero 5 al mondo nella stagione 2003), oltre alla conquista del primo e unico Major della carriera (Indian Wells nel 2002).
Nel corso del triennio di cooperazione tra Ivanovic e Sears (2011-2014), la serba superò la perdurante asfissia tennistica, tendendosi però a ragguardevole distanza dai fasti di inizio carriera. L’unico successo ottenuto risale alla fine del 2011, quando Ana si aggiudicò il Master B di Bali, scadente parodia del Master in cui sono impegnate le prime otto giocatrici del mondo.
Pare dunque assai inopinata la scelta della Ivanovic, specie alla luce dei risultati ottenuti al fianco del successore di Sears: Nemanja Kontic.
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Sotto la guida del montenegrino Ana, nei primi sei mesi del 2014, riuscì a triplicare il bottino conseguito nei tre anni precedenti. Ivanovic si aggiudicò i tornei di Auckland, Monterrey e Birmingham. Nel corso del fruttuosissimo semestre si tolse anche la soddisfazione di vessare a più riprese la famiglia Williams, sconfiggendo prima Venus, per poi estromettere Serena dagli Austalian Open.
Al di là degli eloquenti risultati però, ciò che più impressionava della serba nel corso di quel segmento temporale, era la ritrovata fiducia nei propri mezzi, oltre ad un inusuale cinismo nel chiudere le partite.

Il contratto stipulato dai due all’inizio dell’anno predeva il termine della collaborazione a conclusione di Wimbledon. Senza alcuna ragione plausibile Ana decise di non rinnovare i termini del contratto, lasciandosi sfuggire uno dei pochi allenatori in grado di valorizzarne il potenziale, ponendo così fine alla prosperità tennistica vissuta nell’arco di quei sei mesi.

A raccogliere la pesante eredita di Kontic è stato Dejan Petrovic. L’allenatore serbo costruì la propria reputazione affiancando Novak Djokovic, quando il serbo aveva appena 16 anni. In meno di un anno riuscì a traghettare il predestinato belgradese dalla 300ima posizione fino all’ingresso nella top 100. Tra Petrovic ed Ivanovic però non è mai scattata la fantomatica scintilla tennistica. Dopo 10 mesi, caratterizzati da una progressiva ed inesorabile parabola involutiva, anche per il connazionale è giunto il benservito.

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Alla base di questa bulimia tennistica della serba vige un evidente errore di autovalutazione. Ricordiamo tutti il folgorante ingresso nel mondo professionistico di Ana, suggellato dalla conquista del Roland Garros e della prima posizione in classifica, il tutto ad appena 20 anni. Una tale precocità ha portato la Ivanovic a sovrastimare le proprie qualità, convincendola di essere pronta a mantenere la vetta a tempo indeterminato. In realtà le fortune della Ivanovic hanno beneficiato del concomitante periodo di appannamento da parte delle principali protagoniste del circuito WTA. Serena Williams stava lentamente uscendo dal primo periodo di crisi della carriera, mentre Kim Clijsters e Justine Henin si accomiatavavano dal tennis giocato.

Ana ha profittato mirabilmente di quell’interregno, non rendendosi conto però di quanto fosse illusorio. Da allora la serba si è caricata di pressioni e responsabilità, finendo col farsi schiacciare dall’assenza di risultati altisonanti. A nostro parere non è con la politica degli esoneri che Ana riuscirà a recuperare la brillantezza perduta. La serba dovrebbe finalmente fare i conti con se stessa, ridefinendo ambizioni e aspettative, munendosi di umiltà ed abnegazione.

Caroline Wozniacki si è prodotta in un percorso analogo, archiviando gli ingannevoli picchi giovanili, oltre alle successive macerie, per ricostruire un’impalcatura tennistica più solida e meno effimera.

Se Ana saprà mettere a frutto la lezione della danese potrà ancora togliersi delle soddisfazioni. Qualora preferisse perseverare nella schizofrenica successione di allenatori, l’unico traguardo cui potrà accedere ha un solo nome: oblio.

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