Il “vecchio” ATP Finals, è Murray l’uomo del 2016: “Ero stanco, ma per fortuna ho vinto in due set. Voglio vincere il più possibile, perché non ci sarò in eterno”

E' terminata con la sfida ormai divenuta "classica" tra Andy Murray e Novak Djokovic la stagione tennistica 2016, e il verdetto del campo ha rispettato l'andamento degli ultimi mesi: lo scozzese, vittorioso con una facilità del tutto inaspettata su un Djokovic scarico e irriconoscibile, è con merito il più forte tennista dell'anno. Ecco, dunque, le parole dei due protagonisti al termine del match.

Sembrava impensabile fino a qualche mese fa, ed eccoci a commentare, poche ore dopo il termine della sfida che si preannunciava epica e decisiva, il successo di Andy Murray su Novak Djokovic, nell’ultimo atto della stagione tennistica 2016. Si preannunciava battaglia, ed invece, di lotta, non se ne è neanche vista l’ombra: troppo superiore quest’oggi il livello dello scozzese, che “legittima”, come se ce ne fosse bisogno, la prima posizione nel ranking ATP, ciliegina sulla torta di un anno per lui semplicemente sensazionale. E lo fa nei migliori dei modi, sconfiggendo quel rivale, quasi quell’incubo che a lungo, insieme a Roger Federer e Rafael Nadal, ha rappresentato per lui un muro invalicabile, l’ultimo ostacolo prima della gloria; l’ultimo, ma spesso insuperabile. E invece, dopo una rincorsa lunga, faticosa, mentre tifosi e addetti ai lavori preannunciavano per Nole un dominio per i prossimi anni, Andy ha cominciato a rosicchiare punti e a vincere tornei su tornei, mentre apparivano le prime crepe nella corazza serba.

E tutta quella fatica aveva poi raggiunto il culmine con il successo a Parigi-Bercy, l’ennesimo trofeo conquistato in una seconda parte di stagione storica, che era valso anche la prima posizione nel ranking ATP: per la prima volta, Murray guardava tutti dall’alto. C’era ancora qualcosa, però, che mancava, un tassello piccolo ma fondamentale per completare il puzzle, un retrogusto amaro. Mancava, infatti, proprio questa partita, contro Novak Djokovic: pur avendolo spodestato dal trono, infatti, lo scozzese non lo aveva mai affrontato; e ciò che fosse giusto o meno, declassava la sua ascesa, lasciava un residuo di dubbio. Ogni critica è però stata spazzata via quest’oggi, quando ha davvero coronato l’impresa: sputando sangue, mantenendo ben saldi i nervi e resistendo ad un girone infernale, si è davvero guadagnato la corona del nostro sport.

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LA RESA DI DJOKOVIC – Mi perdoneranno i tifosi, ma resta un “però”, anche dopo questo trionfo, che davvero non può essere messo in discussione. Nonostante l’incredibile annata dello scozzese, che ora è diventato britannico, gli ultimi mesi della stagione passeranno alla storia anche come la personale Caporetto di Novak Djokovic. Come si suol dire, chi vince ha sempre ragione; e tutte le ragioni le ha indiscutibilmente Murray. Ma non è possibile, allo stesso tempo, ignorare il verticale crollo subito dal suo avversario, che, nel momento più alto della sua carriera, ha di fatto perso sé stesso, la propria identità: non vi era in campo, quest’oggi, Djokovic, ma la sua controfigura, un fantasma. Il giocatore solido, preciso, feroce e determinato è scomparso, per lasciare posto ad una versione sconcertante ai limiti dell’immaginabile. I colpi da fondo campo, prima asfissianti per i rivali, sono diventati praticamente in ogni occasione gratuiti; la brillantezza fisica si è trasformata in lentezza e poca incisività; ma soprattutto la cattiveria mentale, prerogativa della macchina perfetta che ha dominato le ultime stagioni e lasciato un segno indelebile nella storia del tennis, si è esaurita.

Molti, compreso il sottoscritto, si erano illusi dopo le prime apparizioni di queste ATP Finals, che avevano il sapore di rivalsa per lui, di riscatto al fotofinish. E vi erano ottime ragioni per crederci: nonostante le tante carenze del rivale, il dominio su Kei Nishikori in finale e, dall’altra parte, le tante ore spese in campo da Murray, sembravano concedergli più di qualche chance. Il campo, però, ha brutalmente infranto ogni aspettativa sun un possibile “ritorno” al Djokovic di una volta, in cui in troppi forse abbiamo creduto, ignorando cosa era successo fino al giorno prima. E’ bastata infatti una versione appena sufficiente di Andy per mettere a nudo tutte le lacune, le incertezze del suo tennis. Tra i due, ora, vi è un gap enorme, e le grandi motivazioni dello scozzese per continuare a vincere e riprendersi ciò che i tre Fab 3 gli hanno tolto a lungo, infatti, faranno probabilmente la differenza anche nel futuro prossimo; in attesa, ovviamente, che Djokovic trovi il guru giusto e, soprattutto, ritrovi sé stesso.

Britain's Andy Murray celebrates winning a point during the ATP World Tour Finals singles tennis match against Kei Nishikori of Japan at the O2 arena in London, Wednesday, Nov. 16, 2016. (AP Photo/Alastair Grant) ORG XMIT: XAG139

“ANDY HA MERITATO”– In conferenza stampa, non primadi avere distribuito fra i giornalisti pronti ad inondarlo di domande i cioccolatini, rigorosamente “vegan”, come d’abitudine negli ultimi anni, il serbo ha riconosciuto da sportivo qual è i grandi meriti del proprio rivale, esprimendo anche, però, l’inevitabile delusione per una prestazione pessima: “Non sono rimasto molto sorpreso dalla resistenza di Andy, lo avevo già detto ieri che mi aspettavo che non sarebbe stato stanco e che avrebbe giocato ad un alto livello. Ma io ho giocato molto male, ho commesso tanti errori gratuiti col rovescio e non ho mai avuto chance di vincere la partita. È stata una giornata no. Faccio i complimenti ad Andy per la sua forza mentale e per aver giocato sempre un colpo più in ogni punto. Ha senza dubbio meritato la vittoria.” Ha inciso, per lui, la mancanza di partite importanti sulle gambe? “Forse si. Nei momenti decisivi oggi mi è mancato il ritmo partita, negli ultimi due mesi non ho vissuto situazioni simili a quelle fronteggiate in questo match. Lui dal canto suo ha giocato tante partite specie negli ultimi due mesi e le ha vinte tutte. Nonostante abbia giocato partite molto lunghe, si sentiva a suo agio negli scambi e sapeva cosa fare.”

Sulla sua seconda parte di stagione, decisamente non esaltante per usare un eufemismo, “Djoker” ha detto: “Gli ultimi cinque-sei mesi non siano stati il massimo. Avrei potuto fare leggermente meglio in alcuni tornei. Comunque ho raggiunto la finale allo US Open, finale qui. Ma è normale avere una metà parte di stagione non al livello degli ultimi anni. Fino al Roland Garros ho vissuto tante emozioni, avevo bisogno di tempo per digerire quella vittoria e invece non ho avuto tempo. Sono dovuto tornare in campo qualche settimana dopo e ne ho risentito. Ora non vedo l’ora di avere un mese e mezzo senza tornei, questo è un lusso nel tennis maschile. Voglio solo riposare, poi penserò alla prossima stagione.”

E, infine, inevitabile la domanda sulla possibilità o meno che Boris Becker, l’allenatore che lo ha maggiormente aiutato insieme a Vajda ad entrare nell’Olimpo del tennis, Nole ha preferito glissare; dando, però, di fatto la risposta: “Ora non posso parlarne. Mi dispiace”.

Serbia's Novak Djokovic stretches to hit a shot during his second round match against France's Quentin Halys at the Australian Open tennis tournament at Melbourne Park, Australia, January 20, 2016. REUTERS/Thomas Peter

“GLI SLAM MI MOTIVANO PIU’ DEL NUMERO 1” – Inevitabilmente soddisfatto invece Andy Murray, che può finalmente godersi il trionfo. Lo scozzese ha sottolineato come questa non sia stata certo la sfida più esaltante tra quelle disputate contro Nole: “Non è stato uno dei migliori match da parte di Novak. Penso che abbiamo giocato partite migliori in precedenza quando ci siamo affrontati. La fine della partita è stata entusiasmante e drammatica, ma abbiamo commesso errori entrambi. Sono stato stato abbastanza solido quando ne avevo bisogno e ho giocato un buon match a livello tattico.” L’aspetto più sorprendente del successo odierno è stato sicuramente la facilità e la rapidità con cui, dopo due estenuanti maratone nei giorni precedenti, si è aggiudicato l’incontro: “Ero stanco. Ho dormito bene la scorsa sera ma stamattina non mi sentivo molto bene. Nell’allenamento Pre match ho colpito bene la palla ma mi sentivo un po’ pesante. Per fortuna nei primi sette game della partita non ci sono stati scambi lunghi, poi nel secondo set i punti si sono allungati ed è lì che ho iniziato a faticare con le gambe. Per fortuna ho vinto in due set.”

Andy ha speso bellissime parole per il proprio rivale, che, pur con tutti i naturali limiti che la competizione impone, è per lui davvero un amico: “Abbiamo rispetto l’uno per l’altro, e quando parliamo, non affrontiamo temi riguardanti le partite o la classifica, ma parliamo delle nostre famiglie, soprattutto quest’anno che sono diventato padre. Abbiamo parlato della difficoltà nel trovare il giusto equilibrio tra vita familiare e il lavoro. Le nostre famiglie e i nostri team hanno un bel rapporto tra di loro e per noi è uguale, nonostante ci giochiamo i tornei più importanti.”

E, infine, non può mancare un interessante parere su cosa sia non necessariamente più importante, ma più stimolante per lui tra vincerre un Major o raggiungere la vetta del ranking: “Sicuramente dopo tutto questo sforzo sono motivato a rimanere in questa posizione anche se sarà difficile. Ma sì, sono i Major che mi spingono a lavorare duramente e che mi morivano davvero. Quando andrò a Miami a dicembre per allenarmi, avrò in testa l’Australian Open, un torneo per cui devi lavorare di più perché si gioca al meglio dei cinque set. E’ questo che mi motiva.”. Dove vuole davvero arrivare, nelle prossime stagioni, e quanto lo spinge l’idea che sia cominciata, dopo i regni di campioni come Djokovic, Federer o Sampras, la sua era? “Non ci ho mai pensato. Ovviamente vorrei provare a vincere quanto più possibile perché non ci sarò per sempre, non giocherò a questo livello e così tante partite a metà tra i 30 e i 40 anni. Nei prossimi anni voglio vincere quanto più possibile, ma non sarà facile perché man mano che passano gli anni ci sono giovani giocatori che migliorano. Ma ci proverò”.

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