Boris Becker e la rinascita di Novak Djokovic

Le carriere dei grandi sportivi possono essere riassunte con immagini, fotogrammi dei momenti più significativi, nel bene e nel male. Così Novak Djokovic sdraiato sulla terra rossa del Philipp Chatrier, che tante delusioni gli aveva inflitto, è molto probabilmente l’immagine più bella della storia del serbo: rappresenta tutta la gioia per il coronamento di un sogno che assomigliava tanto ad un incubo, per un’impresa che lo spedisce di diritto tra i più grandi del nostro sport. Lo stesso vale per la foto di Nole con la Coppa dei Moschettieri in mano, che il campione serbo guardava con occhi quasi innamorati come se fosse un diamante prezioso.

Dietro a questi momenti gloriosi, dietro alle gesta di questi campioni sui campi di gioco, le uniche che noi vediamo, si celano tuttavia momenti di fatica, di rigoroso e a volte ossessivo allenamento, che li rendono poi ciò che sono. E’ così anche, e soprattutto, per Djokovic, famoso oltre che per il suo tennis brillante per la sua determinazione e disciplina, che spazia dalla dieta alla meditazione, fino appunto all’allenamento sul campo. E dietro ai successi, come a Novak piace affermare, non c’è solo il giocatore, ma c’è un team di preparatori atletici e allenatori; il tennis in fondo è sì uno sport individuale, ma conta molto anche la squadra. Nella squadra del numero 1 del mondo c’è un elemento, un asso nella manica che si è aggiunto circa due anni fa e ha dato al serbo un quid in più, che lo ha aiutato nella conquista di innumerevoli trofei e nella sua rinascita, dopo anni difficili. Stiamo parlando di Boris Becker.

Devo ammettere che, ormai, mi ritengo migliore come allenatore che come giocatore”. Sono queste le parole che l’ex campione tedesco ha usato davanti alla stampa, poco dopo il trionfo del suo pupillo nel torneo che più di tutti gli sfuggiva, sia da giocatore che da allenatore. Sono parole che hanno sorpreso un po’ tutti, parole audaci considerando la grandissima carriera di Becker; parole destinate a far discutere. E in fondo, questo sodalizio tra Djokovic e Boris è stato fin dall’inizio al centro di discussioni, tra chi, come il sottoscritto, esprimeva qualche dubbio, e chi invece preannunciava già una catastrofe. Ora, più di 730 giorni dopo, si può dire senza ombra di dubbio che Nole ci ha visto lungo scegliendo il tedesco, e che dietro alla rinascita del campione del Roland Garros c’è anche Boris Becker.

Nole-Becker AO

Proviamo a tornare indietro nel tempo, a Novembre 2013. Novak ha appena conquistato le ATP World Tour Finals, concludendo la parte finale della stagione alla grande. Il tutto, però, è solo una magra consolazione dopo le tante delusioni dell’anno: era passato poco tempo infatti da quando aveva ceduto la vetta del ranking ad un certo Rafael Nadal, forte della tripletta estiva Montreal-Cincinnati-Us Open, con due vittorie proprio ai danni del serbo. Dopo una stagione mostruosa nel 2011, Nole non era riuscito a replicare quel livello di tennis inarrivabile nei due anni successivi, racimolando sì successi importanti, ma anche sconfitte cocenti; tanto che sembrava, con un Nadal ritrovato ed un Murray campione di Wimbledon, che potesse perdere il ruolo di guida del circuito. Djokovic aveva bisogno di una scossa. E così, nel Gennaio 2014, arriva improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, l’annuncio della collaborazione con Becker.

Le reazioni sul momento sono le più svariate, ma tendono tutte, se non al pessimismo, quantomeno al dubbio. “Cosa potrà mai dare un maestro del serve and volley come Becker ad un attaccante da fondo campo come Djokovic?”, è la domanda che impazza sui social e sui giornali. Si scopre, poi, che i due erano già in contatto da qualche mese, e che qualche miglioramento, vista la striscia di successi di fine anno, c’è stato. I punti di ombra sulla vicenda in ogni caso restano. E i risultati dei primi mesi del 2014 non migliorano certo le cose. Emblematico il punto che condanna Novak alla sconfitta contro Stan Wawrinka, nei quarti di finale degli Australian Open: l’errore decisivo del serbo è infatti una volée in corridoio. Un errore dettato probabilmente dalla tensione; secondo molti, però, c’è già lo zampino di Boris, che “vuole snaturare il tennis di Djokovic”.

Nole insiste, e prova a spiegare le ragioni della sua scelta: “Non modificheremo il mio tennis, lui mi aiuterà a livello mentale”. I primi risultati cominciano ad arrivare, e quello più importante, che da una svolta nel rapporto, giunge nella cornice del foro Italico, a Roma. Con la vittoria ai danni di Nadal in finale, come lo stesso “Djoker” ha più volte dichiarato, ha dato per la prima volta la sensazione che la cosa funzionava. Poco dopo è la volta del Roland Garros, dove Becker non ha mai trionfato, e ancora i dubbi attanagliano la coppia: “Come potrà uno che non ha mai vinto a Parigi aiutare il serbo nell’impresa”. Anche il 2014 per Novak non è l’anno buono, e il ragazzo di Belgrado sbatte ancora una volta la testa contro Rafa, il re del rosso; difficile però imputare questa sconfitta al tedesco. I prati dell’All England Club, invece, hanno sempre sorriso a Boris, e questa volta, finalmente, il numero 1 centra il tanto agognato successo in uno Slam che mancava da ormai più di un anno. E, per tornare al discorso iniziale sulle immagini, quella più bella di Wimbledon 2014 è sicuramente l’abbraccio tra Nole e il suo coach. I due si guardano negli occhi, e lì, in quel momento, capiscono che avevano ragione. I detrattori sono zittiti.

 

Da questo momento il percorso è tutto in discesa. Escludendo lo swing nordamericano, dove Djokovic racimola tre sconfitte su tre tornei, a partire da Wimbledon comincia la marcia trionfale di Nole, che conquista tutti i tornei di fine anno e comincia il 2015 con il successo in Australia. Il serbo sembra sempre più sicuro; nei momenti decisivi delle finali, non tentenna più, non si fa sovrastare dalla personalità dell’avversario; al contrario, tira fuori il meglio quando conta. Il servizio è più incisivo. A rete, nonostante le solite incertezze con lo smash, sembra migliorato. Insomma, il repertorio, già incredibile, è sempre più sicuro. Vincere aiuta a vincere, si dice. E Novak ne è un’emblematica rappresentazione. Sorvolando sull’ennesima sconfitta in finale al Roland Garros, questa volta contro il sorprendente Wawrinka, le ultime due stagioni hanno consegnato a Nole cinque titoli dello Slam, con il culmine raggiunto proprio a Parigi.

Se guardiamo alle statistiche, notiamo che, da quando è iniziata la collaborazione con Becker, sono ben sei i trofei Major conquistati. In tre anni, Nole ha raddoppiato il suo bottino. Ma c’è un aspetto che dimostra, più di ogni altra cosa, che dietro a questa incredibile rinascita c’è un importante aiuto del tedesco: l’aura di invincibilità che Djoko ha in ogni incontro che gioca. Anche quando non gioca al meglio, e quest’anno è capitato in non poche occasioni, il serbo riesce a trarre il meglio nei momenti caldi, proprio come sanno fare i grandissimi campioni. Tre stagioni fa, non c’è dubbio, non era in grado di farlo.

Certo, non c’è solo “il fattore Becker” dietro a tutto ciò. E sarebbe folle anche ricondurre solo al tedesco la nuova straordinaria efficacia del tennis di Nole, che in fondo era già al vertice da qualche stagione. Ma forse, ripensando a tutto quello che abbiamo detto in precedenza, l’affermazione di Boris sembra meno avventata.  Ride bene chi ride ultimo. E a ridere per ultimi, questa volta, sono loro.

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