Cosa ho capito guardando la Hopman Cup

Il Federer che accumula vantaggio e fiducia diventa il più estasiante spettacolo a cui si possa assistere su un rettangolo di gioco. Incontrastato e incontrastabile. Nella Germania si salva solo la Kerber. Goffin è un soffice geometra sempre piacevole da osservare. La Hopman Cup vista sotto processo.

L’Hopman Cup è, da sempre, il torneo di esibizione più serio al quale si possa assistere lungo il corso della stagione. Non c’è da stupirsi, dunque, che Roger Federer abbia scelto di parteciparvi anche quest’anno, forte del titolo che, sullo stesso campo, puo’ già vantare in carriera. La vittoria è datata 2001, quando ancora Martina Hinghis rappresentava la punta di diamante della nazione rosso-crociata.
Voglia di testarsi, senza dubbio, dopo l’ultima partita giocata e persa lo scorso Novembre contro David Goffin nella semifinale delle ATP Finals.
Prima Sugita, poi Khachanov, Sock e Zverev. Quattro partite ed altrettante vittorie, ottenute, più che nel punteggio, nella sudditanza impartita agli avversari dal punto di vista tecnico, caratteriale e fisico. Questo Federer è splendido, capace come nessuno di plasmare giocate celestiali che illuminano la platea e mortificano i rivali incapaci di contrastare le superbe negromanzie del Vate. Nell’ultimo match, giocato contro Zverev, dopo un primo set perso più per meriti del tedesco che per demeriti propri, Roger cambia marcia, prende vantaggio e si trasforma in ciò che lui, più di tutto, ama: il demiurgo del tennis.
Il Federer che accumula vantaggio e fiducia diventa il più estasiante spettacolo a cui si possa assistere su un rettangolo di gioco. Incontrastato e incontrastabile. All’apparenza, in vista di un Australian Open sempre più imminente, nessuno sembra in grado di poterlo ostacolare.
In finale, a contendere il titolo alla Svizzera, la Germania.
Che dire, mai avrei potuto immaginare di scrivere, in questa vita, un articolo nel quale affermo di aver gradito più la vista di Angelique Kerber che di Alexander Zverev. Sì, la teutonica, dopo aver passato la stagione scorsa perdendo in tutti i continenti da qualsiasi interprete della racchetta che fosse almeno in grado di giocare con continuità due dritti ed un rovescio a scambio, è la rivelazione del torneo. Solida, decisa e positiva. Sempre orridamente schiacciata contro i teloni nel goffo tentativo di rimandare di là palle ormai perse, certo, ma questa è la tattica che ha l’ha portata, due anni fa, ad issarsi in cima al ranking conquistando due Slam, quindi, dal suo punto di vista, è giusto continuare a proporla.
Parlavo di Zverev, però. Ogni volta che mi convinco di quanto il tedesco abbia la stoffa per diventare il futuro dominatore del circuito, come in tanti affermano da tempo, lui è fenomenale a smentirmi. Di nuovo lampanti limiti caratteriali patiti nei confronti di Federer, contro il quale inspiegabilmente smette di giocare dopo il primo set, e di Kokkinakis, pupillo australiano che, sfortunatamente, ha passato in carriera più anni in infermeria che per il circuito.
Insomma, avrà ancora tempo, ma questa dovrà essere, per lui, la stagione della conferma.
Di Sock, guardando le altre squadre, non scopriamo nulla. Abbiamo invece la conferma, dopo quanto fatto vedere durante l’ultimo mese della scorsa stagione, di quanta delicatezza si celi dietro la mano dell’americano, nascosta da quel dritto così brutale giocato con un’apertura di polso irreplicabile.
È possibile che la Vandeweghe possa fare un buon torneo in Australia, nonostante nel branco di ottuse padellatrice, al quale lei appartiene, di giocatrici con lo stesso tennis ve ne siano di migliori. Chi, invece, un buon torneo probabilmente non lo farà mai più, è Genie Bouchard, ai quali molti sono ancora affezionati, se non per la sua gradevolezza estetica, per la stagione che nel 2014 la incorniciò futura stella, senza mai però, è giusto ricordarlo, vincere concretamente nulla. Dispiace per la canadese, che se adocchiata in giornata giusta (sono tre nell’arco di un anno, di media), è in grado di esprimere un tennis splendido e difficilissimo da interpretare.
Sempre belle parole da spendere su David Goffin, che fa il possibile venendo affossato da una compagna di squadra incredibilmente capace di vincere due partite con un livello di tennis non all’altezza di una competizione e soprattutto una nazione come il belgio.
Una divertente Hopman Cup, in fin dei conti, preludio di una stagione sulla quale, per ora, abbiamo un teorico ed unico favorito seguito da miriadi di punti di domanda.
Chi ben inizia, è a metà dell’opera, staremo a vedere.

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