Diario degli Australian Open: giorno 11

Il sinonimo di Nadal è perfezione, l'ipocrita folla si scaglia contro il sopravvalutato Tsitsipas. Quella tra Osaka e Kvitova sarà una delle migliori finali Slam degli ultimi anni.

-A me, ammiratore di Nadal (lo dichiaro in apertura di articolo prima di ricevere i soliti gratuiti improperi da parte delle tifoserie da stadio), dispiace che Tsitsipas abbia subito una simile sconfitta. Mi dispiace perché so, come già ho avuto modo di vedere, quanto astio gli si riverserà contro da parte di coloro i quali, domenica, lo assursero a novello Messia. Chi parlava di erede di Federer, passaggio di consegne, numero uno del mondo e plurivincitore Slam, oggi lo massacra senza alcuna possibilità d’appello. Sopravvalutato, presuntuoso, scarso. So bene che, ovviamente, il giovane greco mai si troverà a leggere simili discorsi, ma trovo comunque tutto ciò profondamente ingiusto. È chiaro, quello di stamattina altro non può essere definito se non un massacro. Banalmente, Nadal, così come Federer, gioca un tennis nettamente superiore a quello dell’ellenico, e se da standard ci si sarebbe aspettato un punteggio meno severo, tre set tirati o magari anche quattro, i soli sei game racimolati si spiegano facilmente contestualizzando la partita e l’avversario affrontato. Prima semifinale Slam della carriera, le attese di un pubblico che, avendo poco prima superato il Vate, pretende da te una partita alla pari. Lo spagnolo entra in campo e, come con Tiafoe, dimostra sin dai primi minuti chi sia il sovrano all’interno del rettangolo di gioco. Non deve essere facile competere con un atleta fisicamente, tatticamente e tecnicamente perfetto, tra i più grandi che la storia abbia mai conosciuto e che, dopo due game, ti lascia intendere la volontà di lasciarti a 0 in ogni set.  Il greco ha infatti paura e l’atteggiamento spavaldo mostrato fino a qualche giorno prima si tramuta in logica remissività. Nadal, dal canto suo, gioca di nuovo un match ai limiti dell’eccellenza, venendo a rappresentare la più completa e godibile versione di sé, espressa sul cemento, da quel lontano 2005 in cui si rese grande di fronte ai riflettori. Inutile fare paragoni inopportuni, ricordando come il maiorchino, a quasi ventuno anni, fosse già due volte campione al Roland Garros, e come Federer, a venti, superasse il mostro sacro di Sampras. Impegnarsi quotidianamente nella ricerca di un successore del duo svizzero-iberico, a cui si aggiunge ovviamente Djokovic, è uno spreco di tempo e di ingegno. Non esiste un discendente della nobile casata affine alla Triplice Intesa. Non è mai esistito un predecessore e così non esisterà un rampollo a loro equipollente. Nadal giunge alla sua quinta finale australiana con le sensazioni migliori. Tutto, nello schema del maiorchino, funziona alla perfezione. Per colui che domenica avrà il privilegio di affrontarlo, sarà impresa ardua mettere fine alla sua possente cavalcata. 

-Pliskova e Osaka imbastiscono una sfida alquanto gradevole. La damigella di Valacchia, capace di far perire, con il suo solo passaggio, ogni forma di vita alberghi nei dintorni, colpisce con suprema atarassia la palla livida, senza nemmeno un accenno di piegamento o di qualsivoglia scintilla all’interno degli occhi plumbei di desolazione. Gioca però un tennis ragionato e composto, cui l’Osaka è costretta a sopperire con grandi corse ed accelerazioni vincenti dall’alto tasso di difficoltà. La dolce Naomi, che durante il match scaglia virulente pallate con la forza di un sollevatore di pesi e poi fugge impaurita da un’ape che, affannata per il caldo, cerca ristoro all’interno del centrale, raggiunge così la seconda finale Slam consecutiva, dopo la storica vittoria avvenuta agli scorsi Us Open su Serena Williams. Le sue intervista post partita sono ineguagliabili, ma se negli Slam dovesse continuare con questa costanza di rendimento, anche i risultati potrebbero essere comparati a quelli di poche. 

-Petra Kvitova riesce in ciò che le avevo chiesto: dare alla Collins una lezione di tennis. La ceca è semplicemente più forte della boriosa americana, dall’atteggiamento così fastidiosamente autoreferenziale da nascondere la bella storia che si cela dietro al suo percorso. Petra e Naomi si contenderanno, oltre al titolo, anche la prima posizione mondiale. Considerato il percorso della Kvitova e le aspettative che si fondavano su di lei quando, otto anni fa, vinse il primo titolo a Wimbledon, la sua vittoria rappresenterebbe la giusta chiusura di un cerchio. Adoro entrambe. Per una volta, almeno, non saprò con chi schierarmi. 

P.s. Nel remoto caso in cui il candido Pouille dovesse estromettere Djokovic e raggiungere Nadal, la pubblicazione del diario di domani potrebbe subire alcune alterazioni. Si andrebbero infatti a sfidare, in una finale Slam, i due giocatori per i quali ho sempre parteggiato, e sarebbe dunque probabile che, colto da estasi fulminante, la mia folle mente producesse un articolo di genuflesse celebrazioni, invece del quotidiano appuntamento. So bene che, tutto ciò, difficilmente avverrà, ma avviso in anticipo per correttezza nei confronti dei miei amati lettori. 

Dal vostro cronista è tutto, a domani

9 comments
  1. Nicola Corradi l’appuntamento quotidiano con il tuo commento è di quelli da non perdere! Complimenti! Arguto, divertente, ironico, senza dimenticare la condivisione del tifo per gli stessi campioni….

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