Diario del Roland Garros: giorno 14

Simona spezza l’anatema, togliendosi finalmente la corona da regina delle perdenti per indossare quella da campionessa Slam.

-Finalmente il destino ha portato a compimento il suo sadico piano. Simona Halep, regina indiscussa delle perdenti illustri, riesce nella titanica impresa della vittoria di uno Slam. Lei che, per caratteristiche di gioco, di titoli similari ne dovrebbe avere almeno cinque, supera il muro di paure venutosi a formare nel corso di successi appena sfiorati ed obiettivi infrantisi sull’orlo sottile della codardia. Guardavo la finale quando, sul 6-3 2-0 in favore della Stephens, giocatrice dal talento eccelso, sento mormorare da uno spettatore ingenuo seduto accanto a me: “è fatta, la Halep perderà anche stavolta”. Lo ammonisco, ricordandogli l’alogicità del tennis femminile, spiegandogli come, il fatto che l’americana stesse fino a quel momento esprimendo un livello nettamente superiore a quello della rumena, non fosse un elemento sufficiente a rendere ovvio il risultato finale della sfida. Da quel momento, come se si fosse scagliato un potente anatema, Simona alza il ritmo trovando maggiore profondità, complice un progressivo abbassamento di potenza da parte di Sloane, colpita dalla maledizione che non le concede un attimo di tregua. È un assolo rumeno e, mentre quel tale sprofonda sul divano comprendendo le proprie colpe, mi rendo conto di quanto, forse, la trama decisa per questo incontro non sia in realtà un’arguta rivincita del destino onnisciente. Ricordo quando, lo scorso anno, Simona perse su questo campo una partita già vinta, concedendo alla boria di Jelena Ostapenko un titolo che l’avrebbe resa ebbra di lodi per un tempo illimitato. Quel giorno, Simona, fu avanti di un set ed ebbe la palla, nel secondo, per portarsi in vantaggio di due break. Da lì in poi, nel suo tennis, qualcosa si bloccò e fu la lettone, complici le smorte traiettorie dell’avversaria, ad imporre il proprio gioco. Venne rimandata, nuovamente, somigliando sempre più ad una donna incapace di superare il proprio più grande avversario. A gennaio Caroline Wozniacki vince il suo primo Slam dopo una carriera di rimpianti. Si parlava di lei come di un’incompiuta, numero uno del mondo ed incapace di toccare l’apice del successo come anche interpreti meno note e meritevoli (si pensi a Marion Bartoli, per citare un esempio iconico) erano state in grado di fare. Inizio a credere che nemmeno quella vittoria sia stata frutto del caso. Simona si trova sotto nel punteggio di un set ed un break, Sloane illumina la platea con un tennis fatto di geometrie perfette. Senza che nessuno se ne accorga, toccando appena il terreno di gioco, è la giocatrice più veloce del circuito. Anticipa la direzione dei colpi, si trova nel punto esatto in cui dovrà impattare una frazione di secondo prima. Appare così sempre ferma e con potenza disarmante, a volte invece con tagli intelligenti, costruisce un gioco fatto di molteplici soluzioni. Simona è più monotona, ma meno indolente. Tira tutto piuttosto forte e corre forsennatamente in difesa. Non sbaglia mai, però, e questo dato, nel tennis in gonnella, fa la differenza. L’incontro subisce un rapido cambio di direzione, con l’americana che inizia a sbagliare aggrovigliandosi su se stessa in un nodo asfissiante di negatività. I game scorrono veloci, punti su punti che le passano accanto. Un servizio vincente spezza l’incantesimo. Simona Halep vince il Roland Garros ed entra con entrambi i piedi nel tennis che conta. Non sarà l’ultimo successo, ma rimarrà forse quello tra tutti più sudato. 

Complimenti a lei, meritevole di tutto ciò che otterrà in carriera.

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