E Federer-Nadal sia. La preview della finale

Lo spagnolo e lo svizzero si affrontano in finale, da prime due teste di serie, nel trentottesimo capitolo della rivalità da copertina. Ci arrivano similmente, in quella strana simbiosi di risultati e livello di gioco come unico fattore che li renda indistinguibili.

Mi piace ricordare la situazione che si aveva, lo scorso anno, al torneo di Shanghai.
Murray vincitore su un Bautista Agut reo di aver eliminato, in semifinale, Novak Djokovic. Roger Federer non pervenuto, fermo ai box dal torneo di Wimbledon e Rafa Nadal, testa di serie numero quattro, estromesso all’esordio da Troicki in due set.
Dodici mesi dopo lo spagnolo e lo svizzero si affrontano in finale, da prime due teste di serie, nel trentottesimo capitolo della rivalità da copertina. Ci arrivano similmente, in quella strana simbiosi di risultati e livello di gioco come unico fattore che li renda indistinguibili. In Cina, domani, è prevista pioggia, potente ed incessante, quindi si giocherà, come ormai da giorni, coperti dal tetto.
Il Vate intoccabile ha dalla sua, quest’anno, un bilancio estremamente favorevole sul rivale torreggiante, avendo impartito, sul centrale di Indian Wells, una delle più grandi lezioni di tennis che l’impotente Nadal sia mai stato costretto a subire (andando a memoria, seconda solo alla finale di Doha 2016 con Djokovic, dove letteralmente non vide la palla).
Come da consuetudine, per Lui e Lui solo, si sprecano le efferate lodi (io, per primo, nel pezzo di ieri, ne ho scritte a profusione), sopraffino danzatore che secondo stampa e tifosi, per una logica ancora incompresa, gioca sempre bene.
Nel corso del torneo, però, pur con vittorie di prestigio dovute ad un tabellone impegnativo, non mi ha pienamente convinto.
Nervoso, a tratti impaziente. Ho avuto l’impressione, e lo dico correndo ai ripari sapendo di scatenare, nei sudditi, reazioni di violenta rabbia, che Roger non accettasse il fatto di non essere perennemente in grado di giocare i colpi da lui pensati, infastidito dalla sua mancanza di imperitura perfezione.
Dall’altra parte Nadal, sempre Nadal.
Lo spagnolo, quello del dopo Us Open, ha dimostrato come e perché la prima posizione mondiale sia indubbiamente meritata. Le numerose vittorie consecutive (16, ad oggi), si spiegano prestando attenzione ad un dettaglio, la spinta delle gambe e del corpo nell’esecuzione del rovescio, decisamente più propositivo ed indirizzato verso la rete. Il fondamentale che per tutta la carriera dello spagnolo è stato considerato carente, ora gli permette di ottenere successi su duro ed indoor.
A tutto ciò aggiungiamo un’impressionante tenuta fisica ed un’intelligente smistamento di servizi, cercando più spesso la botta centrale a discapito della conosciutissima curva mancina che ormai tutti si aspettano.
Considerando precedenti, storia e superficie di gioco, il favorito dovrebbe essere Federer.
Mi affido invece all’istinto, dando grande importanza ai dubbi che, vedendo giocare lo svizzero, si sono insinuati me.
Scelgo dunque Nadal, confidando, e lo dico con un briciolo di scaramanzia che la mia predisposizione maiorchina si porta in dote, di essere nuovamente smentito, così come accadde a Miami.
Trentottesimo capitolo, a domani.

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