La morale di un giornalista sportivo, l’esigenza di lettori ormai perduti

Lettera aperta ad un giornalista X e ad un lettore Y. Qual'è il prezzo da pagare per una buona dose di obiettività? Fin dove dobbiamo spingerci per tornare a pretendere?

Per abbracciare una schiera di lettori, eterogenea per definizione (e per fortuna!), si tenta sempre di coinvolgere l’interesse, o l’interessato, che più stuzzichi la loro curiosità o i loro gusti personali e, quando questa scelta vede come uniche risultanti il dissenso o l’assenso, si cerca a testa bassa, quasi nascondendosi sotto <<l’imposizione>> di un ordine costituito, di annuire e di fare il bene della testata, con la penna che non può esularsi dal riportare certe cose ed ometterne altre. Dato che questi inchini, o come volete chiamarli, in Italia si sono visti e rivisti, non fanno più neanche alzare la testa dal piatto durante un TG qualunque; eppure, almeno per quanto mi riguarda, che la situazione si limiti ad essere come ve l’ho appena descritta è solo una speranza, perché gli scenari potrebbero rivelarsi ben peggiori.

Senza scomodare troppo i <<cenni storici>>, basti sapere che l’Italia è la nazione con il più alto rapporto giornalista-cittadino in assoluto, con un giornalista ogni cinquecento persone, più o meno. Molti di loro a definirli giornalisti farebbe scappare solo un sorrisetto e niente più, ma per quanto riguarda gli altri, di eccellenze ce ne sono, e sono quelli che influenzano giorno dopo giorno una sempre più martoriata opinione pubblica, stanca e senza difese su tutti i fronti. La domanda è la seguente: quando un giornalista scrive certe cose o si mette a pontificare, solo per venire incontro a quello che richiede la gente, lo fa perché ha una poltrona “a orologeria” sotto di sé, o forse perché negli anni, con tutto questo “volemose bbene” dilagante, i tanti attacchi di disinformazione o di opinione pilotata hanno colto impreparato anche lui? Avete presente quando si racconta una piccola bugia, ce la teniamo buona per un po’, finché alla fine, un po’ per speranza ed un po’ per difesa, tendiamo quasi a prenderla per realtà?

Nella storia ce ne sono stati, di bravi e di lacchè, ma non è facile distinguere gli uni dagli altri, anche se non è poi così difficile capire le motivazioni che li spingono a fare come fanno, visti anche i tempi che corrono.

Sono dell’idea che, nonostante tutto, sia difficile rinnegare chi ti ha fatto provare certe sensazioni, sportivamente parlando, così come è quasi impossibile provare qualcosa difendendo i propri colori nazionali. Quanti juventini possono aver odiato David Trezeguet, uno degli idoli dei tifosi bianconeri, al momento del goal nell’extra-time di Italia-Francia agli Europei del 2000? Quanti milanisti si sono rattristati quando Francesco Toldo, pezzo di storia interista, ha parato l’impossibile nella semifinale dello stesso torneo contro l’Olanda? Perdonatemi la digressione calcistica, ma come vedete sono due facce della stessa medaglia; l’orgoglio nazionale ed i sentimenti profondi che ti legando ad un grande sportivo. Equiparato al tennis? Fognini su Murray ed un probabile Federer su un qualsiasi atleta azzurro nella semifinale di Davis che ci aspetta.

Nessuno intende certo minare le fondamenta del tifo “da nazionale” in occasione di certe manifestazioni, ma ciò che viene a mancare, a mio avviso, è l’oggettività quando si torna a parlare di tornei ATP o WTA, quando ognuno gioca per se e quando il gioco espresso non dovrebbe essere mascherato dalla nazionalità, in un senso o nell’altro. Se un appassionato non ama il gioco di un Fognini, di una Errani, così come di un Ferrer o di una Petrova (i primi che mi vengono in mente, giuro!) non può essere messo alla gogna, così come non deve essere ostracizzato e successivamente forzato a trovarsi d’accordo con la massa anche solo per discutere di tennis; figuriamoci se poi ti obbligano a diventare una di quelle <<démivierges>>, per dirla alla Prevost, con la coscienza pulita e la reputazione sempre meno immacolata.

Se qualsiasi baretto potrebbe vedere questa discussione animarsi sempre di più per ore ed ore, i nostri siti di informazione si rifiutano, o neanche prendono in considerazione, di trattare l’argomento che, per quanto possa sembrarlo, non dovrebbe assolutamente essere tabù.

Mi piacerebbe che ci si mettesse un po’ di più in gioco, da tutti i punti di vista ed a partire fin dalle cattedre più alte, per stimolare il lettore e per portarlo a vivere emozioni avverse con il benestare di chi ti mette sotto il naso ogni giorno news sempre fresche di giornata.

Non voglio neanche pensare che queste questioni non passino per la testa a chi dovrebbe stimolare il dibattito e perpetrare il valore del pluralismo, anche perché vorrebbe dire essere in un vicolo senza uscita; vorrei invece che fossero gli “spettatori paganti” a richiedere tali spunti ed a non accontentarsi semplicemente di un compitino già fatto, milioni e milioni di volte. Anche perché, visto ciò a cui assistiamo ormai da anni per effetto dei media, la nostra intelligenza ed il nostro spirito critico dovrebbero reclamare giustizia, reclamando a gran voce una visione non standardizzata, badate bene, ma competente e accorata di chi dovrebbe tornare a sudarsi quella benedetta poltrona.

 Obiettività, questa sconosciuta.

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