Let down and hanging around

Luci, colori e qualche riflessione per Flushing Meadows Park

Come ogni anno accade sta per salutarci un’altra estate, e con lei terminerà la stagione Slam con il suo ultimo atto, vale a dire il monumentale US Open di scena a New York City. A chi non ha mai avuto l’occasione di assistere ad un simile evento, forse risulterà difficile calarsi nel mood di tale evento, anche perché ci si immagina un luogo affollato di turisti, di appassionati e di personale immersi nella frenesia che solo certe manifestazioni possono rendere godibile.
Beh, io ho provato ad affrontare quei colori e quelle sensazioni, Let Down dei Radiohead nelle cuffie (che “abbandonato e vagante”, come dice la canzone, mi sono sentito davvero), e devo dire che se sei capace di guardare e di ascoltare, tutto va al suo posto. Un fiume in piena, migliaia di realtà che si intrecciano e tutto ciò di cui hai bisogno a portata di mano. Oltre a consigliarvi personalmente di vivere tale esperienza, tenterò di darvi qualche informazione in più per comprendere ed apprezzare questo torneo newyorkese, sempre lasciando il compito, ad un livello più approfondito, a testimonianze decisamente più esaustive.
 Il torneo nasce ufficialmente, come Open, nel 1968, quando la ITF riunisce dilettanti e professionisti affinché potessero tutti disputare i tornei oggi definiti Slam. Fino al ’74, il torneo si svolse presso West Side Tennis Club di Forest Hills e veniva disputato su erba, mentre, dal ’75 al ’77, si sarebbe svolto su di una superficie di colore verde che aveva una consistenza molto simile alla attuale terra battuta. Dal 1978, gli US Open diventano l’evento che tutti noi conosciamo; ci si sposta a Flushing Meadows Park, sul cemento: da lì il mondo vedrà salire alla ribalta giocatori come Jimmy Connors, Ivan Lendl e John McEnroe, passando dalle 5 finali perse dallo stesso Lendl, dalle 4 perse da Borg, fino ad arrivare al pokerissimo di Federer.
Dall’altra parte della barricata, per quanto riguarda il circuito WTA, hanno avuto le loro gioie alcune tra le più grandi tenniste nella storia, quali Chris Evert, Martina Navratilova e Steffi Graf, e passando al tennis contemporaneo, numerosi furono i successi delle sorelle Williams e del duo belga Kim Clijsters e Justine Henin-Hardenne, tutte con almeno tre successi all’attivo.
 La struttura che ospita lo Slam americano è mastodontica e concentra in più di 5 km quadrati e 45 campi da gioco tutta la verve americana per lo spettacolo, annesso alle forme di intrattenimento più disparate; musica a tutto volume, cibi da ogni parte del mondo, spettacoli dentro e fuori dal campo, con costante afflusso di varie personalità pubbliche che accorrono per passione del tennis oppure, sempre più spesso, solo per dovere di partecipazione così come di occasione di ottenere qualche scatto o qualche inquadratura in più che, si sa, non fa mai male.
Riuscire ad inquadrare un evento di questa portata non è cosa da poco, sopratutto per ciò che riguarda il gioco del tennis, dove finisce la componente turistico-spettacolare; inutile tentare di inquadrare i giocatori che alzeranno al cielo le varie coppe, dagli Juniores ai tabelloni principali di singolare e doppio. Per il momento proviamo a sentirci un po’ più vicini a quel piccolo pianeta che ospiterà i maggiori esponenti del tennis (e tanta, tanta gente!) per le prossime settimane, così da far caso a cosa debba provare una qualsiasi “pedina” dello sconfinato main draw ad ogni punto, ad ogni applauso ed a ogni momento di nervosismo.
Come voi posso considerarmi un tifoso ed un appassionato ancor prima di uno che racconta qualcosa, ma alla fine mi sento di dirvi che, se mi guardo intorno quando sono vicino ad un campo da tennis, vedo molte cose che mi fanno immaginare qualche metro dentro a quel campo, e mi sembra già di capirne qualcosa di più, di riuscire ad assorbire ogni piccola particella di questo folle e straordinario sport. Così tanto che alla fine, qualche volta, non faccio più caso a chi trionfa, ma sono già felice di leggere i volti di chi se n’è andato, nel momento il cui quell’esperienza è giunta al termine, vuoi per sfortuna, vuoi per colpa di un avversario troppo forte.
In questo universo fatto di stelline, meteore e davvero poche supernove, c’è tanto di più oltre ad uno scambio o ad un gesto di stizza, e prima ci se ne renderà conto e si riuscirà ad apprezzare tale magia, prima abbandoneremo il nostro ruolo da saggi divanisti per diventare sportivi, seppure dal fiato corto, ma con la cultura sportiva che manca ad arrivare ad apprezzare quanto di buono ci offrono questi magnifici ragazzi ogni settimana. E ricordatevi di non darlo mai per scontato.

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