Lode incondizionata alla scuola francese

In quella contemporaneità che molti definiscono omogenea, plumbea e stazionaria, gli interpreti della scuola francese continuano a rappresentare una rarissima perla di anacronismo, prodigandosi in un gioco che, nessun altro Stato al mondo, è in grado di insegnare ai propri tesserati.

Altro che Federer contro Nadal.
Nel panorama attuale, l’apoteosi di qualità tennistica si verifica quando, lo scontro individuale, vede di fronte due francesi. Nel caso specifico odierno, che ha visto svolgersi la finale del torneo di Montpellier, i transalpini in questione rispondevano al nome di Richard Gasquet e Lucas Pouille.
Sfida sublime tra i più estasianti cigni bianchi del circuito, membri fedelissimi di una dinastia di giocatori tanto splendidi quanto perdenti, capaci, come nessun altro, di giocate magistrali.
Richard incanta con un rovescio che è meraviglia, pura epifania di perfezione, trovando angoli acutissimi che, dopo quattro o cinque colpi, si concludono con lungolinea celeri che schioccano dalla racchetta e fendono l’aria sibilando.
Lucas, il candido, interpreta un tennis di difficoltà immane, cercando con costanza il disperato anticipo possibile solo grazie alle sconfinate qualità che il suo braccio racchiude.
Movimenti fluidi, di una naturalezza disarmante, che poi, nel concreto, si traducono in accelerazioni dalla pesantezza incontrastabile che toccano il suolo e ti oltrepassano.
I due percuotono la palla, sfidandosi prima sulla diagonale sinistra, dalla quale ovviamente il più esperto Gasquet esce vincitore, per poi cambiare ideologia ed affrontarsi con dritti antitetici. Uno, quello di Richard, lavorato e carico di top-spin, spia di un’insicurezza su quel fondamentale che trova la sua più lampante dimostrazione nella ricerca esasperata di angoli che riescano a compensare la poca velocità di palla. L’altro, ammaliante, colpo genuino che esce dal piatto corde urlando, picchiato con una tale forza da rendere vano qualsiasi recupero.
A condire il tutto, tocchi di velluto che accarezzano la pelle di pubblico e giudici di linea, geniali invenzioni plasmate da ambo i lati con una facilità ed una sicurezza tale da far irretire i poveri colleghi che, sintonizzati, assistono alla sfida, riflettendo come tali prodezze, dalla loro mano, non usciranno mai.
I due si affrontano a tutto campo, senza distinzioni di zona, abbandonando la pressante tattica che, molto spesso, viene ad essere il fattore determinante per la vittoria di una partita, giocando semplicemente come in una realtà ideale tutti dovrebbero fare.
Conquista il punto chi esegue il colpo migliore.
In quella contemporaneità che molti definiscono omogenea, plumbea e stazionaria, gli interpreti della scuola francese continuano a rappresentare una rarissima perla di anacronismo, prodigandosi in un gioco che, nessun altro Stato al mondo, è in grado di insegnare ai propri tesserati.
C’è varietà, nella mentalità transalpina, che si pone in netto contrasto con quella americana devota all’indottrinamento dei propri giocatori.
In Francia trovi il bombardiere servizio-dritto (Tsonga), il giocatore serve&volley (Mahut), l’istrionico (Monfils), il regolarista (Simon), il talentuoso (Pouille), il fenomeno (Gasquet).
In Francia non esiste una scuola di pensiero che impone ai tecnici di insegnare uno stile di gioco predefinito perché vincente.
In Francia, come isola felice in un continente, l’Europa, che ormai da un ventennio rappresenta nel tennis la più grande potenza a livello mondiale, è l’unico luogo in cui, almeno apparentemente, ogni aspirante professionista possa sentirsi libero di giocare nella maniera in cui meglio crede, trovando un ambiente aperto all’interno del quale ogni stile, o personale invenzione, è accettata, supportata poi da un livello tecnico che, a livello globale, non ha eguali.
Facile è infatti trovare paesi maestri nell’insegnamento di un fondamentale. Penso al servizio in Croazia, al dritto negli Stati Uniti, al rovescio nei paesi dell’est Europa quali Serbia, Slovacchia e Russia, alla difesa in Spagna o in Italia.
Nessuno, però, è in grado di impartire ai propri tennisti un’istruzione tecnica a tutto tondo come la Francia.
In una finale di metà Febbraio, mese che storicamente ha il solo compito di traslare il gioco dall’Australia all’America, una partita a Montpellier risveglia finissimi sistri francesi, che, suonati da Gasquet e Pouille, compongono una melodia delicata e sinuosa.
Lode incondizionata alla plastica bellezza di un Paese scrigno di candidi tesori.
E vive la France!

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