Zverev NowGen: il domani è già oggi

Dopo Monaco, Sasha raddoppia e conquista a Roma il primo 1000 della sua carriera. Elina Svitolina cala il poker e si conferma leader della Race to Singapore.

Non è mai facile accontentare tutti. E non ci è riuscito nemmeno Alexander Zverev, nuovo re di Roma e più giovane vincitore di un 1000 dell’ultimo decennio. Pur venendo da una striscia eccellente nel triangolo Monaco-Madrid-Roma, con due titoli e una sola sconfitta (per mano di Pablo Cuevas in Spagna), e pur avendo appena compiuto 20 anni, al tedesco si concede di simboleggiare quasi alla perfezione (il quasi verrà eliminato mettendo qualche chilo di muscoli in più) il tennista moderno con la riserva però rappresentata dal suo modo di giocare, intriso di solidità e potenza, senza fronzoli e con poche concessioni allo spettacolo.

La sua appartenenza ormai già obsoleta alla tanto pubblicizzata NextGen, di cui sarebbe il leader indiscusso non fosse già entrato nel mondo dei grandi dalla porta principale, lo marchia inevitabilmente con le stimmate del predestinato nel contesto generale di invecchiamento in cui versa il tennis. Gli ultimi tentativi – più o meno convinti – di rottamazione erano abortiti per le cause più diverse (Dimitrov bello e impossibile, Raonic solo servizio e dritto, Kyrgios maledetto e disinteressato) e il desiderio barra necessità di ricambio hanno bisogno di essere alimentati, in mancanza d’altro anche di illusioni.

Ma forse “Sasha o raddoppia” (lui ha raddoppiato, dopo Monaco) non è la solita bufala che d’improvviso si metterà a tirare mozzarelle e si perderà nei pascoli dell’oblio dopo aver raggiunto la vetta della montagna. Innanzitutto perché la vetta è ancora assai lontana, lassù dove il freddo si fa sentire e bisogna essere attrezzati, coprirsi, rendersi impermeabili alle intemperie. Che arriveranno, oh se arriveranno! Tuttavia, la leva tennistica del ’97 sembra aver partorito l’uomo del futuro, pronto già oggi ad entrare tra i primi 10 e con la maturità necessaria per restarci.

Dobbiamo dunque essere grati al torneo romano per aver consacrato una nuova stella e pensare che ancora una volta l’Italia, come accadde nel 2001 quando Federer inaugurò i suoi anni vincendo l’indoor di Milano, abbia battezzato un numero 1? Beh, forse la settimana abbondante di tennis al Foro Italico qualche dubbio l’ha lasciato. Perché, a fronte di una sola conferma (anzi due, l’altra è la perdurante crisi di Murray), sono state forse troppe le smentite. Fognini che disputa, a suo dire, una delle tre partite più belle della carriera e il giorno dopo viene travolto da Zverev; Nadal che sembrava imbattibile sulla terra e, ancorché stanco, perde nettamente con il suo erede Thiem a sua volta annichilito dal miglior Djokovic degli ultimi dieci mesi a sua volta ricondotto alla dura realtà da Zverev. Se tre indizi fanno una prova, le (pseudo) sorprese del Foro Italico ci lasciano in eredità un’edizione degli Internazionali d’Italia che potrebbe aver cambiato tutto per non cambiare niente.

Tra una settimana inizierà il Roland Garros e, sempre che non commettiamo l’errore di attenderci risposte assolute e incontrovertibili dallo slam parigino, sarà un primo importante momento di verifica. Nadal giocherà per andare ben oltre la leggenda, Federer non giocherà, Djokovic chiuderà il suo anno sabbatico e sembra intenzionato a ripartire; per il ragazzino tedesco già fatto uomo non sarà una passeggiata. Ma in fondo nessuno glielo chiede.

A Roma, nel frattempo, si è giocato anche il torneo femminile, questo invece del tutto fedele alla linea inaugurata dalla WTA ormai da un paio di stagioni. Una linea, quella dell’imprevedibilità e del continuo ricambio di protagoniste, assolutamente involontaria ma che, fin qui, è piaciuta meno della nuova versione del sito ufficiale della stessa associazione delle giocatrici. Il che è tutto dire.

Gli appassionati hanno bisogno di punti fermi in cui riconoscersi e questi li possono dare solo i campioni, verso i quali spesso l’amore e l’odio sono dettati dalla loro riconoscibilità che a sua volta è autoalimentata dai successi. Quando invece, come sta succedendo adesso, sotto ogni trofeo alzato c’è un volto nuovo si genera il caos e lo smarrimento. Tutto ciò, in realtà, non dovrebbe succedere con Elina Svitolina, che nel 2017 ha vinto più tornei (4) e partite (31) di chiunque altra, è la leader della Race to Singapore – ovvero la classifica che tiene conto solo dei risultati ottenuti dall’inizio dell’anno – e ha fatto il suo ingresso trionfale anche nel ranking, assestandosi al n°6.

Dunque, possiamo stare tranquilli? Per niente. Fin qui, infatti, l’ucraina aveva conquistato solo tornei di rango inferiore rispetto a quello romano e, anzi, nei grandi appuntamenti (Slam e Premier Mandatory o Five) si era contraddistinta per la sua incapacità di ben figurare. A Roma invece, aiutata in parte da un paio di circostanze fortuite e fortunate, Elina ha smentito se stessa e vissuto quella settimana da regina che, in regime di anarchia, non si nega a nessuno.

Un tie-break finito 13-11 con la Cornet al debutto, un doppio 6-0 dopo aver perso il primo set con la qualificata Barthel, la lezione di terra rossa impartita alla Pliskova nei quarti, il ritiro della Muguruza in semifinale e la caviglia malmessa della Halep in finale hanno consacrato la Svitolina che, le va riconosciuto, di suo ci ha messo la volontà di voler emergere dalle retrovie e guadagnarsi un posto al sole. In questo momento, e per chissà quanto tempo ancora, alle ragazze non possiamo chiedere la luna, sottoforma di spettacolo e varietà nell’interpretazione del tennis. Nel 95% dei casi lo spartito è sempre lo stesso: aggressione in risposta alla seconda (talvolta anche alla prima), palleggi da fondo campo con la ricerca della profondità e discese a rete solo quando vi si è costretti o per “benedire” lo scambio con schiaffi al volo. E se volete vedere ancora qualche colpo vintage spostatevi sui campi secondari e cercate di Martina Hingis. In coppia con chiunque, la leggenda svizzera continua a vincere, divertire e divertirsi. Tutto il resto, spesso, è noia.

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