Fabio Fognini e quel sogno slam che sembra irraggiungibile

Altro capitombolo slam per Fabio Fognini, che segna non solo la sua uscita dagli US Open, ma quella di tutti gli italiani presenti in tabellone. Dalle dichiarazioni emerge che nemmeno lui si aspettava una prestazione così sottotono da parte sua. Il sogno slam viene rimandato a data da destinarsi e la delusione è tanta; ma questo è Fognini e bisogna accettarlo.

Che non avrebbe vinto gli US Open era risaputo, ma che avrebbe gettato la spugna così presto, dopo appena il secondo turno, confortato tra l’altro da un tabellone non impossibile e dal recente titolo vinto sul cemento di Los Cabos, non era pronosticabile. E invece il Fabio nazionale ha dimostrato ancora una volta che quando il gioco si fa duro, lui non riesce a trovare la dimensione per giocare. Stavolta sembrava l’occasione buona per agguantare un possibile ottavo di finale contro, probabilmente, Roger Federer, ma il tennista taggiasco, che al primo turno con l’americano Mmoh era parso motivato e in uno stato di forma adeguato per affrontare la lunga cavalcata che poteva catapultarlo nella seconda settimana dello slam newyorkese, ieri ha dato vita ad una prova fiacca e priva di uno schema tattico adeguato per portare a casa il match. Che l’avversario fosse il modesto Millman, ventinovenne australiano numero 55 del ranking, poco importa, perché il Fognini visto ieri avrebbe perso con chiunque, perfino con un quarta categoria, tanto era immobile e privo di reattività nel primo set. E lui stesso lo ha confermato. 5 giochi subiti in un amen, uno dopo l’altro, ed errori a dismisura (74) che solo per un’oretta sono stati spazzati via da un buon secondo set, dove la ritrovata profondità dei colpi e la velocità di palla hanno permesso all’azzurro di allungare una partita che, comunque, non è riuscito a vincere. Troppo pochi i vincenti (30), di fronte ad un numero così alto di unforced, per non parlare della bassa percentuale di punti ottenuti con la seconda (appena il 36%). In conferenza stampa il ligure non ha accampato scuse, ammettendo tutte le sue responsabilità:

Una partita pessima, c’è poco da dire. Lui solido, io molto falloso. Non mi ha dato fastidio il caldo, oggi si stava meglio dei giorni scorsi; ma se sbagli così tanto è giusto perdere, non c’è bisogno di un esperto di tennis per capirlo. Non ci sono scuse o alibi, ho giocato malissimo ed è giusto che abbia vinto il mio avversario“.

E dire che il cammino slam di Fognini, quest’anno, era iniziato abbastanza bene: battuto da un ottimo Thomas Berdych agli ottavi degli Australian Open, miglior risultato a Melbourne della carriera, sconfitto solo al quinto set da Marin Cilic al Roland Garros e fuori al terzo turno di Wimbledon per mano di Jiri Vesely. Quest’ultimo certamente non un risultato di spicco, ma nemmeno troppo inaspettato se si considera lo scarso feeling di Fabio coi campi in erba di qualsiasi nazione. Ma i tre tornei vinti in questa stagione, San Paolo, Bastad e Los Cabos, soprattutto l’ATP messicano nel quale ha estromesso in finale Juan Martin del Potro, avevano fatto presagire che la possibilità di arrivare lontano, nell’ultimo major stagionale, non fosse una chimera ma una realtà oggettiva. Ma oramai si è capito, e bisogna accettarlo, che con Fognini non si possono stilare programmi a lunga scadenza perché, qualsiasi sia il corredo di risultati che si porta sulle spalle, l’azzurro può vincere come perdere, può brillare come restare fermo, può lottare come arrendersi alla prima difficoltà e può resistere come lanciare la spugna dopo appena un’ora di gioco. Su di lui si è detto di tutto e di più, si è provato a trovare una ragione assoluta al perché di questi continui alti bassi e si è cercato di scovare cosa ci sia dietro ogni nuova sconfitta subita o provocata dall’asso ligure, ma la verità è che tutto (forse) sta dietro al suo carattere e al suo approccio al tennis. Per Fabio vincere non è una questione di vita o di morte: se riesce bene, altrimenti arrivederci alla prossima. L’azzurro soffre, tra l’altro, di condizionamenti attitudinali che sono dovuti in parte alla fragilità caratteriale, mascherata spesso da un’aggressività di facciata, e dalla consapevolezza di avere dei limiti tecnici in alcuni fondamentali, come la prima di servizio e il dritto, che lo rendono insicuro e nervoso. Fognini è un grandissimo giocatore che però difetta di quella propensione allo stakanovismo che, invece, hanno caratterizzato le carriere di tennisti come Ferrer (per esempio) o proprio Berdych. In più, ora, se si aggiungono gli anni anagrafici, che non sono più pochissimi, e il fatto che l’esigua esperienza maturata nell’affrontare match pesanti nel circuito maggiore, dal punto di vista psicologico, non gli hanno permesso di provare a superarsi, di cercare di sfaldare quel muro di difficoltà che differenzia un ottimo giocatore da un campione e ancor di più da un fenomeno, il cerchio si chiude. In alcuni match epici Fabio ha raggiunto questa completezza, ma poi è tornato ad essere lui, ovvero quel ragazzo che può ma non sempre riesce. Un altro problema col quale il tennista azzurro convive sono le aspettative che il pubblico di casa riversa su lui, aspettative che talvolta si tramutano in ossessioni dovute al fatto che il tennis italiano, non certamente un’officina che produce decine e decine di giocatori l’anno, cerca da tempo un supercampione e lui sembrava essere il diamante grezzo che avrebbe dato forma a questa speranza che si coltiva dai tempi del duo Panatta-Barazzutti. Ma esiste anche una verità innegabile, ovvero che Fabio Fognini un campione lo è e lo sarà sempre in base alle sue possibilità, che non sono quelle di un certo Nadal, per intenderci, ma che comunque gli consentiranno di non essere un nome qualsiasi all’interno degli almanacchi del tennis che verrà. E quando si ritirerà, nonostante tutto, si sentirà la sua mancanza, soprattutto in Davis.

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0 comments
    1. Scusa se mi permetto,e’ vero bisogna accettarlo…sicuramente caratterialmente ha dei limiti….ma piantiamola che deve dare l esempio ai giovani…l esempio prima di tutto lo danno i genitori….e poi nn mi sembra che il tuo modo di esprimere un pensiero sia molto educativo…..anche questa e’ educazione….

    2. Esempio negativo sei tu con questo commento … l’educazione la danno i genitori , non i tennisti in tv . E poi finiamola con questo luogo comune , se sei capace di fare tu quello che fa lui allora fallo , ma non credo , la differenza è che a zappare la terra siamo buoni tutti , ad essere n13 del mondo e chiudere 12 stagioni in top 100 mondiale lo fanno in pochi. Svegliati !

    3. Decimo della race,8 titoli atp, 300 vittorie e rotte nel circuito, quarti slam varie semifinali mille,devo dire altro? Ah si 13 del mondo,stabile nella top 20 da 3/4 anni
      Sono scandalizzato…

  1. Con le offese nn si arriva da nessuna parte…con le critiche costruttive magari qualcosa di buono potrebbe uscire….e poi si parla di esempio…le offese nn mi sembrano un buon esempio da chiunque arrivino….

    1. Mark si, chi crede che possa vincere gli slam lo sopravvaluta. Dovrebbe aver vinto anche un 500, ma la sostanza non cambia, il fatto che sia il miglior italiano degli ultimi 30 anni non vuol dire che possa diventare il migliore al mondo……

  2. Un giorno feci una domanda a Palmieri e lui mi disse la stessa cosa Fognini è così bisogna accettare e io gli risposi accettare ma quando mai è ora che si guarda allo specchio e inizi a fare l’adulto

  3. Ma cosa cazzo dite oh ! Non scherziamo , il problema siete voi , quando vince accennate un ‘bravo’ e finisce lì , poi quando perde solo articoli su di lui , sul perché abbia perso , la grande delusione ecc… nessuno parla di Cecchinato , per esempio , che non vince una partita dal Roland Garros . Però siete tutti fenomeni a massacrare Fabio , come se vi dia fastidio parlare di cecchinato o altri italiani . Basta , siete ridicoli

    1. L’articolo non denigra Fognini e quando ha vinto Bastad e Los Cabos gli abbiamo dedicato pezzi a non finire. Berrettini idem, Cecchinato ugualmente; il punto è che in questo slam si pensava che almeno agli ottavi sarebbe arrivato e invece non è stato così.

    2. Ci vuole coraggio per lamentarsi di un italiano che forse dopo 35 anni è decimo (10 ragazzi) nella race con quasi 2000 punti ma questa è la social Italia,per fortuna (si spera) non quella vera

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