Vincere e salutare, la filosofia del campione.

Nico Rosberg, trentatreenne pilota tedesco di formula uno, domenica 27 novembre si è laureato campione del mondo per la prima volta in carriera. Cinque giorni dopo ha annunciato il ritiro, affermando di aver realizzato il suo sogno di bambino e quindi di volersi godere la famiglia.

La filosofia del pilota tedesco, ritirarsi da vincente piuttosto che rimettersi in gioco con il rischio di non aver più nulla da dare, è stata seguita in passato da diversi campioni, numerosi anche nel mondo del tennis.

I primi furono Pete Sampras e Bjorn borg, i quali appesero al racchetta al chiodo in giovane età, rispettivamente a 29 e 26 anni. L’americano aveva già in bacheca 14 tornei dello Slam, su 64 vinti, lo svedese 11 titoli Major su 63 totali. Un bottino niente male, ideale biglietto d’addio.

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Diverso è stato invece il caso di Marion Bartoli che dopo aver vinto soprendentemente il titolo a Wimbledon nel 2013, decise di mettere fine all’attività agonistica a soli 29 anni, in un contesto che apparve un po’ come “prendo il bottino e scappo”.

La nostra Flavia Pennetta, invece, pare avesse già deciso di congedarsi dal tennis giocato, a 33 anni suonati, con un fisico logorato dagli infortuni e la voglia di mettere su famiglia. La conquista del titolo degli Us Open ha reso poi piu’ dolce e trionfale il suo addio, la ciliegina sulla torta di una carriera straordinaria.

Come per Flavia e Rosberg, la voglia di dedicarsi al calore famigliare ha toccato anche il centauro australiano Casey Stoner, uscito dalle scene dopo la vittoria moto mondiale.

La voglia di “immortalità” sportiva è ciò che probabilmente spinse a lasciare il ring il grande pugile Rocky Marciano, congedatosi da imbattuto dopo 49 incontri, a soli 33 anni.

Ma se negli sport singoli può essere normale la scelta di ritirarsi da vincenti, meno può esserlo negli sport di squadra, dove il supporto del team può rendere più longeva la carriera di un’atleta. Eppure anche nel calcio abbiamo un caso di ritiro precoce, quello del fuoriclasse francese Michel Platin, che appese la racchetta al chiodo a soli 32 anni, dopo aver vinto tutto ciò che c’era da vincere tra nazionale, squadra di club e titoli personali (2 scudetti, 1 Coppa Italia, 1 Coppa dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, 1 Supercoppa Europea, 1 Coppa delle Coppe, 1 Campionato Europeo e 3 Palloni d’oro).

Dietro la scelta di “Le Roy” ci fu forse la sconvolgente notte Heysel, la finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool che portò alla morte di 39 tifosi bianconeri e che pare abbia segnato nell’animo il campione transalpino.

Per motivi differenti sono sempre più numerosi gli atleti che decidono di dire addio quando sono ancora sulla cresta dell’onda.

E’ questa, forse, la vera filosofia del campione?

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