Agassi, o dell’educazione

Nel libro “Open”, edito da Einaudi qui in Italia, André Agassi racconta la sua vita, la sua favola per certi versi. E come in tutte le favole c’è una fase di grande tristezza, di dolore, di sofferenza.
Questi sentimenti sono raccolti tutti attorno al complesso rapporto che il campione statunitense ha intessuto con suo padre Emanoul Aghasi. Si, Aghasi, perché il buon Mike assunse questo nome e naturalizzò in Agassi il suo originario cognome iraniano, dopo aver chiuso la sua carriera di pugile.

Adriano Panatta raccontava di aver conosciuto a Las Vegas il piccolo André, all’epoca un bambino che però “tirava certe bordate di dritto da far paura”, raccontò il nostro campione durante una telecronoca pomeridiana da Roma in compagnia del “bisteccone” Galeazzi. E Adriano sottolineava proprio la determinazione con cui quel bambino tirava la palla, mettendoci dentro cattiveria e volontà assolutamente singolari. Quei colpi, raccontò Agassi in “Open”, erano frutto di allenamenti sfiancanti e devastanti, che lo costringevano a colpire almeno 1000 palle al giorno, sparate dalla macchina “sparapalle”, vero “gollum” della sua educazione.

Già, l’educazione. Oggi Agassi insieme a sua moglie Steffi Graf dirige una scuola tennis, manco a dirlo. Proprio lo sport che da bambino e dopo, anche da numero uno al mondo, ha quasi detestato a causa dell’educazione impostagli da suo padre, deciso a farlo diventare il miglior giocatore del mondo, in combutta con l’altro mentore del giocatore americano, Nick Bollettieri. Oggi André afferma che il suo modo di approcciare ai suoi giovani allievi è molto diverso da quello che ha dovuto subire lui: punta con decisione a guardare al lato umano, a formare un carattere prima di un giocatore, lasciando emergere le richieste e i desideri di ogni giocatore che frequenta la sua accademia. Sembra proprio che Agassi abbia fatto tesoro della sua educazione, fruttuosa, comunque, perché lo ha portato in vetta al suo sport, consentendogli addirittura di fare il carreer grand slam. E così sembra che il vero ispiratore dell’André Agassi allenatore sia il filosofo francese Jean Jacques Rousseau, quando ne “L’Emilio, o dell’educazione”, parlava delle tre regole auree della pedagogia, tutte centrate sull’umanità dell’allievo, sulla formazione della sua coscienza (per il filosofo francese prima di tutto civile).

Agassi come Voltaire dunque. Non lo avremmo mai detto quando calcava i centrali di mezzo mondo in pantaloncini di jeans, scarpe fosforescenti e parrucche improbabili. Ma si cambia, ed è il bello della vita.

Alberto Maiale

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