Ha iniziato a giocare all’età in cui molti smettono. E all’età in cui molti si rassegnano a trascorrere le giornate davanti alla tv, lui ancora corre a destra e sinistra sui campi rossi del Tennis club Chiugiana, un circolo alla periferia di Perugia. Armando Arcelli, fresco novantenne, è un ciclista da sempre, lo è tuttora, “anche se l’anno scorso un’auto mi ha tamponato e mi sono fatto male, adesso, a dirla tutta, ho pure una certa paura”, a sessanta anni, neo pensionato, ha iniziato a colpire con il suo mancinaccio e per tre decenni non ha più smesso.
Sul registro delle prenotazioni il suo “Arm” compare due volte alla settimana, due ore a “botta”. Un tempo erano state anche tre alla settimana le prenotazioni, ma questo cambia poco. Armando è stato festeggiato dal suo circolo, una festa a sorpresa a conclusione di un torneo sociale organizzato per avere il pretesto di ritrovarsi insieme. Certo, il nome “Novanta e non sentirli” avrebbe dovuto insospettire il longevo giocatore, forse lo avrà fatto anche, ma che la sorpresa sia comunque riuscita si vede nel suo sorriso e in quello della moglie Enrichetta, anche lei alla soglia dei novanta.
Enrichetta e Armando, dal 1985, sono saliti in macchina, “scendendo” da Elce, a un passo dal centro storico, per raggiungere Ellera, lei per lavorare in un laboratorio di sartoria, lui per raggiungere i campi e giocare. Lavoro e partita finiti, percorso inverso per tornare a casa. “Trent’anni che gioco, avessi imparato qualcosa – scherza Armando – quello che riesco a fare è tutto frutto dell’esercizio, prova e riprova. Adesso, per esempio, gioco i colpi a due mani, mica me lo ha spiegato qualcuno. Ho imparato da solo.
Ma per forza, perché il braccio mi faceva male e dovevo trovare un modo per affaticarlo meno”. Invece di scoraggiarsi e mollare, Armando è diventato bimane. “Come facevo? Non è che posso smettere di giocare. Non ci riesco”. Quattro ore alla settimana, con il freddo o sotto il sole. In trent’anni con lui si sono confrontati in molti al Tennis Chiugiana, giovanissimi oppure coetanei di Armando, ognuno pronto a “rubargli” un pezzettino del suo segreto: “Ma adesso con me si palleggia solo, ah no, la partita non mi interessa. E lo sai perché? Perché se gioco voglio vincere, se non ci riesco mi incavolo. E per farmela passare ci vogliono almeno due giorni. Ne vale la pena?”.
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