Gli spaccaracchette: fischiati o compresi?

Quante volte ci è capitato di vedere durante una partita di tennis uno scatto d’ira di un giocatore sfociato con la rottura della racchetta? Infinite volte.

Ed ogni volta il pubblico tende a sottolineare il gesto con mugulii di disdegno.  La volta più eclatante di questo inizio di stagione è stata da parte di Novak Djokovic dopo aver buttato alle ortiche il tie break del secondo set durante la finale di Indian Wells contro Roger Federer. Colto da un raptus d’ira il numero uno del mondo ha distrutto la sua racchetta, da li viene subito inondato di fischi di disapprovazione da parte del pubblico. Si guadagna ovviamente un warning ma da li, come se niente fosse successo, è andato a vincere in scioltezza il terzo set. Non tutti i giocatori ovviamente riescono a tenere la stessa freddezza dopo un gesto simile.

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Di distruttori di racchette nella storia del tennis ce ne sono stati tantissimi, i più celebri Mcnroe, Safin, Fognini, Gulbis, e Ivanisevic. Quest’ultimo che addirittura ha scritto un vademecum su come distruggere una racchetta raccomandandosi di lasciarsi dentro un poco di forza interiore per portare a termine il match (consiglio che servirebbe tanto al nostro Fogna).

Come possiamo non fare una menzione speciale per Marat Safin, premiato dall’ATP per aver spaccato mille racchette in carriera,  uno dei giocatori più completo e potente della storia del tennis, ma con qualche difetto di troppo: L’amore per la bella vita e quella sua leggera inclinazione verso la rabbia folle che non gli hanno permesso di vincere quello che il suo potenziale poteva concedergli.  Oppure Marcos Baghdatis, il folkloristico cipriota che riuscì nell’impresa di rompere quattro racchette in serie ancora imbustate. E addirittura il russo Mikail Youzhny che cercò di spaccare una racchetta con la propria testa ma ottenne l’effetto contrario

Vorrei porre qui l’attenzione sulla reazione stizzita del pubblico ad un simile gesto. Ci pensano i regolamenti a punirli con multe e warning.  E’ giusto che gli spettatori critichino una scatto d’ira di un giocatore verso il proprio attrezzo? Io sono per il lasciar passare determinati gesti (senza cioè sottolinearli con i fischi). Trovo ben più gravi gli insulti dei giocatori verso arbitri o giudici di linea o chi si permette di rispondere al pubblico.

Chiunque abbia preso una racchetta in mano sa quanto questo sport metta a durissima prova la pazienza di chiunque. I giocatori professionisti che devono giocare sempre al limite, sono soggetti a sbalzi d’umore e momenti di rabbia, vuoi perchè non sempre riescono a fare quello che vogliono, vuoi per una partita importante per la carriera che scivola via. La povera vittima è una stupenda e costosissima racchetta che ha l’unica colpa di essere nelle mani di un uomo che affronta con rabbia le sue debolezze.

Io non dico di essere favorevole ai giocatori che fanno “pazzie” come questa in campo, ma sono contrario all’ipocrisia del pubblico che li critica ferocemente vedendo come gesto antisportivo questo modo di sfogarsi che va tutto a loro spese. Secondo me un giocatore ha il pieno diritto di distruggere la propria racchetta in un momento di follia, paga con il warning ed eventuali multe e si prende le proprie responsabilità. Il lato del tennis che più mi appassiona è la componente psicologica, e questo gesto mostra come a livello mentale sia forse lo sport più duro di tutti.

Siamo così sicuri che il tennis gioverebbe dell’assenza di personaggi un pò folli un pò instabili come quelli sopracitati, lasciando spazio a giocatori soldatino che non lasciano trasparire le proprie emozioni? Io non credo, credo che questi tipi folli nel bene o nel male siano quelli che ci suscitino maggiori emozioni e ci facciano capire quanto sia difficile colpire una pallina da tennis, affrontare faccia a faccia il proprio avversario, tenergli testa colpo dopo colpo e riuscire a trovare ogni volta la forza di passar sopra ai propri errori o momenti no. Allora viva i pazzi, viva coloro che ci mostrano le loro emozioni e che ci fanno saltare sulla sedia ad ogni momento di rabbia. E che ci strappano perché no anche qualche sorriso.

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