“Quando sei giovane sei pieno di gioia e speri di diventare numero uno al mondo. Poi invecchi e realizzi che la strada è dura e richiede fortuna“. Una frase densa di significato quella pronunciata dal 41enne Ivo Karlovic, che si è raccontato a 360 gradi a Behind the Racquet. Il gigante croato, dall’alto della sua esperienza nel circuito Atp ed un bagaglio culturale invidiabile, è stato protagonista di alcune dichiarazioni piuttosto profonde che vanno oltre il puro tennis, ovvero giocare partite, cercare di battere l’avversario e di vincere tornei.
Karlovic ormai non ha troppo da chiedere a questo sport e lui stesso ne è consapevole. Inoltre, la pandemia da Covid-19 non ha giocato a suo favore: “Con il passare del tempo la mia carriera è diventata monotona ed ho faticato a restare motivato. Posso ancora sollevare pesi e sprintare come facevo dieci anni fa, ma ho cominciato a pormi delle domande dato che le persone dicono che sto diventando vecchio. Negli ultimi mesi non è stato facile giocare senza pubblico. Durante la mia carriera volevo avere dei figli così che potessero vedermi giocare nei grandi slam. Mia figlia a nove anni, mentre mio figlio ne ha tre. Negli ultimi otto mesi si sono abituati ad avermi a casa. Ora è difficile viaggiare per i tornei perché vorrebbe dire lasciarli“.
Il tennista di Zagabria ha quindi parlato del suo approccio con il tennis: “All’età di 6 anni ho preso in mano una racchetta da tennis, ma non mi piaceva questo sport. Un paio di anni dopo invece me ne sono innamorato. Sono cresciuto in Jugoslavia durante la guerra. Alcuni giocatori lasciavano il paese ma noi non avevamo molti soldi. C’erano mesi in cui non potevamo mangiare molto o uscire fuori dato che c’erano degli aerei sopra la nostra città e dovevamo cercare rifugio sotto terra. Mi allenavo ogni qualvolta trovavo un campo libero. Fino all’età di 13 anni ho giocato anche a basket. Ero alto e mi muovevo bene, perciò gli allenatori mi facevano giocare contro i ragazzi di 18 anni. Tuttavia ciò non mi piaceva, anche se forse avrei potuto giocare in NBA. A partire dall’età di 21 anni ho trascorso tre anni con un ranking di numero 300 del mondo. Ero abbattuto perché vedevo i miei coetanei raggiungere una classifica più alta. Inoltre non avevo un allenatore perciò viaggiavo da solo. Pensai di mollare prima di sfondare nel circuito. Nel tennis non puoi essere realistico, devi essere un sognatore“.
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