Jenson Brooksby: dal silenzio dell’infanzia al primo titolo ATP. “L’autismo è il mio superpotere”

Dalla diagnosi di autismo alla vittoria all’ATP di Houston: la storia di Jenson Brooksby, il tennista che ha trasformato una sfida personale in un superpotere.
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Una diagnosi che cambia tutto

Jenson Brooksby non è solo un tennista professionista: è una voce potente per tutti coloro che cercano il proprio posto nel mondo nonostante (o grazie a) una neurodivergenza. Oggi n.148 del ranking ATP, l’americano ha recentemente vinto il suo primo titolo nel circuito maggiore, trionfando all’ATP di Houston 2025. Un risultato che rappresenta molto più di un semplice trofeo: è il coronamento di un percorso difficile, segnato da una diagnosi di autismo ricevuta in tenera età e da una determinazione incrollabile.

Il tennis ha fatto breccia nella sua vita prima ancora delle parole. Già a 4 anni, Brooksby passava le giornate a colpire palline contro la porta del garage, mentre la logopedia occupava gran parte delle sue giornate. “Per un po’ è stato un lavoro a tempo pieno”, ha raccontato, spiegando quanto fosse difficile comunicare o stringere amicizie. Eppure, proprio nel gioco ha trovato una via per esprimere se stesso.

Il valore della routine e della concentrazione

Una delle chiavi del suo successo risiede nella sua capacità di costruire routine solide e ripetitive, un tratto comune a molte persone nello spettro autistico. “Quando tutto trova il suo posto, quando le cose fanno ‘clic’, quella è la sensazione migliore”, ha spiegato. Questo approccio lo ha reso un perfezionista in campo, dove riesce a concentrarsi sui dettagli con un’intensità fuori dal comune.

“La mia forza più grande è la capacità di concentrarmi sui dettagli a un livello molto alto”, ha detto Brooksby. Anche nei momenti più stressanti, riesce a focalizzarsi su pochi aspetti chiave, trasformando quella che a molti potrebbe sembrare una difficoltà in un vantaggio competitivo.

Il suo allenatore, Eric Nunez, conferma: “Ha bisogno di essere molto specifico su quello su cui sta lavorando. Spiegare il ‘perché’ a volte è fondamentale: riesce a vedere il quadro generale”. Una qualità che, secondo lui, rende l’autismo di Brooksby un autentico superpotere.

Una vittoria che parla a molti

Il trionfo a Houston è arrivato dopo anni difficili, culminati in una sospensione di 13 mesi per aver saltato dei controlli antidoping, circostanza definita da lui stesso “ingiusta e sfortunata”. Rientrato nel circuito con un nuovo team, Brooksby ha sorpreso tutti: ha salvato match-point nelle qualificazioni e poi contro due delle prime teste di serie del torneo prima di battere Frances Tiafoe in finale.

Il tempismo è stato simbolico: la vittoria è arrivata pochi giorni dopo la Giornata Mondiale per la Consapevolezza sull’Autismo. Per Brooksby, che ha rivelato pubblicamente la sua condizione solo a dicembre scorso, è stata una sorta di consacrazione personale. “Credo che essere trasparente sull’autismo mi renda una persona più completa, non solo ora ma per il resto della mia vita”, ha dichiarato in un’intervista all’ATPtour.

Ogni vittoria sul campo è anche un messaggio per chi, come lui, non ha mai avuto un modello da seguire. “Mi sarebbe piaciuto avere un esempio, un tennista professionista autistico che ce l’aveva fatta”, ha detto. Oggi, Brooksby è diventato quell’esempio per molti.

Oltre il tennis

Fuori dal campo, Jenson è una persona dai tanti interessi. Appassionato di musica, suona il pianoforte fin dall’età di 9 anni, trovando in quest’attività uno strumento di concentrazione e relax. Guarda anche oltre la carriera sportiva, sapendo che prima o poi dovrà reinventarsi. E il suo approccio, fatto di autenticità e resilienza, lo accompagnerà in ogni passo futuro.

“La vita va ben oltre il tennis”, afferma. E anche se confessa di essere fragile rispetto ai commenti negativi, cerca di focalizzarsi sulle interazioni positive. Non è un caso che la sua ispirazione sia Rafael Nadal: “La sua mentalità e la sua costanza sono incredibili per me”.

Jenson Brooksby ha dimostrato che essere diversi non significa essere meno capaci. Il suo percorso, dalle difficoltà del linguaggio al palcoscenico del tennis mondiale, è un inno alla forza interiore e alla possibilità di trasformare ogni ostacolo in un’opportunità. Per lui, l’autismo non è una barriera, ma una spinta: “A volte, le nostre più grandi difficoltà possono trasformarsi nei nostri punti di forza”.

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